Anna Lombroso per il Simplicissimus
Era il Bel Paese. Per Dante, il “bel paese là dove ’l sì sona”, per Petrarca, “il bel paese Ch’Appennin parte e ’l mar circonda e l’Alpe”, o Antonio Stoppani, “Il Bel Paese”. Era talmente bello che una bellissima Carta impose la sua tutela come obbligo e come diritto inalienabile, ma si sa quella bella costituzione è stata talmente tradita da essere ormai solo carta straccia.
È un paese ammalato, ferito, avvelenato, soffocato dal cemento largamente abusivo ma legittimato in una aberrante proporzione: alla minore crescita demografica del continente corrisponde il maggior consumo di suolo. Dal 1950 la popolazione ha avuto un incremento del 28 per cento, mentre la cementificazione è progredita del 166 per cento. Il consumo di suolo procede trionfalmente illimitato: ogni giorno, lo dice l’Istituto superiore per la ricerca ambientale, vengono ingoiati cento ettari di terreno, dieci metri quadrati al secondo. E intanto l’edificazione barbarica soffoca il suolo, lo impermeabilizza così le aree urbane se piove diventano delle tombe marine, ne cambia la destinazione d’uso, così il paese dove fioriscono i limoni è un posto affamato da un deficit alimentare, aggravato da inique regole dell’espressione geografica europea, che lo costringe a importazioni sorprendenti. Pudicamente gli istituti di ricerca centellinano i dati ufficiali sulla cementificazione e sull’urbanizzazione superflua, futile se interi condomini restano invenduti, con quelle finestre nere come orbite vuote aperte sulla povertà. Gli ultimi, di oltre due anni fa, dicono che stavamo per doppiare la media europea di dissipazione del territorio tramite cementificazione, con oltre il 7 per cento rispetto al 4,3 per cento dell’Ue.
Succede attraversando la pianura padana di non scorgere più nemmeno le vestigia di quella campagna felix, pingue e opulenta, ridotta a giardinetti coi sette nani a corredo dell’occupazione di case e casette e fabbricati in barba a regolamenti, favoriti da condoni seriali, tollerati quando non promossi da amministrazioni infedeli all’interesse generale. Riferisce il Corriere della Sera che in testa alla top ten della cementificazione c’è la provincia di Monza, seguita da Napoli e subito dopo da quella di Milano, di Varese, di Como, così che dispetto del buonsenso, della sostenibilità e della salvaguardia ha realizzato un’opera di unificazione degenerata.
Per restare nel solco dei poeti che hanno cantato l’Italia bella, cementificazione fa rima con speculazione. E la speculazione, l’abusivismo, la tolleranza dell’illegalità che sconfina nella corruzione danno luogo all’indifferenza e al rifiuto delle responsabilità del buon governo. Ma l’inclinazione al laissez faire, Venezia ne è diventata il luogo simbolico, non nasconde solo inadeguatezza e incapacità, ostenta invece il perverso disegno che ha connotato e connota il susseguirsi dei governi nazionali e locali, quello di far deteriorare i problemi fino a farli diventare crisi da fronteggiare con un sistema di emergenza fatto di licenze, leggi speciali, commissariamenti, deleghe in bianco, in modo che dietro alla cortina dell’urgenza improrogabile, tutto sia legittimo fino a diventare legale, tutto sia permesso fino a diventare desiderabile, perché il disordine e l’inosservanza delle regole facilita arricchimenti opachi e profitti veloci e oscuri, spalleggiati da produzioni normative ad hoc, come nel caso delle misure speciali per una Protezione Civile, dinamica macchina d’affari, in caso di catastrofi o grandi eventi, alluvioni o gare ciclistiche, regate, mondiali di nuoto, beatificazioni, visite pastorali, convegni eucaristici, vertici politici e militari, pellegrinaggi.
Non esistono catastrofi naturali in una contemporaneità che ha fatto credere all’uomo di possedere la potenza necessaria a governare, possedere e manipolare l’ambiente intorno a sé e i suoi fenomeni. Esistono problemi che facciamo diventare rovinai, accadimenti che assumono la tragica forma di piccole apocalissi. Eppure governo, media, comunità scientifica, in nome dalla dismissione dalle responsabilità che riguardano la tutela del bene comune, preferendogli quello privato, preferiscono assimilarli al contesto dell’impossibile, dell’ineluttabile, dell’imprevedibile e ingovernabile, promuovendo inazione e censura, menzogne e rimozioni, incolpando il destino cinico e baro di una fragilità e vulnerabilità prodotta e consolidata dal malgoverno. Che non è solo quello centrale, le responsabilità sono ben distribuite su un territorio sottoposto al sacco anziché alla tutela.
Quando più di cinquant’anni fa Fiorentino Sullo ebbe la sfrontatezza sorprendente in un promettente democristiano di proporre una legge urbanistica per ostacolare la speculazione edilizia promossa da una spericolato boom economico, il provvedimento non passò e lui fu costretto a ritrarsi dalla scena politica. Oggi l’altrettanto anomalo ministro Catania propone un testo per la difesa del suolo dal consumo insostenibile e le prime a insorgere con ecumenica prudenza e ribellione bipartisan opposizione sono le regioni, compresi gli assessori di Sel, così il testo finirà in un cassetto in attesa di “essere riscritto”, accusato di verticismo da enti che per anni hanno peccato nel migliore di casi di omissione di soccorso del territorio, quando non di omicidio volontario.
Ma si tratta di “reati” di governo, segnati dalla globalizzazione delle responsabilità: forti della teoria dell’imprevedibilità delle catastrofi, una serie di eventi restano nell’ambito delle emozionanti avventure virtuali del National Geographic Channel. Sappiamo che un giorno chissà le pendici del vulcano di Cumbre Vieja, a La Palma, isole Canarie, crollerà creando un mega-tsunami attraverso l’Atlantico. Sappiamo che San Francisco e Los Angeles tremeranno per un apocalittico sisma. e sappiamo, perché è successo che più volte ogni secolo una tempesta perfetta ha investito la costa atlantica degli Stati uniti, provocando rovina e distruzione. E oggi proprio oggi cerchiamo di contare i danni prevedibilissimi di una ondata di maltempo in Italia. Segno che ogni molecola di anidride carbonica aggiunta all’atmosfera terrestre negli ultimi trent’anni, toglie dal contesto della “normalità naturale” i fenomeni atmosferici, che le emissioni globali, secondo la più ottimistica delle stime, sono giunte a quello che il Panel Intergovernativo sul Cambiamento del Clima ha considerato il «caso peggiore». Peggiore perché la radicalizzazione degli eventi, la loro estremizzazione si combina con territori sempre più soffocati, trascurati e manomessi.
La brutale geopolitica, come d’altra parte Schumpeter, insegnano che le crisi del passato hanno trovato una festosa soluzione nelle guerre, che dalla recessione si è guariti, sia pure e a costo di lutti e terribili disuguaglianze, con le ricostruzioni. Non vorremmo che la guerra scatenata contro l’ambiente da un sistema ispirato solo da profitto e accumulazione, aspiri a far vincere ancora una volta lo sfruttamento dell’uomo, come delle risorse, ad arricchirsi sulle macerie, a montare per avidità i cavalli neri dell’apocalisse. Se così fosse, sappiano che hanno perso, che la terra si sta ribellando e che se non fermano i loro armamenti sprofonderanno con noi e come noi: i Maya siamo noi.