Ieri ho avuto il piacere di assistere ad un evento che ha tutte le caratteristiche per passare alla storia. Non è detto che questo accada, ma gli elementi ci sono tutti. Dopo oltre 6 ore di lavori (4 di dibattimento e 2 di camera di consiglio) la Commissione Disciplinare della FCI ha accolto sostanzialmente le richieste della Procura federale della FCI è ha condannato una società sportiva, ASD Montemurlo Vangi, i suoi dirigenti e il suo medico sociale per uso di farmaci. Sembra nulla, ma è tanto. Proverò a spiegare.
La tesi dell’accusa, rivelatasi poi vincente, è la seguente: non esiste, su soggetti sani (quali si presumono gli atleti agonisti) necessità di utilizzo di pratiche mediche tendenti a favorire il recupero, a migliorare le prestazioni o a rendere più sicuri, ancorché queste pratiche non sono doping. Un tale utilizzo si prefigura come violazione del principio di lealtà sportiva.
Prima di raccontare cosa è successo in aula vale la pena ricordare brevemente la storia di questo caso, che si è confuso con quello (questo sì, legato al doping) dell’atleta Bani. Lo juniores circa due anni fa viene trovato positivo ad un controllo. La procura antidoping del CONI lo convoca e lo interroga (verrà poi deferito e condannato). L’atleta rilascia alcune dichiarazioni spontanee, nelle quali racconta anche di pratiche usuali presso la sua società di cure mediche tendenti a favorire il recupero fisico e il reintegro vitaminico. Pratiche lecite con farmaci non dopanti.
Tanto basta alla Procura federale della FCI per aprire un’inchiesta, convinta che in presenza di soggetti sani tali pratiche si prefigurano come tentativo di utilizzare scorciatoie per ottenere risultati. La prima udienza, circa sei mesi fa, venne interrotta perché si rese necessario un parere qualificato su questioni di carattere medico-scientifico.
Il caso in breve è diventato un punto nodale per capire e intendere lo sport agonistico e il rapporto con le cure mediche. Infatti sono stati coinvolti luminari come Luciano Caprino (illustre farmacologo e membro della commissione di vigilanza della legge antidoping) da una parte e Santo Davide Ferrara dall’altra, per dirimere se le cure mediche su soggetti sani si possano definire “abuso” oppure rientrano nella normale e lecita pratica discrezionale di un medico.
Filosofia? Forse, ma l’udienza di ieri ha offerto numerosi spunti di riflessione.
Intanto questa la sintetica cronaca della giornata
L’udienza si è aperta puntale alle 12,30. La Commissione Disciplinare era composta dal Presidente, avv. Vincenzo Ioffredi, e dagli avvocati Decio Barili, Emiliano Celli. Presenti anche i consulenti della Commissione, prof. Luciano Caprino, prof. Dario D’Ottavio e dott. Benedetto Ronci.
La Procura Federale, rappresentata dall’avv. Gianluca Santilli, era supportata dal consulente dott.ssa Raffaella La Russa.
La Difesa era rappresentata dagli avvocati Francesco Paolo Maresca, Federico Cecconi e Marco Cecconi, dal prof. Santo Davide Ferrara e dalla dott.ssa Elena Guggiari. Hanno assistito al dibattimento anche il Presidente della società, Maurizio Vangi, il medico sociale, dott. Stinchetti, e i sigori Viciani (ds) e Benvenuti (dirigente).
L’udienza è entrata nel vivo con l’introduzione del procuratore federale Santilli, il quale ha illustrato i motivi del deferimento, ricordando come l’utilizzo di medicinali per soggetti sani, quali sono gli atleti agonisti, è da considerare una violazione del principio di lealtà, soggiacendo ad una non corretta interpretazione dell’attività sportiva. Ha risposto la Difesa, ricordando che non sono mai state realizzate pratiche mediche in modo seriale, ma che gli interventi del dott. Stinchetti erano mirati e operati secondo scienza e coscienza, nell’ambito della discrezionalità propria di ogni medico.
