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“Carte scoperte” – Walter Pozzi

Creato il 15 febbraio 2016 da Temperamente

Mentre Mario, Ousmame, Geremia, Alferio, Ritanna sono al Circolino tutti i giorni, a giocare a sala quaranta e poker, fuori nel mondo succedono un bel po’ di cose. Carte scoperte, l’ultimo romanzo di Walter Pozzi è infatti ambientato negli anni tra il 1998 e il 2003, quando gli eventi subiscono una pazzesca accelerata e in un modo o nell’altro se ne viene coinvolti.

Quando i due aerei entrano nelle Twin Towers, il gruppo, pur così lontano anni luce da ciò che accade, si ritrova a parlarne. Walter Pozzi dipinge quel tipico bar di provincia che probabilmente tutti noi abbiamo visto: il bar dei comunisti, dei vecchi pasionari di sinistra, di quelli che hanno vissuto in un mondo ormai scomparso, ma che ancora non se ne sono accorti. Il Circolo Garibaldi – con  i suoi tavoli e sedie di legno perennemente occupati da giocatori, i suoi mazzi di carte perennemente in giro, i suoi conti segnati sul bloc notes del gestore – mi ha riportato alla memoria un bar (circolo della cooperativa) che era sotto casa mia a Milano: interni in legno, frequentato soltanto dal solito fisso gruppo di pensionati/andi, e cucina molto spartana e casereccia. Quell’aria immobile, ferma, intangibile al mondo di fuori non poteva che incutere rispetto e stima, ma anche un senso di appartenenza molto forte: non si può entrare se non si è parte integrante del gruppo (il circolino, appunto) e infatti io stessa non mi sono mai azzardata a sostarvi.

Non ascolto musica, leggo sempre meno, vedo film schifosi. Sono costretto al risparmio più meschino, lavoro ogni giorno e pago la mia libertà con la schiavitù. Non mi resta altro che un simulacro di illusoria speranza in un mondo senza ricchi, affrancato dalla mentalità borghese.

Certo, nel bar di Walter Pozzi i discorsi non sono proprio quelli da bettola. I suoi frequentatori hanno un parlare e un ragionare attivo e affatto scontato, nonostante l’attività perenne e principale sia quella di giocare a carte. Addirittura, Mario ne ha fatto la sua professione, il suo modo per sopravvivere e tirare avanti, per pagare l’affitto e le spese, adesso che uscito di prigione e divorziato il mondo non ha molto da offrirgli.

Eppure, del mondo, al Circolino si parla: le scelte della politica di Bush e le ripercussioni sullo scenario internazionale, le elezioni politiche alle porte e l’arrivo di Rutelli come candidato leader della sinistra, le operazioni marketing della Casa delle Libertà, e poi il social forum e il G8, che vede Ritanna, convinta manifestante, subire le angherie della polizia. Eppure, dal Circolino non ci si sposta mai e gli unici momenti del romanzo ambientati fuori sono nei ricordi di Mario e nella sua abitazione. Una vita costantemente passata a rimuginare, riflettere, controbattere e, fondamentalmente però, non cambiare.

Quando cerchi sul dizionario una parola che abbia una valenza politica, devi sempre chiederti chi scrive i significati. Allora ti accordi che il vocabolario non è diverso da un mazzo truccato

Il controllo delle persone passa attraverso le parole. Non molti si soffermano su questo genere di considerazioni, tanto vere quanto complesse e non univoche. «Le parole sono importanti!» e lo si sapeva da ben prima che Nanni Moretti ce lo urlasse in faccia; e lo sono soprattutto per chi le usa tutti i giorni per lavorarci: gli scrittori, ma anche i politici. Votare o non votare? Giocare a carte scoperte oppure no, continuare a macchinare strategie per sopravvivere? Essere o non essere – di sinistra?
Alla fine di tutto, se le parole hanno un peso, beh, anche i gesti devono essere coerenti e seguirle. Perciò, è così che il romanzo si chiude con una presa di posizione definitiva del suo protagonista, che si conclude anche con un simbolo (il pugno chiuso) molto esplicativo.

Walter Pozzi, Carte scoperte, Paginauno,  2015, € 15


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