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Carnevale al buio

Creato il 26 febbraio 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

contenuti espliciti

Carnevale al buio
Aveva preso parte alla festa perché gliel’avevano chiesto, non per altro. La proiezione del film l’aveva annoiato punto e basta. Un b-movie che raccontava di alcuni alieni scesi sulla Terra per conquistarla, senza però aver fatto prima i conti con i terrestri, che non disdegnano d’inchiappettarseli dando così vita a dei saturnali da far invidia al dio Saturno e agli dèi tutti. Il film non poteva avere che un finale scontato: la vittoria dei terrestri con la sottomissione anale e spirituale degli alieni, in tutto e per tutto uguali a delle scimmie.

Alle due di notte le strade erano più che vuote. Nemmeno la Luna col suo argento malato feriva più il cielo vuoto di stelle. Il carnevale dei cristiani era ben visibile anche a quell’ora: le strade erano un cumulo di sporcizia, e in lontananza l’eco dei petardi faticava a smorzarsi.
George si sforzò di tenere gli occhi ben aperti nonostante la stanchezza.
Uscì dalla strada maestra per imbucarsi in un vicolo, che purtroppo era costretto a percorrere se voleva tornare a casa.
Doveva esserci un lampione acceso, ma quella notte non funzionava. Rassegnato George si cacciò nel buio per rendersi subito conto d’esser peggio che cieco. Tentò di fare dietrofront, ma incespicò e cadde in malo modo battendo la testa. Perse i sensi.
Quando rinvenne era ancora il buio a baciargli gli occhi. Sentiva però addosso una presenza.
Invano cercò di mettersi in piedi: una forza oscura lo teneva incollato a terra.
Sentì la zip andar giù.
Delle dita fredde glielo tirarono fuori. Dovevano essere mani d’aspetto gentile, anche se George non avrebbe potuto metterci la mano sul fuoco.
Glielo prese in bocca.
Mai nessuno gli aveva fatto un servizietto del genere. Chiunque fosse la creatura che gli aveva staccato ben due pompini doveva essere del mestiere. Aveva fatto tutto, anche l’ingoio. George era sfinito ma anche sù di giri.
La forza che lo teneva giù si sollevò e George, madido di sudore, col fiato corto, si mise in piedi non senza barcollare. Andando a tentoni riuscì a trovare una delle due pareti del vicolo, e standogli sempre addossato dopo qualche minuto fu fuori, súbito aggredito dalla luce dei lampioni.
Della creatura che gli aveva dato piacere non c’era segno.
Doveva essere ancora nel buio del vicolo.
E George desiderava vederla. Ed allora la chiamò con un fischio.
Non ci fu risposta se non quella d’un’eco sinistra.
Fischiò ancora una due tre volte.
Niente. Solo l’eco.
Un brivido gli corse lungo la schiena, una paura da film di serie B. Resosi conto dell’assurdità della situazione scoppiò a ridere di sé. E mentre la risata gli moriva in gola una mano, quella mano, gli toccò la spalla.
Si voltò e la vide.
Era bellissima. Non era un mostro, una cicciona o una vecchia laida. Era un angelo, di sicuro una brasiliana o di quelle parti lì. Un sorriso di neve gli assicurò che quel gran tocco d’angelo voleva accompagnarlo a letto. George le prese la mano nella sua e la strinse con dolcezza.
“Allora andiamo da te?”
George annuì.
“Ti piace dunque”, osservò lei sorridendogli come solo la Laura del Petrarca avrebbe saputo.

Scoparono fino all’alba e solo allora si concessero un riposino d’un paio d’ore. Lei si strinse sul corpo di George, proprio come aveva fatto nel buio del vicolo, tenendogli il cazzo in mano.
Quando sotto la luce dei lampioni gli aveva fatto vedere la sua verga d’Aronne, George non ci rimase male né provo disturbo. Tutt’altro.

Non sapeva ancora se la loro storia sarebbe diventata qualche cosa di serio e duraturo, ma aveva scopato non meno bene d’un dio, per Giove!


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