I periti della Commissione sono stati chiamati a rispondere di 25 quesiti specifici, riguardo l’utilizzo più o meno appropriato di alcuni medicinali e l’opportunità di tali pratiche.
Da parte sua, il perito della difesa, il prof. Ferrara, pur condividendo l’impianto di base della Procura, ovvero quello che mira a sanzionare uso non giustificato di medicinali, ha ricordato che non ci sono evidenze di danni derivanti dalle cure prestate agli atleti, meno che mai intenzione di alterare, migliorare o modificare la prestazione sportiva.
Dopo una breve pausa sono seguite le arringhe finali.
La Procura ha citato autorevoli interventi che hanno evidenziato la mancanza di lealtà nell’uso di medicinali in soggetti sani e che anche in questa udienza non emerso nessun elemento che abbia fatto ritenere gli atleti in questione bisognosi di una qualche terapia medica. Il procuratore Santilli ha concluso chiedendo la censura e pena pecuniara per la Società e la squalifica per tre anni del dott. Stinchetti, due per il direttore sportivo e dirigente.
La difesa si è richiamata alle norme vigenti che delineano gli ambiti operativi del medico sociale e alla perizia del prof. Ferrara.
La parte istruttoria si è chiusa alle ore 16,42. La Commissione ha letto il dispositivo alle ore 18.45
Questa la sintesi, ma le questioni aperte nel dibattimento sono tante.
1. Se la giurisprudenza conta nel mondo sportivo, questa sentenza potrà essere ripresa da altre Federazioni che avessero il coraggio di interrogarsi su quanto accade all’interno delle proprie società. Probabilmente con questa sentenza alle spalle, anche un caso come quello della Juventus e del dott Agricola avrebbe avuto un altro esito sportivo.
2. E’ emerso nel dibattimento che tutte le pratiche tendenti al reintegro e al recupero fisico, come i metodi “classici” per far superare piccoli momenti di stanchezza sono inutili anche se frequenti. Un’abitudine e una consuetudine che da oggi, almeno alla FCI (ma mi auguro anche negli altri sport) non è più tollerata.
3. Dove finisce la discrezionalità del medico sportivo?
4. E’ punibile una pratica medica che non provoca danni? Per la difesa (prof. Ferrara) e per la giustizia ordinaria no, per la procura federale (e la sentenza l’ha confermato) sì, visto che viola un principio, quello della lealtà, che comprende anche l’intenzione e non solo il fatto. In questo la giustizia sportiva può apparire sommaria, ma per certi versi è più fine.
5. E’ emerso, da parte dei luminari coinvolti, che qualsiasi aiuto farmacologico non mirante a curare particolari patologie ma tendente a reintegrare è inutile nella misura in cui può essere sostituito da una corretta alimentazione. Sarebbe veramente fantastico se questo venisse spiegato anche nelle scuole e agli istituti di medicina dello sport, visto che spesso (come è emerso anche nel dibattimento) gli stessi medici sportivi non lo sanno.
In generale mi auguro che questo processo, svolto con la complessità e l’approccio di un processo ordinario, con un intesa attività delle parti, sia per quello che riguarda la procura federale che per la difesa, possa essere sviscerato e conosciuto nel dettaglio. Gli argomenti addotti tra procura e difesa hanno avuto il pregio di essere “generali”, ponendo un quesito di fondo che merita in futuro una risposta: lo sport agonistico moderno, così com’è pensato e praticato, va bene o bisogna in qualche modo ripensarlo?
La Federazione Ciclistica ha dato una sua prima parziale risposta, adesso bisogna che tutte le componenti sportive si sforzino di dare il proprio contributo e far si che un simile scontro di idee alla fine non sia stato vano. Le pene comminate, infatti, sono irrisorie rispetto alla posta che era in gioco.
Antonio Ungaro