Continuano a tutto campo gli accertamenti dei carabinieri sulla morte di Carolina, la studentessa 14enne, che si è tolta la vita lanciandosi dal balcone del palazzo in cui abitava con il padre a Novara. Secondo le ipotesi degli amici della ragazza, Carolina si sarebbe uccisa per l’atteggiamento di alcuni coetanei, tra cui anche dei compagni di scuola, che avrebbero ripetutamente e pesantemente insultata fino a provocare il lei uno stato di profonda vergogna e prostrazione. Al momento, però, non ci sarebbero elementi per ricondurre il suicidio a possibili forme di bullismo: gli investigatori non escludono nulla e stanno verificando tutte le possibili cause del tragico gesto.
“E’ stata una grande tragedia, ma ora si deve evitare di dare vita a una ‘caccia alle streghe’. Bisogna stare attenti a non creare situazioni tali che altre tragedie simili possano ripetersi. Ci deve essere molta responsabilità da parte di tutti, bisogna stare molto attenti a che cosa si dice”, ha detto il procuratore della Repubblica di Novara, Francesco Enrico Saluzzo che ha comunque aperto un’inchiesta. “Continuava a chiedere aiuto in modo indiretto ma nessuno voleva ascoltarla”, hanno scritto i suoi amici su un video fatto circolare in rete. “In ogni caso le parole feriscono. E ne abbiamo le prove. Pensate prima di parlare. Non l’avrà fatto solo per quello, ma gli insulti non l’avranno sicuramente aiutata. Nessuno ti dimenticherà mai, Carolina
A questo proposito vi propongo un saggio di Maurizio Pompili pubblicato nella rivista di antropologia MARSS dal titolo “
Il Rischio di Suicidio in adolescenza
Depressione e comportamento suicidario in adolescenza
Il rischio di suicidio in età adolescenziale e giovanile un fenomeno davvero allarmante. Le stime riportano un aumento del 245% tra il 1956 e il 1994 di suicidi tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni (Peters et al, 1998).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce che il suicidio è la secondo causa di morte (a seconda dei contesti) nella fascia di età 15-24, successiva soltanto agli incidenti stradali.
Fonti dell’OMS riportano che il più alto tasso di suicidio al mondo nella fascia 15-24, per gli uomini, è stato registrato in Russia, Lituania, Nuova Zelanda, Lettonia e Finlandia; per le donne, si registrano alti tassi a Cuba, Singapore, Nuova Zelanda, Mauritius, Kazakistan, Kirghizistan. Il suicidio giovanile in queste regioni è particolarmente elevato, il doppio rispetto agli USA per gli uomini e, addirittura, da 4 a 6 volte più alto per le donne.
Durante il 2001, negli USA, 4.382 adolescenti hanno commesso un suicidio; recenti studi, infatti, calcolano, che gli atti suicidari tra gli adolescenti si attestino intorno a tassi del 7,9 per 100.000 nella fascia di età tra i 15 e i 19 anni. Alcuni studi e autori riportano un incremento del fenomeno tra i ragazzi del 245% tra il 1956 e il 1994.
In Italia, i dati registrati fino al 2002, testimoniano un tasso di suicidio nei giovani, tra i 15 e i 19 anni, di 2,3 per 100.000 all’anno (68 suicidi, di cui 49 maschi e 19 femmine), circa 6 volte maggiore il tasso di suicidio tra i 10 e i 14 anni: tale differenza dovrebbe condurre nuovamente a riflettere sulle difficoltà improvvise e disarmanti che un adolescente si trova a vivere in questo momento evolutivo. Negli ultimi 30 anni, sempre nel nostro Paese, il trend temporale vede un aumento del 20% del tasso di suicidio tra i giovani uomini, mentre per le donne si assiste ad un decremento. Per ciò che concerne le differenze regionali nei tassi di suicidio, è il Nord ad averne il primato (media del 2,63 contro una media del 2,07 al Centro e del 2,19 al Sud, considerando il periodo dal 1970 al 2002).
