Non basta infatti definire un pacchetto di regole, per quanto di buon senso per entrare nella strada della virtù, come non basta ridurre i propri emolumenti per essere nel giusto e praticarla questa virtù, così come non è sufficiente auto-definirsi pacifisti per esserlo o dire di sé d'essere alternativi per costituire automaticamente la cresta dell'onda del cambiamento. Alla fine non è affatto sufficiente chiamarsi Francesco per cambiare il mondo, per esempio. Cambiare, riprendendo la definizione Gandhiana, significa essere il cambiamento di cui si parla. L'eccesso di pragmatismo allora ha davvero molto poco a che spartire con il cambiamento del quale, questo paese, l'Europa ed il mondo intero hanno terrificante esigenza. Così come ancora meno ha a che spartire la logica della contrapposizione ad ogni costo. Non parlo delle cose che ci dividono, che pure ci sono e che hanno un loro peso specifico, ma della necessità di avere un nemico di organizzarsi sempre più meticolosamente in tifoserie opposte, di accumulare rancore verso qualche cosa o qualcuno (non importa chi o perché purché ci sia un nemico). Questo “comportamento” è vecchio, antico, quanto e di più della vecchia politica. Ha attraversato gli anni 70/80 creando tutti i disastri possibili ed anche di più, è stata ed è l'arma privilegiata con cui il potere riconquista quegli spazi che gli embrioni di cultura alternativa e popolare conquistano. In questo momento, per esempio questo dualismo spietato ed anche incattivito ha il centro della scena, è il modello attuato, proposto e vincente ed a mio umilissimo ed inutile parere rappresenta una enorme palla d'acciaio al piede, un giogo sulle nostre spalle, il retaggio di un modello culturale che non dovrebbe appartenerci, che non è quello che potrà permetterci davvero di cambiare. È UN MODELLO CHE AMMETTE SOSTITUZIONI ED EMENDAMENTI, CAMBI DI MASCHERA O DI ASPETTO ESTERIORE, MA NON LA REALE MODIFICAZIONE DEI RAPPORTI. La riproposizione del modello della contrapposizione fra bande è di per sé obsoleto, antico, profondamente radicato nella filosofia e nella visione di mondo che ha prodotto questi orrori e questo sistema, ricadere nelle sue logiche ed abbandonarsi al suo flusso supera le ragioni ed i torti, spazzandoli via e rendendoli ampiamente secondari rispetto alla valenza dello “scontro fine a sé stesso” e questo è nella logica della cultura di potere con la medesimo solco di pensiero che produce le guerre e crea la conclusione, innegabile (e fortunatamente ampiamente condivisa, quantomeno a parole) per la quale nessuno vince, ma perdono tutti. La vecchia politica si è nutrita ed ha ordito il proprio gigantesco inganno partendo da questo presupposto. È questa la base spirituale ed ideale sulla quale si fonda l'unico pensiero e la cultura dominante, l'ineluttabilità della competizione. Personalmente non sono d'accordo, pur cosciente di quanto poco o nulla possa contare il pensiero di questo inutile uno, non credo che nemmeno chi si prende carico della necessità di cambiare questo sistema grottesco di relazioni possa esserlo, nel suo profondo. Ritengo quindi che sia necessario, indispensabile, prioritario cambiare la qualità dei rapporti di potere e di relazione che intercorrono all'interno delle nostre comunità e se i regolamenti ed i limiti sono il primo passo non possono essere e non sono che l'inizio di questo cammino. Il resto sta nei comportamenti e nella qualità degli esempi che noi forniamo all'esterno, nelle metodologie di relazione con quelli che riteniamo le nostre controparti, per esempio. Ed anche e soprattutto nella qualità dei rapporti che stabiliamo fra di noi. Uno vale uno è una dichiarazione che di per sé non garantisce né orizzontalità né, ancor meno circolarità se queste pratiche non son scelte di vita, modi e mode, comportamenti di fondo...proposta di culture ed atteggiamenti. La forza virale di quello che potremmo rappresentare uscirebbe rafforzata, incontestabile ed elevata ad ennesima potenza da un attenzione al “modo” con il quale ci relazioniamo con il mondo. Un aspetto della questione, tutt'altro che secondario sul quale si è infranta ogni speranza messa in campo sin qui e che differenzia una rivoluzione culturale, da una controriforma in stile ecclesiale. Con grandissima stima ed affetto, nella speranza che le mie parole vengano intese per quello che sono sempre vostro Giandiego Marigo
Caro beppe, caro dario, esimio dott. gianroberto, cara silvana, caro domenico, cari tutti
