Non ci posso credere, non ci vorrei credere, ma mi devo arrendere alla realtà: l’intelligentzia italiana è ancora più rozza di Cassano. Dal milionario in braghette il “frocio” me lo aspetto, fa parte dell’anafalbetismo di mestiere, è consustanziale a un ambiente dove l’omofilia del corpo richiede la sua dose di omofobia. E poi di uno che si vanta di aver avuto in poco tempo non so se 700 o 900 donne si può supporre che il cervello non sia l’organo che riceve più sangue.
Purtroppo la stessa cosa accade anche a chi non si sottopone a questi surmenage e non rincorre palle, anche se spesso le spara. C’è tutta una scuola che si esercita sulle parole di Cassano e non vi vede motivo di riprovazione o di dissonanza con quel poco di civiltà rimasta e nemmeno s’interroga sull’escalation degli episodi di omofobia violenta come dimostrano le quattro aggressioni in pochi giorni avvenute a Roma, in base alla sorprendente tesi che le parole del giovanotto in braghette siano un fatto privato e non pubblico. Poco importa che vi siano decine di giornalisti attaccati all’apparato fonatorio del campioncino, come se fossero essi stessi tatuaggi, per coglierne qualsiasi opinione o grugnito che poi vengono diffusi coram populo e seguite da milioni di giovanissimi: secondo l’illuminato Mentana ciò che Cassano pensa sull’omosessualità può interessare solo ai suoi familiari o al massimo alle starlette che frequenta. E perché mai visto che il calciatore è passato più volte in inclite e colte trasmissioni per presentarci la sua Weltanshauung e la sua concezione del wille zu ficken? Perché mai quando è una persona che suo malgrado e soprattutto nostro malgrado fa opinione?
Il perché ce lo spiega il Montesquieu di Fabio Fazio, al secolo Gramellini, il quale sostiene che le opinioni di Cassano sui gay equivalgono a quelle di Giovanardi sul 4-3-3. Evidentemente sedotto dai tecnici al governo questa singolare concezione prevede che Cassano debba essere ascoltato dagli avidi lettori di cose sportive solo quando parla di calcio, mentre Giovanardi può parlare di tutto salvo che di calcio di cui non è competente. Ma che competenza ha l’augusto onorevole sull’omosessualità se non il fatto di esserne ossessionato come un ambiguo adolescente? E soprattutto perché dovremmo ascoltare Gramellini quando non parla del suo campo specifico, cioè del giornalismo? Però il vicedirettore de La Stampa è molto attento alle competenze e già in passato aveva proposto un esame di politica per gli elettori, escludendo dal voto chi non ne sapeva abbastanza, dimostrando così di essere un asino in democrazia e dunque di non essere titolato a parlarne.
Tutti questi rozzi e risibili arzigogoli svelano il retroterra culturale e psicologico in cui si muove chi fa informazione in Italia: da un lato il sentirsi parte di un’elite privilegiata vicina al potere, dall’altro il barcamenarsi per non spiacere a nessuno. In questo caso l’anguillesco tentativo di non colpire i tifosi e ammiratori di Cassano che certo sono inorgogliti dalla virilità di quel “frocio” e magari le correnti politiche adiacenti e dall’altra di non urtarsi con chi disprezza l’omofobia. Così per cavarsi d’impaccio hanno stabilito che si tratta di considerazioni private che non sarebbero dovute comparire e che in ogni caso non provengono da persona competente e dunque non sono credibili. Questi sarebbero gli esperti di comunicazione. Proprio questi che invece trovano normale le esternazioni del campioncino sul suo consumo seriale di figa, come se questo facesse parte di una “cultura” anzi di quella stessa cultura.
Forse sotto sotto sono un po’ omofobi anche loro.
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