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Case - 2 -

Creato il 08 febbraio 2011 da Valepi
1. Via Ospedale – seconda parte -
Il mio ragazzo abitava a 300 metri da via Ospedale. Tutti in salita, ovviamente ripidissima. Per arrivarci dovevo superare l’Ospedale Civile, l’Ospedale Pediatrico, l’Istituto di fisiologia e l’Istituto di Fisica: mi sentivo un po’ assediata dalla scienza ma l’attenzione alla salvaguardia dei miei polmoni e la vista della città dall’alto mi distraevano abbastanza da farmi dimenticare che le scalette che portavano da via dei Genovesi a via Corte d’Appello potevano rappresentare una delle tante porte dell’inferno offerte dalla città. Via Corte d’Appello, un portico antico e bellissimo, seppure semiabbandonato a se stesso, era, all’epoca, e temo ancora, uno dei luoghi di maggiore spaccio di eroina della città. Il mio ragazzo ed i suoi coinquilini, che ormai facevano parte dell’arredamento della città vecchia, passavano tranquillamente e indenni tra tossici accovacciati negli angoli, escrementi degli stessi abbandonati in diversi punti della piazzetta, spacciatori che ostentavano finta indifferenza e, più di una volta, tossici in overdose stesi nell’androne della vecchia Facoltà di Architettura. Ci è capitato spesso di chiamare il 113 per qualcuno di questi poveri ragazzi, ci è capitato di accompagnare alla fermata un’amica e di passare di fronte ad una macchina parcheggiata serenamente che abbiamo trovato al ritorno poggiata su quattro mattoni di cemento, ci è capitato di farci aprire la uno parcheggiata sotto casa come fosse una scatoletta di tonno con l’apertura a strappo, ci è capitato di vedere la mattina alle 8.30 i ragazzi della scuola superiore lì vicino bucarsi sulle scalette, ci è capitato di passare davanti ad una riunione di spacciatori per lo smistamento di un grosso carico di droga… se al tempo avessi già avuto a casa Romanzo Criminale avrei cercato il Libano tra quelle facce.
Era un quartiere caratteristico, pieno di contraddizioni, e tristissimo. Il centro storico della città: strade strettissime, case antiche, umide e buie, abitate dalle persone più povere e umili, si mischiavano con monumenti antichi, attici ristrutturati, pub e locali alla moda e tutti sembravano far finta di non vedere la tristezza di quello che succedeva per strada.
L’appartamento dove viveva il mio ragazzo non si differenziava in nulla dal resto del quartiere, ma ci dava una stanza dove potevamo stare insieme e tanto mi bastava.
Intanto nella casa di via Ospedale la tensione tra le ragazze cresceva.
EmmeAdettaCi mancava spessissimo, spesso intere settimane, per stare con il fidanzato manesco, io mi preoccupavo di non saper che raccontare ai genitori, in caso di visita improvvisa, Emme si preoccupava del suo rendimento e delle sue assenze (erano nello stesso corso). Poi tornava, magari con un occhio nero, giurando che questa volta era finita, di aver capito gli errori fatti e che non voleva ricascarci, noi lo insultavamo per tutta la sera e dopo averne dette di ogni, la sera dopo, li trovavamo abbracciati come due piccioncini e dovevamo pure cenarci assieme.
Da tutto questo Esse, il topino furbo, era piuttosto distante. Dormiva quasi tutto il giorno, mi chiedevo quando seguisse i corsi, si svegliava al pomeriggio e si preparava per la serata, rientrava tardissimo, spesso in compagnia, facendo un casino bestiale. Emme cominciava a sentirsi un po’ esasperata, aveva il sonno leggerissimo e la mattina doveva alzarsi presto per andare in reparto. Io cominciavo a sentirmi un po’ incazzata: rientrare convinta di avere qualcosa da mangiare e trovare la mia dispensa vuota mi faceva imbestialire, così come scoprire che aveva messo qualcosa di mio senza chiederlo (me ne accorgevo dall’odore di fumo).
Anche per questi motivi, forte della mia grande capacità di affrontare faccia a faccia questo tipo di problemi, avevo preso a dormire sempre più spesso a casa di A. Una mattina passai da casa prima di andare a lezione. Entrai silenziosamente in camera, per non disturbare Esse, presi quello che mi serviva e richiusi la porta. Esse dormiva, tutto nella regola. Prima di uscire mi ricordai che avevo dimenticato un quaderno importante e rientrai in camera e… quasi mi veniva un infarto, la trovai seduta sul letto che chiacchierava con una tipa. Capelli corti ed un espressione loschissima (sembrava Gianna Nannini in un film di bande di strada), nella descrizione di Emme era anche leggermente claudicante… questo dettaglio, in seguito ci fece capire che era piuttosto nota in certi ambienti.