Stimare esattamente il numero dei suicidi e dei tentativi di suicidio in questa fascia di età è difficile, sia per la scarsa accuratezza dei certificati di morte, sia per l’impossibilità in molti casi, di valutare l’effettiva letalità di un tentativo di suicidio. Da alcune indagini nella popolazione giovanile è emersa infatti, la difficoltà da parte degli adolescenti a distinguere tra un tentativo di suicidio (suicidio non riuscito per cause indipendenti dalla volontà del soggetto) e un gesto di autolesionismo (nel quale non vi è l’intenzione di morire).
I metodi impiegati per togliersi la vita variano nelle diverse parti del mondo a seconda della disponibilità dei mezzi letali. In alcune aree geografiche è molto frequente il suicidio con ingestione di pesticidi, mentre in altre aree prevale l’intossicazione da farmaci e da gas di scarico delle autovetture. In linea generale, gli uomini solitamente utilizzano metodi più letali ma negli ultimi anni si è registrato un analogo orientamento nel sesso femminile.
Il comportamento suicidario in adolescenza è inoltre spesso associato a disturbi dell’umore quali depressione maggiore e disturbo bipolare di tipo I e II (Murray et al, 1996). I disturbi depressivi ricorrono in una percentuale che oscilla tra il 49% e il 64% negli adolescenti vittime di suicidio (Shaffer D, Gould MS, Fisher P, 1996). Il disturbo bipolare rappresenta una delle principali cause di disabilità al mondo e di morte prematura legata al suicidio e alle frequenti comorbidità psichiche (Osby et al, 2001; Calabrese et al, 2003). Elevata è anche l’incidenza di comportamenti suicidari nei soggetti affetti da abuso di sostanze; un’elevata comorbidità tra stati d’ansia ed abuso di sostanze è stata rilevata in giovani adolescenti vittime di suicidio (Marttunen et al, 1991).
I disturbi dell’umore insorgono frequentemente in adolescenza e negli adolescenti occorre sempre indagare attentamente alcune manifestazioni sintomatologiche. Deve destare preoccupazione il ritiro da attività che precedentemente impegnavano e interessavano il soggetto con gravi conseguenze sul rendimento scolastico/lavorativo. Un fattore di rischio nel breve periodo è la presenza di stati di ansia unitamente ad alterazioni del ritmo sonno veglia quali l’insonnia (Goldstein et al, 2008). La presenza di disturbi del sonno andrebbe attentamente valutata e adeguatamente trattata soprattutto nella popolazione infantile e adolescenziale (Mindell e Owens, 2003; Owens et al, 2003). L’abuso/dipendenza da sostanze psicoattive quali alcol e droghe è un altro rilevante fattore di rischio (Busby e Sajatovic, 2010).
Ma uno dei principali campanelli d’allarme è senz’altro rappresentato dai pregressi tentativi di suicidio. Nel 2002 si è stimato che almeno 124.409 giovani dai 10 ai 24 anni hanno fatto visita a dipartimenti di emergenza dopo un tentativo di suicidio (Centers for Disease Control and Prevention 2004). Nell’ambito di questa ricerca, coloro che avevano effettuato un tentativo di suicidio avevano sperimentato liti, atti di violenza e impulsività, abuso di sostanze, depressione, hopelessness (sentimento di disperazione, non avere aspettative positive future) durante i precedenti dodici mesi, confermando i dati preesistenti in letteratura (Plutchik et al, 1995; Pompili et al. 2007; Trezza e Popp 2000).
