Al Cairo si stanno ormai moltiplicando le ipotesi sulla morte di Giulio Regeni. Ovviamente, nessuno mette in dubbio che sia stato ucciso il PhD student dell’Università di Cambridge, al momento della scomparsa ricercatore in Egitto. E all’omicidio certo si è aggiunta l’aggravante delle torture subite. Così, se al Cairo regna la confusione, in Italia – a Roma – la procura è sempre più convinta che i motivi della morte di Regeni siano da ricercarsi all’interno delle sue stesse ricerche. Ma sta sempre più prendendo piede l’ipotesi che le torture subite dal giovane non gli siano state inflitte da criminali comuni, ma da professionisti del crimine con buona probabilità particolarmente avvezzi alla pratica della tortura.
Attualmente il computer di Giulio Regeni è stato messo sotto esame, ma dai primi risultati pare che il ragazzo non avesse legami con i servizi segreti. E così – dalla stessa inchiesta – si è registrata la totale assenza di “contatti equivoci” fra Regeni e persone che potrebbero destare sospetti. Oltre a ciò, si è potuto chiaramente appurare che le ricerche del giovane non hanno mai sconfinato al di là del contesto universitario. Dunque, ricerche del tutto inerenti al suo ambito di studio. La procura di Roma – che sta conducendo le indagini – vuole quanto prima contattate i gestori dei maggiori social network, affinché forniscano le credenziali con cui Regeni entrava nei diversi profili. L’intento è essenzialmente quello di sondare ogni centimetro della vita del ragazzo, e capire se – ai quattro angoli del mondo – vi siano possibili sospetti intorno ai quali indagare, nonché geolocalizzare gli spostamenti del giovane di Fiumicello (Udine). I pm romani vogliono conoscere tutto della vita di Giulio Regeni, perché nulla resti nell’ombra e possa risultare utile ai criminali che l’hanno torturato e ucciso. Ora si attende la risposta dei gestori dei social network. Per ora le password non sono arrivate agli inquirenti.
Di Regeni sono certi i contatti in mezzo mondo. Già a 17 anni era studente presso la sede del New Mexico del Collegio del Mondo Unito di Duino. Una vita di spostamenti infiniti e ricerche senza fine. L’Egitto non sarebbe altro che una semplice meta di una rete di viaggi iniziata diversi anni prima. La procura vuole dunque acquisire i dati dei dispositivi gps, anche se – fra i primi vuoti pervenuti all’inizio delle indagini – vi è proprio la scomparsa del telefono cellulare di Giulio Regeni. All’indomani della sua morte è sparito, e proprio all’interno del cellulare potrebbero nascondersi le risposte che servono agli inquirenti. Inoltre non si hanno notizie di schedature in Egitto sul conto di Regeni. Soltanto, si sa dell’esistenza di una foto scattata nel corso dell’assemblea di un sindacato indipendente, all’interno della quale compare il giovane di Fiumicello.
Secondo la procura di Roma i risultati, attualmente in possesso, permettono di tracciare il profilo di una vita piuttosto ritirata. In altri termini, Giulio Regeni non sarebbe stato particolarmente avvezzo alla vita mondana del Cairo, e lontano da certi ambienti, è quasi certo che le sue frequentazioni siano da ricondurre al contesto universitario. E dai primi test tossicologici si è accertata l’assenza di droghe nel corpo del ragazzo. Ma gli interrogativi sono ancora tanti. Primo fra tutti: perché nessuno si è preoccupato di far sparire il suo computer? Dalle prime analisi le informazioni contenute al suo interno hanno dimostrato che le ricerche del Regeni erano limitate al dottorato, e null’altro al di fuori dell’ambiente universitario.
Il pm romano, Sergio Colaiocco, ha già chiesto di poter ottenere i verbali delle testimonianze, il referto dell’autopsia compiuta in Egitto, i dati pervenuti dall’analisi delle celle telefoniche, nonché i filmati delle telecamere di sorveglianza e il fascicolo aperto dalla procura del Cairo. Ma ad oggi – dopo tre settimane dalla richiesta – non è ancora arrivato nulla! Roma continua a pressare, ma dall’Egitto le risposte non pervengono. La procura di Roma dispone soltanto – attualmente – dell’autopsia effettuata dall’Istituto di Medicina legale de “La Sapienza” e del computer su cui continuano le analisi degli esperti. Un’indagine fra due procure e due Paesi che faticano a dialogare. Troppe ombre. Troppi silenzi. E il tempo si allunga, mentre si attendono risposte certe sulla morte del giovane ricercatore italiano.
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