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Catastrofisti che non siete altro

Creato il 24 maggio 2011 da Sullamaca

Mario Calabresi Cosa tiene accese le stelle. Storie di italiani che non hanno mai smesso di credere nel futuroNon so, voi, ma io soffro a vedere con quanta arroganza l’umanità si autodistrugga. Vorrei fuggire lontano da questi pazzi che non si accorgono di essere su un treno lanciato in velocità contro un muro. Mi irrita vivere in un mondo che si inebria dell’overdose di energia, che si bea dell’illusione di poter crescere infinitamente e che non ha nemmeno il coraggio di domandarsi che succederà quando la pacchia sarà finita.

Ma supponiamo anche per un solo istante che l’economia possa ancora crescere, che sotto i nostri piedi ci siano enormi giacimenti inesplorati di petrolio, rame, uranio e banane fritte: io lo stesso provo un grandissimo disagio a vivere sulle spalle di due terzi dell’umanità, sottopagando il loro lavoro, depauperando la loro terra di preziose risorse, respingendoli alle frontiere perché non possano godere del benessere che ci procurano.

La pensate anche voi così? Pensate che questo sistema capital-consumistico sia alla frutta, e che le prossime ristrettezze energetiche e alimentari ci metteranno in ginocchio? Avete torto. Questo libro di Mario Calabresi, giovane direttore de La Stampa di Torino, vi dimostra che è tutto nella vostra testa, e che con un po’ di zucchero la pillola va giù, la pillola va giù,la pillola va giù.

L’Italia si riscatterà da questo periodo buio, e con essa il sistema predatorio che ha abbracciato, questo è il messaggio di Calabresi. Leggiamo dalla presentazione che la nonna di Mario andava a letto esausta, dopo una giornata spesa a lavare montagne di lenzuola e pannolini. Poi un giorno paf! la fatina azzurra le ha materializzato la lavatrice, lo spartiacque tra il prima e il dopo. Il fatto che in un paio di generazioni di sprechi ci siamo giocati l’energia per far funzionare quelle macchine non sfiora il nostro Mario.

Calabresi parla di scienziati, artisti, imprenditori, giornalisti e persone comuni che hanno inseguito i propri sogni, e si sono realizzati: chi ha guarito i malati incurabili, chi è diventato un prestigioso astronomo e spera ancora di vedere l’uomo su Marte, chi ha trasformato la sua tesi di laurea in un’azienda californiana di successo. Invece oggi i giovani non investono più nel proprio futuro perché sono attanagliati da uno scoramento profondo, da una rassegnazione che si trasmette endemicamente, o per via ereditaria.

Il senso è, più o meno: “Orsù, giovani, se non riuscite a trovare lavoro non c’entra la globalizzazione, né il collasso del sistema. È solo perché non avete l’ottimismo dei cercatori d’oro del Klondike!”

Consideravo Calabresi un buon giornalista, ma questo peana del sogno americano, del successo di pochi a scapito di molti, mi ha molto deluso. E delude soprattutto il fatto che non si tenga conto della sbornia dello sfruttamento delle materie prime, che ha realizzato il mondo così come lo conosciamo (come cantano i R.E.M.), attribuendo invece la causa del benessere di oggi allo spirito pionieristico dei nostri padri.

Il libro sprizza ottimismo da ogni pagina, e intervista persone di valore: Umberto Veronesi, l’oncologo che sostiene inceneritori e centrali nucleari, Massimo Moratti, il presidente più pirla del calcio italiano (che se non fosse nato ricco, ora non sarebbe nessuno), e Jovanotti, la negazione della musica che si guadagna da vivere facendo il cantante.

Come dire: se ce l’hanno fatta loro, ce la farete anche voi. Siete gli unici responsabili del vostro lavoro precario di merda, datevi da fare, perdio!

Spero che questo libro non lo legga nessuno. Io farò la mia parte.

 


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