Un problema rilevante è quello che riguarda la nomenclatura per classificare i comportamenti dello spettro suicidario (Silverman et al. 2007a,b) che può essere idealmente suddiviso a seconda della letalità del gesto. Con il termine letalità si fa riferimento alla probabilità di realizzare la morte attraverso un gesto suicidario. In un tentativo di suicidio, sebbene possa sussistere la volontà di morire, la letalità del gesto può essere non sufficiente a porre fine alla vita del soggetto, sia perché il gesto è poco lesivo, sia perché il soggetto può essere soccorso e, dunque, salvato. I tentativi di suicidio vengono, pertanto distinti in gesti ad alta e bassa letalità, finendo per costruire una categoria molto eterogenea. Molti comportamenti ascritti allo spettro suicidario non sono in realtà, dettati dalla volontà di morire e dunque, dovrebbero essere ben distinti dai tentativi di suicidio. Simili atti, pur rappresentando spesso un mezzo per risolvere problemi interpersonali di varia natura non dovrebbero essere sottovalutati, poiché si impongono come fattore di rischio per futuri gesti suicidari. Nella genesi dell’atto suicida possono essere rintracciabili molteplici motivazioni: il tentativo di autodistruggersi, una manovra estrema per attirare l’attenzione, una richiesta di aiuto. Le ragioni date per descrivere tale volontà possono essere rinvenute in affermazioni quali: “non ho ragioni per vivere”, “la vita non vale la pena di essere vissuta”. In una fase complessa come l’adolescenza in cui i giovani sono chiamati a interrogarsi sul significato della vita, della morte e dell’esistenza, l’ideazione suicidaria appare spesso come la risposta alle innumerevoli forme di disagio durante il normale processo di crescita. Come apprendiamo da Lowen (1972) “…non è il corpo a voler morire. Se fosse così, la morte verrebbe in modo naturale. Il suicidio è un atto consapevole e deliberato nel quale l’ego si rivolta contro il corpo perché il corpo non è riuscito a stare all’altezza dell’immagine che l’ego si era fatta
Comprendere il disagio giovanile
Alcune delle parole pronunciate da un giovane suicida, appena vent’enne, suonano in maniera profetica: “Vedete! Vedete questo corpo, dilaniato, caduto in pezzi e poi, abilmente ricucito, queste cicatrici, così visibili, che tengono insieme parti di me, da sempre scisse, sono niente rispetto al dolore che ho provato, che provo e continuo a provare, dentro” (Anonimo).
In tali parole emerge ciò che Shneidman, padre della suicidologia, ha individuato come ingrediente base del suicidio; lo psychache. Traducibile come “dolore mentale”, “tormento nella psiche”; il termine descrive una sofferenza mentale persistente, intollerabile che intorpidisce l’esistenza, tormenta e invade la vita. Nella sua teorizzazione, Shneidman definisce il suicidio come il risultato di un dialogo interiore in cui la mente passa in rassegna tutte le opzioni possibili. Quando, tra le varie opzioni, emerge quella del suicidio, la mente dapprima lo rifiuta, continuando la verifica delle opzioni disponibili e alla fine in uno stato di costrizione psicologica – visione tunnel – ordina la morte come risposta plausibile, unica soluzione al dolore insopportabile (Shneidman, 2006).
Deve essere davvero questo il sentimento di mancanza di speranza che pervade molti dei giovani che scelgono di porre termine alle proprie esistenze in una fase complessa della vita qual è appunto l’adolescenza.
Per comprendere questo dilaniante dolore mentale è necessario un ascolto capace di accogliere e non spiegare le motivazioni che accompagnano il gesto. Ciò si rende possibile soltanto imparando a pensare il suicidio come movimento di cessazione del dolore e non come desiderio di morte. Il tentativo di cura dovrebbe essere volto a produrre una trasformazione della qualità del dolore mentale affinché da insopportabile si renda “appena tollerabile”. Agire su questo dolore e poterlo contenere significa poter prevenire il suicidio. Un concetto base nel trattare, non solo gli adolescenti, ma tutte le persone suicide, è che un atto di suicidio può essere atteso se il livello del dolore della persona o il dolore anticipato eccede la soglia di tolleranza del dolore stesso (Shneidman, 1993). La suicidologia classica considera il suicidio come un tentativo, sebbene estremo, di porre fine a tale sofferenza, insostenibile per l’individuo.
È inoltre di primaria importanza chiedersi quale sia il rapporto tra comportamento suicidario e depressione. La comprensione della relazione, non causale ed esistente tra i due fenomeni, può essere rintracciata nelle parole utilizzate da L. Tolstoj “ La verità è questa: la vita non ha alcun significato per me. Ogni giorno della mia esistenza, ogni fase della mia vita, mi portava vicino al bordo di un precipizio, da dove io vedevo bene dinanzi a me la rovina finale. Fermarsi, tornare indietro, era in egual misura impossibile: né potevo chiudere gli occhi in modo da non vedere la sofferenza, l’unica cosa che mi aspettasse, la morte di tutto quello che ero in me fino all’annullamento totale. Così io che ero un uomo sano e felice, fui portato a pensare che non avrei mai potuto vivere e che una forza irresistibile mi stava trascinando verso la tomba”. Così Tolstoj parla della sua depressione con toni simili a quelli cui fa riferimento Shneidman per descrivere la sofferenza mentale sottostante il gesto suicidario.
