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Caro Jean Jacques- lettera aperta sulla democrazia

Da Lupussinefabula

”La Democrazia esiste laddove non c’è nessuno così ricco da comprare un altro e nessuno così povero da vendersi” .

[JEAN JACQUES ROSSEAU (1712-1778)]

Caro Jean Jacques,

alla tua epoca la democrazia non c’era, ma si stava cercando di crearla; eravate pieni di speranza.

Oggi, alla mia epoca, mi chiedo se in Italia ci sia ancora democrazia, quella democrazia che hai definito così bene tu, in una sola frase; in una sola frase, già, perché la democrazia dovrebbe essere una cosa semplice, naturale, al servizio dell’uomo (Platone docet). Ma in Italia, non sembra essere così. E c’è tanta sofferenza.

Mi guardo attorno: donne a cui vengono fatte firmare in bianco le dimissioni perché in caso restino incinte…; laureati costretti a partecipare all’ennesimo stage non retribuito, così i proprietari si evitano per un anno di assumere qualcuno…; padri di famiglia che accettano lavori sottopagati, lavori senza diritti, lavori da 12 ore al giorno di cui te ne vengono pagate solo 8 ; telefonate fatte per sollecitare il rientro anticipato dalla malattia. Cose all’ordine del giorno, ormai, impensabili per le generazioni precedenti che quando gliene parli non capiscono. Non capiscono quando ti ostini a rimanere in un luogo di lavoro che ti fa star male, che lede la tua dignità professionale (conquistata a fatica con anni e anni di studio), ti ostini a rimanerci perché ‘Papà, non c’è nient’altro e comunque anche in un’altra azienda sarebbe la stessa cosa; e poi almeno un posto fisso ce l’ho e con la miseria che c’è intorno è peccato lamentarsi che le cose non siano perfette, ma almeno un posto ce l’ho… Mi capisci vero?’ No. Non mi capisce. E mi parla della pensione, che ci impiegano anni a fare le leggi che servono, ma la riforma della pensione l’hanno approvata in un attimo, come un lampo a ciel sereno; e dopo una vita passata a lavorare, scivola ancora in là… ‘Chissà se mai ci arriverò… probabilmente il giorno dopo sarò tanto vecchio da morire’.

Cose all’ordine del giorno a cui non vorremmo mai abituarci, ma a cui purtroppo ci stanno abituando.

Ormai qui in Italia- non so dalle altri parti- sembra proprio che molti si debbano vendere, solo per arrivare a fine mese, a imprenditori che potrebbero pagare il giusto prezzo ma che non lo fanno, perché vogliono incrementare il proprio guadagno e il proprio parco macchine con cilindrate sempre più grosse per poter gettare il rombo in faccia agli operai cassaintegrati quando passano il cancello; e perché sanno che ormai per un lavoro,qualunque esso sia, siamo disposti a tutto, anche a stare zitti e a rinunciare a alcuni diritti. Imprenditori che quando si rivendica qualche diritto dovuto sfoderano la minaccia della delocalizzazione. E così, di fronte a questo mortuario spettro, tutto tace. Anche i sindacati, che non capisci più da che parte stanno.

Caro Jean Jacques, se penso alla tue epoca, mi sembra che le cose fossero più facili; c’erano diritti da conquistare, anche a costo del proprio sangue, ma c’era la volontà e c’era la speranza di farcela. Se guardo alla mia epoca, mi sembra che le cose siano davvero molti difficili: ci sono diritti da non farsi sfilare dalle dita, ma c’è ovunque un tacito torpore, e non c’è più la speranza.

Noi Italiani abbiamo il difetto di lasciarci annichilire da tante cose inutili. ‘Panem et circenses’ si diceva nell’antica Roma. ‘Panem et Facebook’ di potrebbe dire mal-parafrasando oggigiorno. O ‘Panem et televisionem’, in un maccheronico latino.

In fondo a molti basta solo sapere chi vincerà ‘Uomini e donne’. O tentare la fortuna alle slot-machine. Palliativi. Che ci hanno corrotto. E che non ci fanno vedere. Mentre ci sfilano dalle dita la democrazia, a cui forse eravamo troppo abituati, tanto da pensare che nessuno ce la potesse portare via.

Carro Jean Jacques, io mi sento così piccola, mentre voi alla vostra epoca avete davvero cambiato il mondo. Mi chiedo, se tu fossi qui, che frase useresti per descrivere questo stato di cose. Mi chiedo se le generazioni forti del passato fossero qui, cosa farebbero per difendere i propri diritti, al posto nostro?

Se accendi la televisione vedi persone che parlano (io stessa parlo e non agisco) e come acrobati fan volteggiare in aria sentenze sagge e progetti ambiziosi, ammaliano il pubblico ormai ipovedente, e poi quando siedono in parlamento (sì, con la p minuscola, oramai…), nella stanza dei comandi e dei bottoni, quelle acrobazie non le realizzano mai. Ah se sedessi io in quella stanza… quella stanza dove i Grandi hanno creduto nel tuo stesso sogno, Jean Jacques, e hanno concesso anche a noi poveracci di poter essere persone, cittadini, di avere diritti… ora quella stanza si riempie di vallette che non sanno altro che recitare la parte delle convertite allo stato e al bene pubblico, quando l’unico bene a cui tengono sta in un altro posto, ben saldo dentro al portafoglio, a discapito di ogni parità femminile.7

Potrei andare avanti ore… e non riuscirei a smettere di parlarti della nostra epoca, ma non voglio tediarti oltre.

Caro Jean Jacques, scusami se ti ho dato del tu, me ne accorgo solo adesso; sai è un’usanza di noi contemporanei dar del tu a tutti, e ci son cascata, Monsieur.

Ora mi ritiro nel mio guscio di riflessioni, e ho una sola certezza- che però è solo mia e non appartiene a tutti, in questa società piuttosto frammentata: la certezza che nella mia piccolezza, se voglio cambiar qualcosa, non lo posso fare; l’unico mezzo che ho è pregare e pregare. O forse pregare è un altro palliativo, che appiattisce la coscienza, la mette in pace con sé stessa e mi porta di nuovo a non fare?

Con stima.

V.



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