Parigi, ottobre 1971. Francis Bacon, sessantaduenne celebre pittore irlandese, partecipa ad una grande retrospettiva al Petit Palais. George Dyer, suo compagno e modello, viene trovato suicida in una stanza d'albergo. Caro George di Federico Bellini, interpretato da Giovanni Franzoni per la regia di Antonio Latella, porta in scena, in forma di monologo, i pensieri che, in quel momento doloroso, potrebbero aver attraversato la mente dell'artista.
Presentato in anteprima regionale lo scorso 30 gennaio al Teatro Cantiere Florida di Firenze, lo spettacolo inizia a sipario aperto su un palco vuoto, privo di fondali, spoglio. In scena una sedia, illuminata da una lampadina appesa al soffitto, una bottiglia di vino rosso e un calice. Nient'altro. Risuona soltanto il rumore metallico di una pallina che scorre sulla roulette, metafora - lo si capisce più in là - della vita, della sua imprevedibilità e del caso che ha voluto due destini così diversi per il pittore, da una parte, e per il modello/amico/amante dall'altra.
Franzoni entra in scena da una porta laterale, vestito di bianco, e dà subito allo spettatore un'immagine di Bacon che si scontra con quella reale, diversa da quella che appare nelle fotografie (in cui spesso egli compare vestito di nero con la giacca di pelle), come se con questo stacco si entrasse da subito nella dimensione mentale e fantastica.
È in questa dimensione, espressa attraverso il monologo, che Bellini immagina che l'artista possa finalmente confrontarsi non solo con il dolore e l'assenza della persona amata, ma anche con i sensi di colpa che lo tormentano per non averlo voluto accanto a sé per l'inaugurazione della retrospettiva parigina. Ex ladruncolo, dalla voce "nasale" e "balbettante", il giovane Dyer era legato al pittore da un rapporto profondo e viscerale, oltre che sofferto e problematico, come testimonia la numerosissima serie di studi e ritratti (che Franzoni elenca sulla scena) di cui egli è protagonista.
Il suicidio, nell'ottica del modello, si manifesta quindi come un'ultima richiesta di attenzione e, nello stesso tempo, un atto estremo di ribellione verso una figura così "ingombrante" come quella del compagno e protettore.
Parola dopo parola, Bacon sembra perdere quell'apparente self-control che aveva mostrato (anche nella realtà) in pubblico, dopo aver appreso la terribile notizia. Quelle stesse parole, allora, diventano un ultimo, disperato tentativo di colmare un'assenza, aggrappandosi al ricordo, per poi trasformarsi in un flusso verbale quasi ininterrotto al cui interno si mescolano rabbia, dolore, disperazione, amore. La perdita della persona amata è tutt'uno con riflessioni sull'altro e sulla sua identità, sullo scorrere della vita, sulla morte e sul senso dell'esistenza e della pittura stessa. Alla fine, la voce di Francis diventa - con una virata che ha qualcosa di Jean Genet - quella di George, fino ai suoi ultimi istanti in quel bagno parigino. Poi si spenge, lasciando infine solo la mimica e i gesti a dipingere smorfie mute. Veri e propri quadri che Franzoni, nudo e sofferente, contorto sulla sedia, ricrea sulla scena, testimonianza viva di quell'intima relazione tra espressione pittorico-visiva e dolore, la cui sintesi Bacon aveva individuato poeticamente nei cieli dell'ultima produzione di Van Gogh.
Franzoni, anche grazie all'eccellente direzione di Latella, regge magistralmente l'intera durata di uno spettacolo impreziosito dai costumi di Graziella Pepe e dalle musiche di Franco Visioli, dando sfoggio di grande forza espressiva e precisione di movimenti, oltre a un'ottima prova fisica, soprattutto nell'ultima parte.