La cultura dominante non sembra più in grado di offrire occasioni strutturate e riconosciute di elaborazione della confusione tipica dell’adolescenza e i giovani scelgono spesso, come rito di passaggio all’età adulta, il senso unico delle condotte a rischio, più estreme. Queste condotte, il più delle volte, inoltre, non assolvono la loro funzione iniziatica non presentando la caratteristica dell’ esperienza rituale, occasionale e codificata. La condizione odierna nei giovani sembra attualizzare le riflessioni maturate negli anni 70’ da John Schwab, il quale osservava che “le prove epidemiologiche indicano la probabilità che la depressione diventi epidemica nel prossimo decennio man mano che la nostra popolazione reagisce alle forze sociali prevalenti e che il clima sociale modella tali reazioni in forme il più possibile arrendevoli e socialmente accettabili”. L’autore notava una crescente incidenza di reazioni depressive nei giovani frutto dell’accumularsi di sentimenti di perdita e di delusione.
Schwab (1973) riteneva inoltre che le aspirazioni dei giovani adolescenti “sono troppo ambiziose” e che la delusione per la mancanza di risultati nutre il terreno sul quale fiorisce l’affermazione depressiva”. L’autosvalutazione e la colpa divengono elementi strutturanti del vissuto depressivo e del comportamento suicidario. In entrambe le condizioni, il tema centrale è sicuramente l’impotenza: la persona si sente incapace non appena viene avvertita una sproporzione tra le proprie abilità e quelle altrui e la vita assume connotati negativi. L’individuo è convinto che nulla potrà migliorare la sua situazione, è disperato ed ha la dolorosa sensazione di essere solo, sentimenti questi che si imprimono nel corpo e attraverso il corpo trovano espressione.
A dominare la società odierna, è il modello culturale della paura che genera, soprattutto nei giovani, effetti dannosi; scarsa sperimentazione di sé, carente esplorazione come movimento di crescita, incapacità nel mettersi alla prova in modo responsabile. Sembrerebbe che gli adolescenti oggi incarnino l’adulto nelle sue parti più “malate”, imprigionati, da un lato, dalle proprie paure e incertezze e dall’altra dal desiderio di potere.
Nello scritto “Lutto e melanconia” Freud (1915) rintraccia i motivi sottostanti il suicidio nei sentimenti sadici e ostili: “ è questo sadismo, e solo questo, che risolve il rebus della tendenza al suicidio”. E ancora “ I malati (di melanconia) riescono alla fine a prendersi le loro rivincite, per la via indiretta dell’autopunizione, sugli oggetti originari, e a tormentare i loro cari tramite l’infermità contratta per evitare di dover manifestare direttamente la propria ostilità”. Con queste parole, Freud non sembra voler identificare la reazione depressiva con una manovra inferta per ferire la persona amata. Egli evidenzia la stretta relazione tra suicidio, depressione e repressione dell’ostilità e ribadisce l’importanza di valorizzare tale relazione al fine di comprendere l’individuo depresso e la sua tendenza al suicidio.
Il termine “depressione” oggi è ampiamente abusato, utilizzato troppo spesso per indicare una qualsiasi, seppur fisiologica, oscillazione del tono dell’umore; particolare cautela occorrerebbe prestare prima di individuare eventuali reazioni depressive in un periodo complesso quale quello adolescenziale. Le varie forme espressive in cui si declina l’adolescenza contemplano anche reazioni depressive transitorie all’interno del naturale sviluppo. “La depressione è un modo di morire, emotivamente e psicologicamente. La persona depressa non soltanto ha perso la propria gioia di vivere ma ha perso temporaneamente anche la voglia di vivere”.
A seconda del livello della depressione si attua una progressiva rinuncia alla vita; ciò spiega perché la depressione, spesso, si accompagna a pensieri, azioni o sentimenti suicidi.