Evidentemente pensavano che fossi già uscita ed erano venute fuori dalle coperte sotto cui si stavano nascondendo. Lì per lì non ci pensai troppo, poi nel corso della giornata iniziai a chiedermi dove avesse dormito la tipa. Probabilmente non nel letto con Esse… sarebbe stato troppo scomodo. Restava solo il mio letto.
Non sono particolarmente schizzinosa, ma la cosa mi fece un po’ schifo e, comunque, avrebbe potuto chiedermelo. Il pomeriggio stesso escogitai il mio stratagemma per scoprirle. Cambiai le lenzuola al letto e tirai su la trapunta lasciandole un po’ in disordine sotto. La sera dormii da A e la mattina dopo tornai a casa per controllare: il letto era perfettamente rifatto, segno che qualcuno si era sentito in dovere di rifarlo dopo averci dormito.
Ne parlai con Emme che mi confessò che da qualche giorno il casino durante la notte era aumentato. Esse rientrava tardissimo, verificava che io non ci fossi e dopo una mezz’oretta qualcuno bussava alla sua finestra e lei li faceva entrare. Facevano chiasso per un sacco di tempo e poi dormivano lì. Lei se ne era già lamentata con i proprietari senza, però, raccontare tutto, ma era proprio esasperata.
Non feci mai in tempo a chiedere spiegazioni ad Emme. Anzi in realtà non la vidi più dopo quella volta nel letto.
Avevo appena dato il primo esame che mi aveva procurato un 29 ed una cistite trascurata, per cui il giorno stesso partii per rientrare a casa e, al rientro, trovai la serratura del portone cambiata. I festini organizzati da Emme durante la notte erano diventati talmente evidenti e rumorosi che i proprietari se ne accorsero una notte e cacciarono via tutti, intimando a lei di lasciare entro una settimana l’appartamento. Lei andò via il giorno stesso e non tornò più nemmeno per lasciare le chiavi, nemmeno per pulire lo schifo che aveva lasciato. Lo pulì Esse, lo schifo, e trovo siringhe e cotone nascosti persino dietro la cucina. Avevo avuto per tutto quel tempo una tossica in stanza e non me ne ero mai accorta.
Nel frattempo il primo anno era passato, il posto in stanza si era liberato giusto in tempo per accogliere mia sorella ed EmmeAdettaCi era rimasta incinta ed aveva sposato il fidanzato manesco, con conseguenze devastanti per lei, il bambino e la sua famiglia che ancora ne pagano le spese (ma questa è un’altra storia).
Una sera ero sola e mentre facevo la doccia è saltato il contatore della luce. Non immaginatevi uno di quei bei contatori bianchi di oggi, tutti elettronici, che ispirano sicurezza solo a guardarli. Il nostro era uno di quelli neri, vecchi, vecchissimi, con i fili che uscivano di sotto. Ho avuto giusto il tempo di affacciarmi in corridoio prima di vedere che la bolletta che avevamo lasciato nella nicchia del contatore stava prendendo fuoco, riuscendo a toglierla prima che le fiamme si allargassero alla tendina che, per fortuna, quella volta era aperta. Ho resistito alla tentazione di fuggire con solo l’accappatoio, mi sono vestita con quel poco di luce che il tramonto ancora mi lasciava e, con l’asciugamano a turbante a coprire i capelli bagnati, mi sono affacciata nel retro del bar per avvertire i proprietari dell’accaduto. Non c’erano, ma i ragazzi del bar si affacciarono per vedere se era tutto a posto, a parte il cortocircuito.
Non me ne accorsi nemmeno, ma ad un certo punto mi ritrovai sola con uno di loro. Non lo conoscevo, faceva il simpatico, cercava di farmi passare lo spavento, faceva battutine che nell’ansia del momento non capivo nemmeno. “Ah, sei stata fortunata, hai fatto bene a venire a chiamarci. Ma tu sei la più simpatica. Sei la più carina”. Ci è voluto un attimo e mi sono trovata stretta contro il muro con le mani del viscido addosso che cercava di baciarmi. L’ho allontanato, cacciato fuori, e dopo essermi chiusa la porta dietro, ancora con i capelli bagnati sono scappata a casa di A, mangiandomi la salitona in pochi secondi. Giusto il tempo di realizzare che ero stata vittima di molestie e forse di un tentato stupro.
La sera, a lume di candela, ne parlai con le ragazze e con i proprietari. Non era la prima volta che ricevevano lamentele sul viscido, lo mandarono via poco dopo, ma ormai l’anno era finito e noi stavamo già cercando una casa più accogliente.
Eravamo pronte per la casa di Lucifero.

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