Cremona non lascia funzionare le proprie istituzioni democratiche, inceppate in un conflitto d’interessi e in una concentrazione di poteri che mette sabbia negli ingranaggi. Antonio Piva è presidente della Libera agricoltori, di Cremonafiere, di Publieventi (che ha l’esclusiva su due importanti eventi ‘culturali’ del Comune di Cremona) e del giornale La Provincia, nel consiglio d’amministrazione del quale si può ritrovare con Giovanni Arvedi, l’industriale che costruisce il misterioso (nei programmi) Museo del Violino e poi ne rinvia l’inaugurazione da settembre a gennaio. Un simpatico circolo chiuso, che comprende, stringe, soffoca in un incantesimo il sindaco Oreste Perri, votato dalla maggioranza dei cremonesi per una carica che nelle sue prerogative essenziali (responsabile della salute e della sicurezza, ad esempio) rappresenta tutti, anche se il programma è inevitabilmente di parte.
Così il Comune appare stretto in una morsa che non lo lascia respirare né dialogare con i cittadini. Il Comune, purtroppo, stenta a funzionare come organo di garanzia, come istituzione super partes, quale in alcune circostanze deve essere, quando deve rappresentare l’interesse generale dei cittadini. Così l’Osservatorio Arvedi non si riunisce regolarmente con cadenza frequente, i cittadini di Cavatigozzi non sono ammessi con un loro rappresentante, il confronto tra le parti non è stato mai attivato (acciaieria – suoi vicini di casa). L’Osservatorio Tamoil da tre anni non è convocato, non esiste uno studio indipendente sulla situazione della Tamoil, come non esiste sul funzionamento dell’acciaieria.
Non si tiene conto, quanto all’Arvedi, che sì, è vero che le emissioni di diossina restano sotto i limiti di legge, ma ci sono comunque. Pochi anni fa il giudice di Adria (Rovigo) ha condannato l’Enel per i danni determinati dalle ricadute a terra delle sostanze inquinanti emesse dalla ciminiera, caso reso noto da Beppe Grillo. Il problema delle ricadute delle sostanze nocive esiste e le università lo conoscono. Perché non discuterne, perché non fare rilievi? Nessuno ha l’intenzione di chiudere l’acciaieria, diffamarla: l’Italia ha bisogno di industrie e imprese e di lavoro, ma anche di democrazia. Com’è possibile che la democrazia qui non produca un confronto civile ma anzi criminalizzazione di chi protesta? E’ possibile a causa della concentrazione di poteri di cui sopra. Ma si può sperare che inizi a regnare il buon senso? Il giornale La Provincia la smetterà di parlare di “attacchi” e di “criminali”? L’inquinamento acustico dell’acciaieria è stato documentato dall’Arpa nella misura di sette-otto notti al mese. Nello stesso tempo l’acciaieria non sembra in gran salute.
Le prese di posizioni degli ultimi giorni colpiscono: tutte le parti in conflitto fra loro hanno bisogno di essere rappresentate dal Comune, tutte necessitano di un luogo in cui far valere i legittimi interessi e diritti e trovare però una coesistenza pacifica con le controparti. Si assiste a un confronto parziale, che non vede mai il Comune protagonista. Si discute, ci si attacca, ma non si arriva alla sintesi. Il risultato è un deperimento della democrazia.
Stupiscono i sindacati e pure Massimiliano Bosio della Fiom: perché si limita ad accettare il dato delle emissioni di diossina senza ampliare il discorso alle ricadute che danneggiano l’agricoltura? Non interessa sia a Piva che al suo giornale l’agricoltura? I cittadini residenti sono forse contrari per principio alle attività delle imprese o vogliono che funzionino possibilmente meglio? Tocca al sindaco, all’Osservatorio Arvedi, al Comune organizzare un confronto efficace. Invece sembra che l’intenzione sia quella di zittire i più deboli. Una scelta davvero debole, che peggiora il conflitto.
p.z.
0.000000 0.000000