C'è una pila semi-infinita di libri sulla mia scrivania. Libri che ho letto e che aspetto di pubblicare qui sul blog prima di metterli a posto, in maniacale ordine alfabetico per autore in una delle 89760476950764 mensole che spuntano fuori in ogni angolo di casa. Un'altra tra le altre mille cose che continuo a rimandare, perchè sono una ragazza pigra e indolente. E così ho deciso, per sfoltire la pila, di iniziare a fare le bozze delle mie 'recensioni', copiando la trama in quarta di copertina e le citazioni sottolineate, così da poterne mettere via un po'. E così sto facendo da sabato, more or less. E stasera è toccato a Casino Totale, ma riportando le citazioni, mi sono ricordata piano piano il libro, il momento in cui l'ho letto (si era, ancora, ai tempi del call center cacato), le sensazioni che mi ha dato e quindi, presa un po', ho deciso di finire e pubblicare ora. Dunque, tanto per cominciare, se siete cattolici ferventi e praticanti, ve lo sconsiglio vivamente: potrebbe nuocere al vostro buon umore. Ma io che non conosco nessuno dio, me ne sono fottuta altamente. E anzi, ho apprezzato. In particolar modo la rabbia che prova Montale (il protagonista nonchè voce narrante del romanzo) nei confronti di un dio in cui non crede: quando intorno a sé vede sofferenza e violenza gratuita e degenerazione. La stessa che provo io e che ho provato in passato e che mi ha fatto accendere la miccia dell'ateismo. Se anche voi ve ne fottete o invece volete comunque leggere questo libro sappiate che vi ritroverete in una Marsiglia appiccicosa e assolata e cattiva. Vista da uno sguardo amareggiato, ma incredibilmente innamorato della vita. Scoprirete, sempre che già non lo sappiate e allora ignorante me, l'incredibile ed esotica mescolanza di maghrebini, italiani e francesi: amore e odio e forza.
Che dire, tutto sommato il libro mi è piaciuto, sono molto belle le considerazioni esistenziali di Montale con cui mi sono trovata spesso d'accordo, bella anche l'ambientazione e sapere che una città così relativamente vicina in linea d'aria a dove vivo io è anche così diversa e così uguale a qui. Se però aprendo la prima pagina, state cercando di zittire la fame di noir che normalmente un Bunker, un Ellroy, un Lansdale o un Leonard saziano in maniera spropositata, rimarrete leggermente a bocca asciutta. Il casino totale c'è, i protagonisti incastrati e traditi e desiderosi di vendetta ma anche intelligenti, ci sono, c'è pure la pupona e il carico di amore insaziabile che si porta dietro, però non saprei, saranno appunto l'ambientazione e il troppo filosofeggiare che smorzano il tutto, sarà che è un libro francese (senza discriminazioni), ma non convince in questo senso. Ordunque ecco a voi la trama riportata papale papale dalla quarta di copertina:
Dopo anni di vagabondaggio nei mari del Sud, Ugo torna a Marsiglia per vendicare Manu, l'amico di gioventù assassinato dalla malavita. Ma anche lui resta ucciso e toccherà a un terzo amico, Fabio Montale, il compito di fare giustizia.
Tutti e tre - Ugo, Manu e Montale - sono cresciuti nei vicoli poveri del porto di Marsiglia. Assieme hanno fatto i primi furtarelli, poi qualche rapina, ma hanno anche condiviso i sogni di paesi esotici, i primi dischi e i primi libri, le nuotate in mare, le ubriacature. E soprattutto hanno amato la stessa donna, Lole. Poi le strade si sono separate: Manu si è perso in giochi criminali troppo grandi, Ugo è partito, Montale è diventato uno strano poliziotto, più educatore di strada nei quartieri difficili che sbirro. Ora dovrà sostenere un'inchiesta durissima contro tutto e tutti, in una città, Marsiglia, simbolo di un Mediterraneo diviso tra bellezza e violenza, tra due colori: l'azzurro del cielo e del mare e il nero della morte e dell'odio.
E ora, dopo tanto parlarne, eccole, le citazioni, perlopiù l'io di Montale che ce l'ha con il mondo intero. Un po' come me. ;)
Gli piaceva che Lole fosse avara di parole, di spiegazioni. Il silenzio rimetteva in ordine la loro vita. Una volta per tutte.
Sognava sempre di essere in un posto diverso da quello dove si trovava. In un bordello di Harar. Nella prigione di Tijuana. Sull'espresso Roma-Parigi. Ovunque. Ma sempre altrove. Invece quella notte aveva sognato di dormire da Lole. Proprio dov'era, a casa di lei. Sorrise.
Alle sue domande non aveva mai trovato risposte. C'erano solo domande. Nessuna risposta. L'aveva capito, ecco tutto. Non era molto, ma era più sicuro che credere in Dio.
Ricordavo che Aznavour cantava: La miseria è meno dura al sole. Sicuramente non era mai venuto fin qui. Fino a questo ammasso di merda e cemento.
E mi vedeva steso a terra. Cinque colpi sulla schiena, come per Manu. O tre, come per Ugo. Tre o cinque, non cambiava nulla. Ne bastava uno per andare a leccare la merda nei canali di scolo.
Quando rientrai dal metrò, era già notte. Quasi le dieci. Ero esausto. Troppo svuotato per tornare a casa. Avevo bisogno di andare un po' in giro. Di vedere gente. Di sentire palpitare qualcosa che somigliasse alla vita.
Sapevamo che saremmo finiti a letto, e volevamo che accadesse il più tardi possibile. Quando il desiderio sarebbe diventato insopportabile. Perchè, dopo, la realtà avrebbe ripreso il sopravvento. Sarei ridiventato un poliziotto e lei una prostituta.
Se Dio fosse esistito, l'avrei strozzato lì sul posto. Senza pietà. Con la rabbia dei dannati.
E' nei momenti di dolore che si riscopre di essere un esiliato. Mio padre me lo aveva spiegato.
Per la prima volta, misi in conto che capire non mi sarebbe probabilmente bastato. Capire significa aprire una porta, ma raramente si sa cosa c'è dietro.
Misi la sveglia alle due e mi sdraiai sulle lenzuola blu, esausto. Con lo sguardo di Lole su di me. Il suo sguardo quando il suo corpo era scivolato sul mio. Nero come l'antracite, millenni di nomadismo. Leggero come la polvere delle strade. Cera il vento, troverai la polvere, dicevano i suoi occhi.
"Cosa ne pensi?"
"Penso che lo sguardo degli altri è un'arma di morte".
Mi lasciai cadere sul fianco. Mi guardò un attimo e fu sul punto di dirmi qualcosa. Invece, sorriese. Un sorriso dolce, e neppure io seppi cosa dire. Restammo così, in silenzio, guardando altrove. Già alla ricerca, ognuno per conto suo, di una possibile felicità. Quando la lasciai, era solo una puttana. E io, come sempre, nient'altro che uno sbirro.
E senza dubbio, ciò che mi aspettava fuori dalla porta era la schifezza del mondo.
L'amicizia non tollera debiti.
L'impressione di freschezza era svanita. Avevo voglia di andarmene, di essere sulla mia barca, al largo. Il mare e il silenzio. L'umanità intera mi usciva dagli occhi. Tutte quelle storie non erano altro che la parte più infima della schifezza del mondo. Su grande scala: guerre, massacri, genocidi, fanatismo, dittature. C'era da credere che, venendo al mondo, il primo uomo si era sentito talmente fregato che nutriva solo odio. Se Dio esiste, siamo dei figli di puttana.