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Caterina Davinio - Il libro dell'oppio

Da Ellisse

caterina davinio - il libro dell'oppioCaterina Davinio - Il libro dell'oppio, Puntoacapo Editrice, collana AltreScritture, 2012
Credo che abbia perfettamente ragione Mauro Ferrari quando dice, a proposito di questo libro:"Credo che la difficoltà di accedere alla poesia di Caterina Davinio sia trovare il (soggettivo) punto di accesso,  laddove cioè la superficie del significante si apre o meglio lacera". Per quanto questo sia generalmente vero per ogni opera di poesia o d'arte in genere, nel caso di Davinio l'accento è da porre appunto in quel "soggettivo". Ma non si tratta qui della soggettiva del lettore generico, con il suo bagaglio culturale e psichico. bensì di qualcosa di sociologico, o se volete di impoetico. Perchè in questo libro si parla di droga, con quel che scatta al riguardo in termini di accettazione, empatia, sospensione del giudizio, volontà di capire beneficiando del mezzo artistico; oppure - viceversa - in termini di rigetto, categorizzazione etica o politica, o peggio ancora morale. Davinio ne ha qualche consapevolezza se - nella breve nota introduttiva - mette le mani avanti: "Di certe malattie del corpo e dell'anima forse è meglio non parlare, dissimulare, non turbare la suscettibilità di chi al mondo riesce a dipartire con tanta sicurezza il bene e il male, la salute e l'afflizione, il paradiso e l'inferno". Ma tant'è, archiviamo la cosa a titolo di cronaca, come un rischio che andiamo a schivare rapidamente. Quel che importa è che poi, alla fine, Davinio abbia scelto di pubblicare queste poesie, datate 1975-1990, rimaste nel cassetto per più di un ventennio. Scegliendo di parlare, invece, scegliendo di costruire con questi testi un border song, un canzoniere del confine innumerevoli volte attraversato in prima persona, il limitare tra essere e non essere di cui il corpo, talvolta smagrito fino all'anoressia talvolta involucro pesante veicolo di sinestesie feroci, è monade compulsiva su cui anche gli affetti si frangono, è pietra confinaria di continui tragitti tra piacere e dolore, tra vita e morte, tra speranza e disperazione. Corpo come luogo quindi dell'ossimoro (come annota giustamente Ferrari) e quindi degli estremi entro i quali spesso la ragione ("Ragione! Ragione! Filo sottile / che sorregge un corpo immenso / multiforme...") e la logica (come si conviene a tutti gli ossimori) hanno scarsa cittadinanza. Ma per fortuna ce l'ha il linguaggio, ovvero l'io che si recupera, ovvero la capacità di trovare le parole per dire. Che, proprio in queste antinomie o paradossi esistenziali che poeticamente registra, trova una sua bellezza spigolosa, una tagliente evidenza, una straniata oggettivazione, il tempo a volte sospeso in apnee o oasi. Elementi che del resto avevo trovato anche nell'altro libro di Davinio annotato in questo blog (v. QUI). Vorrei chiarire marginalmente che a mio avviso qui non si tratta di una poetica del (politicamente corretto) "disagio", qui si tratta di un onesto libro sulla fame di vivere velocemente, sulla ricerca del piacere im-mediato e sulla lotta alla noia, e perfino su un periodo della nostra storia. E conta qui rilevare la consapevolezza artistica che emana da questi testi, anche dai più immaturi (questo lungo diario asincrono inizia quando Davinio era poco più di una ragazzina), quelli per intenderci in cui risenti galleggiare il punk, il rock e soprattutto il post-post-beat. Ma liberati da questi ammennicoli, da un certo "letterario ardore" (parole dell'autrice) o da qualche minimale compiacimento al nero, i brani si fanno incisivi e gravidi di senso e occupano di prepotenza la pagina. (g.c.)