Negli adolescenti a rischio di suicidio ricorre una marcata ambivalenza riguardo al vivere o al morire oltre che al farsi aiutare o rifiutare tale aiuto, tale condizione crea nell’altro una difficoltà di comprensione. Eseguire una valutazione sistematica del rischio di suicidio e di eventuali segnali predittivi di comportamento suicidario in adolescenza è di primaria importanza. Fondamentale per la valutazione dell’imminenza del rischio suicidario è l’analisi della comunicazione, dei segnali verbali, dei segnali comportamentali e di alcuni eventi situazionali (Sanchez, 2001).
Qualunque cambiamento repentino o drammatico nello stile di vita dell’adolescente, il suo rendimento scolastico nonchè i suoi comportamento devono essere presi attentamente in considerazione. Esistono infatti, diversi segnali d’allarme indicativi di aumentato rischio di suicidio nei giovani.
Strategie di prevenzione
La prevenzione del suicidio in adolescenza prevede approcci di frequente utilizzazione nei contesti scolastici quali la sensibilizzazione, l’utilizzo di programmi di screening, di giochi di ruolo e incontri tra coetanei volti al riconoscimento dei segnali di rischio. La maggior parte di questi programmi si è dimostrata efficace nel migliorare le conoscenze e creare un atteggiamento di maggiore sensibilità verso i giovani a rischio di suicidio. Una sensibilizzazione ai problemi mentali che possono frequentemente insorgere in adolescenza può favorire nei familiari e nelle persone vicine all’adolescente una più attenta osservazione dei comportamenti e maggiore comprensione delle diverse forme di disagio adolescenziale.
Un intervento di sensibilizzazione negli adolescenti rende quest’ultimi capaci di individuare un pari in crisi e di ricorrere all’assistenza eventuale di un professionista della salute mentale che può rivelarsi indispensabile nei momenti di bisogno.
Nella prevenzione dei comportamenti suicidari si rende dunque necessario: identificare le diverse forme di disagio giovanile anche nel loro primo manifestarsi e creare appropriati canali comunicativi; essere osservatore attento per la valutazione della disperazione e del dolore mentale, individuando cambiamenti repentini sia a livello del comportamento verbale che non verbale; sostenere gli studenti che hanno insuccessi a scuola, soprattutto quelli meno dotati; porre attenzione alle assenze soprattutto quelle ingiustificate nel contesto scolastico sia alla loro durata che frequenza; non stigmatizzare le forme di disagio mentale; individuare i giovani che abusano di sostanze come alcol e droghe; proporre ai giovani più vulnerabili un trattamento psicologico di supporto; essere informato sul possesso di materiale pericoloso o divieto di accesso a questo materiale (armi da fuoco, pesticidi, coltelli, medicinali etc.) da parte di giovani a rischio.
In sintesi, quali promotori di una poetica di cura accessibile ed efficace è indispensabile la creazione e lo sviluppo di una forma di attenzione continua ai giovani adolescenti che, assicuri un percorso esistenziale agevole e offra la possibilità di costruire un bagaglio di esperienza atto a guidare in modo più responsabile le successive prove evolutive.
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Tabella 1. Segnali d’allarme ravvisabili in adolescenza potenzialmente indicativi di aumentato rischio di suicidio
- Mancanza di interesse per le attività abituali
- Generale scadimento della performance o delle abilità cognitive (attenzione, concentrazione, memoria etc.)
- Riduzione o mancanza della volontà
- Comportamenti negligenti nel contesto scolastico
- Assenza inspiegabili o ripetute assenze ingiustificate nel contesto scolastico
- Abuso di tabacco, alcool o droghe (compresa la cannabis)
- Coinvolgimento in atti di violenza o bullismo tra studenti o atti che richiamano l’intervento della polizia
- Depressione del tono dell’umore, isolamento e ritiro sociale
- Hopelessness, cioè mancanza di speranza
- Dichiarazioni scritte e verbali riguardanti la morte, l’intenzione di morire e la mancanza di voglia di vivere
- Attrazione per la morte ed il morire
- Disfarsi di beni o lasciare le proprie volontà
- Drastici cambiamenti del comportamento o della personalità, come trascurarsi nell’aspetto e isolarsi dagli amici e familiari