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Il taglio è di quelli pseudo-documentaristici con budget mini e anche meno a disposizione, per questo sia nel montaggio che proprio all’interno del quadro filmico si fa largo uso di strumenti sì tecnologici ma assolutamente alla portata di tutti. Google Earth permette di quantificare la distanza tra Nev e Megan, Google Street View di non effettuare riprese sul posto, e poi iPhone, Youtube, iTunes perfettamente calati nella quotidianità rappresentata ed indispensabili guide per lo spaesato Nev. Quindi questo è sul serio un film che riguarda noi visto che la nostra realtà è ormai costellata dalla presenza massiccia e costante di tali media. Ciò che forse riguarda un po’ meno, invece, è il cinema stesso che deve annoverare al suo interno una delle tante (e recenti) opere che non hanno granché da spartire con la settima arte. Se è vero che tutto è stato catturato in presa diretta (qualche dubbio però c’è) senza una pianificazione, uno studio, un copione, mi chiedo se è ugualmente lecito parlare di cinema o meno, ma consapevole del fatto che anche trovando una risposta le sorti dell’umanità non cambieranno, meglio proseguire oltre.
E andare dritti al succo della storia.
Dribblate le questioni etico-cinematografiche, è opportuno anticipare una cosa: questa, aldilà di tutto, e sempre fidandosi della veridicità esibita, è una vicenda molto ma molto triste.
Chiaro che dei processi di dipendenza da social network ne sappiamo già abbastanza, non per qualcosa, ma perché se state leggendo queste righe in un o modo o nell’altro ne fate parte, piuttosto demoralizza la presa coscienza delle dinamiche che fanno di internet una fittizia oasi felice dove potersi realizzare visto che il feedback di ritorno è facile da ottenere – un mi piace, un commento, basta poco – e non c’è nemmeno bisogno di metterci la propria faccia, infatti Angela mette quella di una modella canadese, facile scorciatoia per sentirsi apprezzata.
Ora, tenendo conto che il passaggio più debole della storia è proprio quello in cui i ragazzi si recano nel Michigan sobbarcandosi un viaggio non da poco per far luce su una vicenda di scarsissima entità, una volta che la donna viene smascherata e che l’obiettivo si insinua nella sua vita privata, beh, c’è quasi una sorta di nulla osta compassionevole di fronte ad un paesino semideserto, un marito mezzo bifolco, e alla cura dei due gemelli con gravissimi problemi mentali, il sentimento prevalente è perciò quello di comprensione, in fondo si sente che in quelle condizioni Angela abbia parecchie ragioni dalla sua per aver cercato una scappatoia nel mondo virtuale.
Il personaggio sofferente di Angela tende però ad offuscare quella che è la vera vittima del sistema-Facebook. Perché un ragazzo come Nev che ha tutto, ed ha veramente tutto, un ragazzo da presentare ai genitori col sorriso smagliante e i Ray-Ban di chi vuol suggerire una vita vissuta, perché un tipo così fa risiedere speranze sentimentali in un’immagine, in una foto profilo, in un album delle vacanze? Perché una persona come noi si è fatta abbindolare da una voce telefonica?
Le risposte dagli oscuri risvolti non sono contenute in questo modesto nonché superfluo film, il quale però ha il piccolo pregio di mostrare come ha fatto Fincher che il futuro non è dei migliori, e se anche un sentimento nobile come l’amore deve essere stinto dalle fredde maglie della rete, l’ultima domanda è: dove andremo a finire?
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