Creato il 07 aprile 2013 da VeritaedemocraziaNon basta infatti definire un pacchetto di regole, per quanto di buon senso per entrare nella strada della virtù, come non basta ridurre i propri emolumenti per essere nel giusto e praticarla questa virtù, così come non è sufficiente auto-definirsi pacifisti per esserlo o dire di sé d'essere alternativi per costituire automaticamente la cresta dell'onda del cambiamento. Alla fine non è affatto sufficiente chiamarsi Francesco per cambiare il mondo, per esempio. Cambiare, riprendendo la definizione Gandhiana, significa essere il cambiamento di cui si parla. L'eccesso di pragmatismo allora ha davvero molto poco a che spartire con il cambiamento del quale, questo paese, l'Europa ed il mondo intero hanno terrificante esigenza. Così come ancora meno ha a che spartire la logica della contrapposizione ad ogni costo. Non parlo delle cose che ci dividono, che pure ci sono e che hanno un loro peso specifico, ma della necessità di avere un nemico di organizzarsi sempre più meticolosamente in tifoserie opposte, di accumulare rancore verso qualche cosa o qualcuno (non importa chi o perché purché ci sia un nemico). Questo “comportamento” è vecchio, antico, quanto e di più della vecchia politica. Ha attraversato gli anni 70/80 creando tutti i disastri possibili ed anche di più, è stata ed è l'arma privilegiata con cui il potere riconquista quegli spazi che gli embrioni di cultura alternativa e popolare conquistano. In questo momento, per esempio questo dualismo spietato ed anche incattivito ha il centro della scena, è il modello attuato, proposto e vincente ed a mio umilissimo ed inutile parere rappresenta una enorme palla d'acciaio al piede, un giogo sulle nostre spalle, il retaggio di un modello culturale che non dovrebbe appartenerci, che non è quello che potrà permetterci davvero di cambiare. È UN MODELLO CHE AMMETTE SOSTITUZIONI ED EMENDAMENTI, CAMBI DI MASCHERA O DI ASPETTO ESTERIORE, MA NON LA REALE MODIFICAZIONE DEI RAPPORTI. La riproposizione del modello della contrapposizione fra bande è di per sé obsoleto, antico, profondamente radicato nella filosofia e nella visione di mondo che ha prodotto questi orrori e questo sistema, ricadere nelle sue logiche ed abbandonarsi al suo flusso supera le ragioni ed i torti, spazzandoli via e rendendoli ampiamente secondari rispetto alla valenza dello “scontro fine a sé stesso” e questo è nella logica della cultura di potere con la medesimo solco di pensiero che produce le guerre e crea la conclusione, innegabile (e fortunatamente ampiamente condivisa, quantomeno a parole) per la quale nessuno vince, ma perdono tutti. La vecchia politica si è nutrita ed ha ordito il proprio gigantesco inganno partendo da questo presupposto. È questa la base spirituale ed ideale sulla quale si fonda l'unico pensiero e la cultura dominante, l'ineluttabilità della competizione. Personalmente non sono d'accordo, pur cosciente di quanto poco o nulla possa contare il pensiero di questo inutile uno, non credo che nemmeno chi si prende carico della necessità di cambiare questo sistema grottesco di relazioni possa esserlo, nel suo profondo. Ritengo quindi che sia necessario, indispensabile, prioritario cambiare la qualità dei rapporti di potere e di relazione che intercorrono all'interno delle nostre comunità e se i regolamenti ed i limiti sono il primo passo non possono essere e non sono che l'inizio di questo cammino. Il resto sta nei comportamenti e nella qualità degli esempi che noi forniamo all'esterno, nelle metodologie di relazione con quelli che riteniamo le nostre controparti, per esempio. Ed anche e soprattutto nella qualità dei rapporti che stabiliamo fra di noi. Uno vale uno è una dichiarazione che di per sé non garantisce né orizzontalità né, ancor meno circolarità se queste pratiche non son scelte di vita, modi e mode, comportamenti di fondo...proposta di culture ed atteggiamenti. La forza virale di quello che potremmo rappresentare uscirebbe rafforzata, incontestabile ed elevata ad ennesima potenza da un attenzione al “modo” con il quale ci relazioniamo con il mondo. Un aspetto della questione, tutt'altro che secondario sul quale si è infranta ogni speranza messa in campo sin qui e che differenzia una rivoluzione culturale, da una controriforma in stile ecclesiale. Con grandissima stima ed affetto, nella speranza che le mie parole vengano intese per quello che sono sempre vostro Giandiego Marigo
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