Carissimo Papa Francesco, affido questa mia missiva a un’immaginaria bottiglia e la lascio in balia dei flutti del mare magnum dei social network. Dato che da un po’ di tempo i telegiornali e la carta stampata non fanno altro che elencare, come fossero dei prodigi, le sue telefonate e le sue lettere, ho deciso di scriverle quattro parole, ma siccome sono fatalista, lascio alla casualità la possibilità che lei le legga o meno; nella remota evenienza che lei le legga, la scongiuro: non mi risponda, tanto le sue risposte mi paiono generate automaticamente.
Lei potrebbe pensare che io non sia aperto al dialogo, ma vede, chi dice di essere aperto al dialogo con gli atei e gli agnostici (categorie alle quali non ritengo di appartenere, considerandomi piuttosto uno gnostico laico) e infarcisce i suoi discorsi di “apertura” con tutta la letteratura della sua religione, concludendo con un “Dio perdona chi agisce secondo coscienza” (sottinteso: sbagliando), non è aperto al dialogo, ma sta solo cercando di convertire gli infedeli e gli eretici non più con la Santa Inquisizione, ma con un’abile e subdola tecnica sofistica. Per aprirsi al dialogo credo che sia necessario essere pronti a rivedere le proprie posizioni e non mi pare il suo caso.
La sua sofistica è tanto spregiudicata da spingersi fino a farle rovesciare addosso l’accusa di relativismo. Lei dice che anche per un cristiano Dio non è verità assoluta, in quanto la fede presuppone relazione (ineccepibile, ma Santo Padre, stia attento con le parole!), mentre la verità assoluta è di per sé, non ha affatto necessità di rapportarsi per essere. Benissimo, ma scendendo dall’astrazione universale al particolare nel suo manifestarsi, vorrei chiederle: la Madre vergine, è una verità assoluta? La consustanzialità è una verità assoluta? I testi sacri sono verità assolute? Perchè vede, io sono sempre stato predisposto alla mistica e all’insegnamento cristiano, ma sin da bambino, questi dogmi e tante altre cosucce della sua dottrina mi hanno suscitato una bonaria ilarità (ammetto, in certi periodi, anche una furia iconoclasta).
Le potrei raccontare di quando, bimbetto che aveva appena iniziato a sgambettare, rubai la scena al prete durante la messa per un buon quarto d’ora, fino a quando non intervenne la provvidenziale mano di mia madre a prendermi per l’orecchio e riportarmi all’ordine. O di quando, decenne o giù di lì, sottoposto al propedeutico ricatto della mia genitrice, dovendo obbligatoriamente dimostrare la presenza attiva alla messa prima della partita di pallone, entravo nel santuario, prendevo una copia del messale bignamico per i fedeli (perdonatemi, ma non ne ricordo il nome vero) e me la filavo per la partita domenicale, cercando di apprendere quanto più della funzione liturgica del giorno, per reggere al sicuro interrogatorio materno.
Lei parla di apertura alla modernità e alla cultura illuminista; mi spiace deluderla, ma sono concetti che appartengono a un lontano passato, buoni solo per l’onanismo di certi pseudointellettuali (quanti ce ne sono in Italia, santità, quanti ce ne sono!), che con le loro elucubrazioni cercano di giustificare il risalto mediatico che gli viene dato. Il nostro non è più il tempo della sagace fiducia di Voltaire, ma di un beckettiano bearsi del nulla post-apocalittico. Se anche lei si aprisse verso il nichilismo, troverebbe una stanza vuota. L’abbiamo superato, il nichilismo!
Attendendo con fede (si fa per dire) che inizi il processo di eticizzazione dello Ior e che i conventi accolgano profughi delle nazioni e delle società, le porgo i miei più laici e scettici saluti.