Forza di gravità (Overdose 2)

Il freddo disse:

chiamami,

- e arrivò dalla punta delle dita -

accorro come

la mano di dio —

e - affievolisci, rallenti -

schiacciato al tappeto sul pavimento di marmo

marmo morbido come piume

gelo inesorabile carezzevole come neve

constati senza tremare -

l'immobilità signora - già

appiattita al suolo

dalla forza di gravità

di cui non rammentavi

ed ella si impossessa potente

e pensi (perche il pensiero sempre galleggia

come un turacciolo in un catino):

un sopravanzante raggelarsi

fino alla stasi definitiva

dalla punta delle dita al centro del cuore

si raggomitola al cuore il sangue, pigrissimo

converge nello spessore di un pugno

disertando membra marmoree

e non sono, non so.

La terra ha il potere

la forza dì gravità ha il potere

le lastre del mattonato sotto i glutei hanno il

potere

forza di gravità

domina

e abbraccia

stringe e lega

l’anestesia come un bruno velo

cade su fragili circostanze,

vira al nero,

piccoli suoni

nulla.

Mentre mi avvince

con le imposte chiuse

come timide ciglia dietro le tende

il vano cieco della finestra,

unico appiglio,

sempre più lontano.

1981

Anorexia

Dieci giorni,

solo eroina,

lunghi sogni

stesa sul divano

nel mio sacco di preziose ossa

poi mi guardo

spettrale specchio

guardo

che giorno è

che ora è

è luglio, luglio di sempre

l'estate fila (filtra) abbacinante tra le fessure delle serrande

e ho dormito per secoli

in un abisso immaginifico

mentre voi vivevate intorno

ignari

e oggi la casa è vuota

raccolgo il mio adorato

scheletro

lieve come una piuma ed elastico

nei pantaloni neri

vestita di nero

come un segno di cattivo potere

Venti giorni

solo pasticche

acqua, gocce,

purganti,

solo nulla

solo girare dì notte

solo polveri

e una forza disumana

dei nervi

che scatta potente

come una molla

e fa correre, bruciare

rincorrere

tutto l'effimero della città-giocattolo

tutto ciò che mi svuota

finché la vita sento

più forte nel corpo flebile

elastico come un giunco

fino come un filo d'erba.

1981

Anorexia 2

E ballando vedo le mie gambe esili

volteggiare rapide sotto la minigonna

- sono l'unica in pista di mercoledi -

e il disc-jokey mette ì miei dischi preferiti

e mi lancia occhiate colme di pietà

e vorrebbe salvarmi,

e ciò mi spaventa,

(non sapevo di essermi persa

di camminare sul filo

come un suicida

posposto)

e percorrere

e rincorrere

e lasciarmi percorrere

le membra oscillanti fradice di marcio desiderio,

tutto ciò che mi svuota,

quell'immenso potere.

Droga e altro (L'ora delle tentazioni)

Nel respiro

di costipati toraci

di corsa in discesa

squilibrio - squarcio

nelle vecchie coperte

angoli dove viziati intonaci

nel buio sbrecciano

mostrano il nudo, l'occhio

la mezza luna

il santo cosmico disordine

l'interferenza - l’infinita

IRA

Intemperante, invogliata

dalle intenzioni

all'insubordine

sovverto visioni

(strade piatte e irriducibili case gialle

su cui la noia si avventa con la sua nuda falce

imperversa sul nulla disteso sulle vie indifese

e le uccide inesorabile con la luce)

inosservata spio dal lucernarìo

nella stanza profonda come una cripta.

Quadrato prospettico

con tropicali florescenze

mi lascio prendere, lenta,

intralciando il corso del tempo, con

letterario ardore

(perduta come

nel santo giorno del giudizio),

immelanconita solo dallo svanire

del buio, nel levigato passaggio

dell’Alba senza scrupoli

e dal corto fiato.

*

(Emozionante

privilegio

di amarti).

Di sentire il

piacere

sottopelle.

Ma l'amore disegna

scalini

dissolti / disciolti

delle fontane.

Ed è impossibile trattenerli.

