Il gioiellino di Andrea Molaioli, nel sostanziale anonimato della confezione (ma dai!, c'è Servillo che fa l'incazzoso paranoico ce ce l'ha con il mondo), stravolge una speranza che era sorta dopo la visione della Ragazza del lago: e cioè che il cinema italiano avesse un regista capace di muovere la macchina come si deve, con pudore verso i personaggi e rispetto verso la sua storia. Questa volta, invece, bastano i primi minuti per capire che tutto è andato in vacca, che la macchina si muove alla cazzo, possibilmente con carrelli laterali che si generano l'uno dall'altro, funzionando da raccordo di montaggio, con l'aggravante che in questo modo si percepisce che Molaioli lo fa con un senso, che ci crede veramente a quello che fa. E invece nel film nulla funziona, se non gli attori, ché quelli sono bravi anche quando fanno sempre lo stesso personaggio, oppure perché tirano fuori il ruolo della vita, come Remo Girone, che è straordinario e racchiude nel suo volto papalino cinquant'anni di imprenditoria democristiana, poi travolta dalla modernità. Per il resto Molaioli sembra pensare che il pubblico del suo fim sia completamente deficiente, per cui butta lì per un'ora e mezza dettagli a manetta (naturalmente mostrati con un bel movimento di macchina), esempi per dummies per spiegare le truffe milionarie e un tono didascalico spalmato sull'intera storia che fa sembra Il gioiellino a qualcosa di leggermente superiore a una fiction Raiuno della domenica sera. Li odio per il solo fatto che mi hanno costretto a vedere al cinema quello che in tv non mi sognerei nemmeno lontanamente di affrontare.
Magazine Cultura
Il gioiellino di Andrea Molaioli, nel sostanziale anonimato della confezione (ma dai!, c'è Servillo che fa l'incazzoso paranoico ce ce l'ha con il mondo), stravolge una speranza che era sorta dopo la visione della Ragazza del lago: e cioè che il cinema italiano avesse un regista capace di muovere la macchina come si deve, con pudore verso i personaggi e rispetto verso la sua storia. Questa volta, invece, bastano i primi minuti per capire che tutto è andato in vacca, che la macchina si muove alla cazzo, possibilmente con carrelli laterali che si generano l'uno dall'altro, funzionando da raccordo di montaggio, con l'aggravante che in questo modo si percepisce che Molaioli lo fa con un senso, che ci crede veramente a quello che fa. E invece nel film nulla funziona, se non gli attori, ché quelli sono bravi anche quando fanno sempre lo stesso personaggio, oppure perché tirano fuori il ruolo della vita, come Remo Girone, che è straordinario e racchiude nel suo volto papalino cinquant'anni di imprenditoria democristiana, poi travolta dalla modernità. Per il resto Molaioli sembra pensare che il pubblico del suo fim sia completamente deficiente, per cui butta lì per un'ora e mezza dettagli a manetta (naturalmente mostrati con un bel movimento di macchina), esempi per dummies per spiegare le truffe milionarie e un tono didascalico spalmato sull'intera storia che fa sembra Il gioiellino a qualcosa di leggermente superiore a una fiction Raiuno della domenica sera. Li odio per il solo fatto che mi hanno costretto a vedere al cinema quello che in tv non mi sognerei nemmeno lontanamente di affrontare.
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