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“Carne arrabbiata” di Carlo Simoncini, quando l'etica e la professionalità non bastano
«I preti vive de carne morta, i dotori de carne malada, i avocati de carne rabiada».Questa è la frase con cui, un giovane avvocato di Bergamo, Carlo Simoncini, esordisce con il suo primo romanzo dal titolo "Carne arrabbiata".
Lorenzo, avvocato di provincia, patrocina una causa intentata dal Bugatti, suo cliente, contro una grande multinazionale, la "Soliman". Tutto si svolge tra la gestione dello studio ereditato da suo padre e il menage famigliare. Emozioni, sensi di colpa, onestà professionale si mescolano con i difficili meccanismi della giustizia e le insoddisfazioni delle vittime.
«Ora, al telefono, la signora Carzeri sembra assai meno riconoscente di quanto si sarebbe aspettato Lorenzo. Anzi si lamenta: Settanta milioni sono pochi. Il giudice non ha calcolato una voce di danno che pure era stata esposta. E poi c'è la sua parcella. Per carità, non voglio dire, lei ha lavorato, però, insomma…» «Maledetto mestiere! Clienti insoddisfatti anche quando vincono la causa! Carne rabiada…».
Essere avvocato oggi è un'impresa ardua, la causa è da ritrovarsi nella perdita del rispetto di un codice deontologico, anche se, tra i tanti spietati professionisti, esiste quella piccolissima parte che opera con coscienza. Criticati per le parcelle onerose, non passano inosservati gli agi che questo mestiere concede; ma è davvero così? Ritengo che Simoncini abbia ritratto concretamente la condizione di una categoria considerata privilegiata. Sembrerebbe che essere un professionista nel nostro tempo, soprattutto in determinati settori, non sia più un privilegio. La concorrenza spietata ha innescato una guerra, dove ogni mattina la parola d'ordine è: "Uscire con il coltello tra i denti" e vinca il migliore! Se poi ci spostiamo nel settore immobiliare, scopriamo una categoria di professionisti che non è esattamente ciò che la tradizione vuole che siano, ossia "miliardari, truffatori, evasori fiscali".
Si tratterebbe di una categoria che sta cercando, da qualche anno a questa parte, di cambiare "il modo di fare" la professione.Li vedi girare in giacca e cravatta; tra essi, alcuni, non riescono a far fronte agli oneri assunti e pertanto sono costretti a chiudere a causa della presenza dei "sensali", ossia gli abusivi, che s'inventano mediatori immobiliari, danneggiando la suddetta figura professionale (la mia non vuole essere una santificazione della categoria, ma una reale constatazione). Nel mondo reale degli onesti professionisti non esistono i furbetti di quartiere. Tuttavia, anche se facenti parte di associazioni (il cui unico scopo é quello della tutela degli stessi, e contestualmente, sinonimo di garanzia per il consumatore) si sono visti abolire il ruolo e sono stati equiparati ad ausiliari di commercio con responsabilità e oneri propri dei pubblici ufficiali. Mi verrebbe da chiedere, cosa fanno queste associazioni per loro? Non dovrebbero difendere la dignità e i diritti degli associati? Poi, perché gli stessi associati che con orgoglio espongono il marchio del sindacato di appartenenza non insorgono? Perché tutti tacciono e non hanno il coraggio di denunciare e opporsi a comportamenti tirannici? Trovo la risposta nel già citato romanzo, che non ha bisogno di replica.
«il fatto è che viviamo in una città di Tartufi, dove tutto quello che disturba il quieto vivere viene messo a tacere. Tutti sanno quello che succede e tutti fanno finta di non saperlo. L'unica cosa che conta è mantenere l'immagine esterna di una società moralmente sana, nascondendo la spazzatura sotto il tappeto».
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