Cosi fluisci

come una dose,

lavacri del sangue

rovinato e atterrito

che corre ai suoi fiumi

e ai suoi mari sommersi

in sette secondi

penetra, buca il cervello,

le sue evoluzioni

indifese

1984

Overdose

Il capo ruzzola tra le gambe

come una palla di legno

cadi, notte bruna

negli occhi,

la porta a un palmo

inaccessibile

in ginocchio

e colpi furiosi sul battente logoro

loro ti salvano e picchiano come demoni

sul tuo inetto uscio sudicio inciso

mi chiami per nome, urlano

e io in ginocchio

ella lei l’angelo la dea

muore in un’angusta latrina

a un passo dalla salvezza

narcotiche polveri e whisky

liquidi passaggi definitivi

prendono il sopravvento

vanno alla testa come un pugno

e la riempiono all’orlo, trabocca shakerando

con una botta conclusiva

come l’onda di un mare incazzato

whisky e polveri

al cervello fuso

e notte intorno

e la porta blu a un palmo

e chiamano,

infuriano

là fuori.

1981

Toxic Gallery 1

E su tutti

si osservava vivere

e pensava sempre

più cose contemporaneamente

Una bellezza

di nervi.

A letto era un'artista,

nei momenti creativi,

che la potevi rompere

quella delicata bambola punk

viziosa.

(Eroina) Bassi/Fondi

Ho bisogno del tuo tocco,

giù, nei bar malfamati della città,

dove sorrisi e occhiate s’intrecciano

e qualcuno cadrà

sulla strada.

Luci dei caffè

quasi vuoti,

faccia a faccia

deporre ogni arma

inseguendo un'onda struggente,

il maroso soffice.

Galoppano

incalzati dal freddo.

1981

*

Perché sono tornati?

Perché sono caduti di nuovo

nella durezza nella dolcezza?

Tu verrai avanti

tutto in nero

in uniforme notturna

portando la tua innocenza per le strade.

E' passato il tempo

è durato un secondo

sento il sangue scorrere via cupo

mi accorgo

che ho sofferto per nulla.

Ho visto ore che non passavano mai

se ne sono andate da sole

dove andavano?

Non le ho sentite passare.

1982

Con/Temporanei

Mi accarezzi

distante

velluto

sotto pioggia

a dirotto

mi faccio

pos -

se -

de -

re

braccia forti

larghe spalle

e passo inquieto

siamo serpenti

nottivaghi

Fratture elettriche

del suono

chiusura di

composto sipario

ti avvolgo in sguardi

d'amore

non corrisposto

morsa

nel corpo

scosso

dal velenoso

infinito.

Infinito

racconto

quotidiano

Con/

Temporanei

Un punto fermo (Sul grattacielo)

Era notte, notte fonda

(perché la notte ha un significato)

e io ero in alto

e le automobili giocattoli

punti sulla pista illuminata

dalle luci gialle.

   Il tempo gettava sabbia

   fastidiosa sottile;

al ventunesimo piano

guardai la neve fioccare giù

quasi in mezzo alle nuvole

dove piccole stelle

   di neve

si formano

(nascono gemendo dal buio).

1983

*

Mi alleno all'imperfezione.

Torni e le porte sono aperte.

Per giacere con me

chiami, in multivisione,

da una specie di astronave ultima,

ma sono in ginocchio,

su di me insetti,

un segno della mia morte;

quei morsi mi lasciano intatta

come se venisse un vecchio amore a trovarmi,

una memoria di vita, bimbi e rifiuti.

1983

Demon at work

Cosi vi mento

vi guardo con gli occhi lucidi e belli

della menzogna

vi nascondo vene logore

tagli

l'idrofobia della mente

e il mio triste odio

poi ho miei speciali interruttori

per sedare i crampi

arrestare lacrime codarde

rialzarmi come un fantoccio

lasciarvi (lanciarvi) uno spiraglio di verità

da cui si insinua il nostro

reciproco disamore,

il sospetto e la riprovazione da tempo infinito

tra queste mura solerti come uno scellerato crimine

scivolo ogni giorno

col volto triste e pensoso

vi mento ogni giorno,

occulto le turbinose spire

dirottate e rabbiose del mio cervello.


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