Caro amico.

Da Arthur

La grinta sempre la solita, lo sguardo ironico un po’ da presa per i fondelli, neanche quello lo abbandona mai, pur conoscendolo da diversi anni, non sono mai riuscito a dargli una collocazione certa nei miei pensieri, tra di noi c’è sempre stata considerazione e stima reciproca, ma non siamo mai riusciti a diventare dei grandi amici, credo dipendesse dal fatto che entrambi avevamo dell’amicizia un’idea diversa; d’altronde è proprio per questo che alle volte ci s’intende.

Perennemente attivo al di fuori da ogni logica normale, ho sempre ammirato la sua voglia di rimettersi in gioco, di cambiare vestito, d’altronde chi l’ha detto che le nostre esperienze nel campo lavorativo non possano tornare utili se applicate in altri ambiti non necessariamente in sintonia con la nostra professione? Beh, lui questa teoria l’ha sempre messa in pratica e devo dire con ottimi risultati.

Non era smania o ricerca di guadagni diversi, forse anche, ci sono persone che rincorrono sempre tutto ciò che vedono passare davanti ai loro occhi e lui è uno di questi.

Oggi è ammalato, gravemente ammalato, un bel giorno un “amico invisibile” ha deciso di fargli compagnia e dopo alcune operazioni e varie vicissitudini, è praticamente arrivato quasi alla fine del suo percorso.

Ne ha coscienza e non ne fa un dramma, o quanto meno non lo dà a vedere. Non per questo se ne sta con le mani in mano, urla, sbraita, comanda, organizza, come sempre d’altronde, porta avanti progetti che potrebbero anche finire senza di lui, ma sembra che non gl’importi più di tanto, anzi, quella carica che lo ha sempre spronato sembra quintuplicata, ponendo tra l’altro per certi versi chi gli sta accanto in difficoltà, perché vive la concezione del tempo come una risorsa da consumare che, proprio per questo contrasta con l’idea che ne hanno gli altri.

Non abbiamo mai parlato di questa sua malattia, forse proprio per quel feeling che è sempre mancato tra di noi, quando ci si vede un bel sorriso e una pacca sulle spalle, lui non si lascia andare ed io non insisto, anche in questo siamo diversi, per me la parola se usata nel modo giusto può solo fare bene, malgrado tutto non riesco a rimanere inerme, conosco molto bene la sua famiglia, ho con loro un legame che anch’io non saprei come definire, d’affetto senz’altro, e poi immagino quel travaglio interiore, quei pensieri che si accavallano per non rimanere mai da soli, lo immagino come di chi non vive questa scadenza improrogabile e proprio per questo nell’impossibilità di capire quello che lui provi realmente, e allora mi domando se è proprio questo il punto o piuttosto l’idea che noi abbiamo della vita non ci condizioni a tal punto da ritenere che tutto, un bel giorno, possa finire con essa, senza considerare che quel che rimane è comunque un segno marchiato a fuoco per nulla cancellabile o, che è peggio, da dimenticare.

Sì, quando viene a mancare qualcuno che c’è caro, man mano che passa il tempo il ricordo di quel viso, di quello sguardo, di quel sorriso si attenua, non sentiamo più la sua voce  o il rumore dei suoi passi, ciò che di materiale gli è appartenuto non esiste più, ma c’è pur sempre l’amore, quel legame che nel tempo, qualunque esso sia, rimane inviolabile e io credo possa bastare.

Non ho paura di quel battere di ciglio che non ci sarà più, ma come si suol dire la speranza è l’ultima a morire ed io spero, caro amico, che tu rimanga ancora un po’ con noi, con quella tua solita grinta e con quello sguardo ironico un po’ da presa per i fondelli, sì proprio quello che non ti ha abbandonato mai.



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