A Sanremo Celentano sale in cattedra, per contratto.
Nella sua prima uscita al Festival Celentano silura Avvenire e Famiglia Cristiana. Sembra salito sul predellino. Dovrebbero chiudere. E così la stampa ne parla a tamburo battente. E non solo la stampa. Il web 2.0, a cominciare da Twitter, è un fiume in piena.
Su venti ore totali di Sanremo ne avrò seguite al massimo Tre, di cui la metà, in differita, sul web. Appartengo a quella categoria di persone che dopo gli anni di gioventù passati a seguire Sanremo, deluso per la qualità scadente delle proposte musicali degli ultimi vent’anni, il Festival l’aveva archiviato. Tocca ripescarlo, per capire l’Italia. Ne parla Dino Amenduni qui.
In queste tre ore ci sta pure Celentano. Per una piccola parte. Quanto basta per non condividere l’uscita su Avvenire e Famiglia Cristiana dell’altra sera. Per quanto la loro linea editoriale non è certo di mio gradimento. Giornali che prendano soldi pubblici, per quanto non sono i soli. Una reprimenda che per questo, quantomeno, andrebbe estesa. Quanto basta per dire che, se non fosse per le sue considerazioni fin troppo parziali e approssimative, il filo del suo discorso, anche quello musicale di molto migliorato nella seconda serata, non farebbe una grinza.
Ma una grinza c’è e pure grossa. Il pulpito. Il suo pulpito. E il pulpito è un po’ come il predellino. E si sa, il predellino gioca brutti scherzi. Spesso da alla testa. Peccato che Celentano si rivolge a coloro i quali il predellino, come il pulpito, viene somministrato puntualmente alle feste comandate laiche e non. Sanremo è tra queste. Un predellino di 300 mila euro. Soldi pubblici devoluti in beneficenza, si dirà, ma per un’ora di predica non richiesta. Anche perché le ipocrisie del bel paese e i soprusi, a cui il molleggiato fa riferimento, gli italiani li conoscono fin troppo bene, visto che le pagano a caro prezzo.
E’ vero, i due giornali, come tanti ce ne sono, certo non tutti, prendono soldi pubblici, tanti, troppi se si considera che non disdegnano affatto la pubblicità e i proventi milionari. Eppure la precarietà tra i giornalisti è imperante. Il trattamento riservato a chi scrive è vergognoso e non permette certo un reddito dignitoso. 300 mila euro, spesso, per chi scrive, sono pari a quasi 30 anni di lavoro precario, mal pagato, senza uno straccio di contratto. Non parliamo poi di chi scrive senza prendere il becco di un quattrino, eppure continua a scrivere.
Dopo le polemiche della prima serata e prima della seconda predica, Celentano va in difesa e dice che non è un qualunquista. Sarà. Ma dire che “i midia (media e non midia, Celentano!) si sono coalizzati contro di me”, cos’è se non qualunquismo? Un po’ come sparare nel mucchio, con il rischio di colpire tanti innocenti che non prendono soldi pubblici, né scrivono su commissione. E così mi ritorna in mente un altro predellino grazie al quale il qualunquismo è stato eretto a modello. Quello sul quale il “tizio” del consiglio, l’editore più potente del paese, affermava che i media (tutti nelle mani dei comunisti) si fossero coalizzati contro di lui.
giuseppe vinci