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Catullo e Lesbia

Creato il 15 aprile 2013 da Dino Licci
Catullo e LesbiaCatullo e Lesbia    Dino Licci-Catullo e Lebia-acrilci su tavola 30x40
Ho voluto dedicare qualche rigo del mio diario a Catullo perché, leggendo questo straordinario autore latino, sembra quasi di trovare la sintesi di tutte le passioni umane, dei nostri slanci, dei nostri trasporti e delle nostre paure. Sentiamo spesso parlare di Abelardo ed Eloisa giustamente ricordati dal romantico Rousseau, conosciamo la storia di Paolo e Francesca immortalata dal sommo poeta Dante e la versione tragica del trasporto delle passioni di Giulietta e Romeo così come ci appare nel capolavoro di Shakespeare, ma non parliamo mai di Catullo e del suo amore per Lesbia. Ebbene in Catullo c’è la sintesi di quella apparente contraddizione che esiste nell’animo umano e che va ora sotto il nome di sentimento ora sotto il nome di razionalità in un gioco ritmico, altalenante, ripetitivo che sembra poi proiettarsi in quei corsi e ricorsi storici la cui genesi e la cui natura riusciremo a capire nel tempo. Così, come all’illuminismo segue la fase romantica e quindi un positivismo, con gli stessi cicli forse inconsapevoli ma cadenzati, Catullo stigmatizza la cascata di diverse emozioni cui l’innamoramento conduce.Lesbia è già sposata quando Catullo ne diventa l’amante. Egli si accorge subito che la femminilità che la donna sprigiona è in stridente contrasto con la fedeltà e la dedizione, ma si abbandona all’amore. E’ la fase del sentimento, quel bisogno di abbandonarsi al gioco, alla contemplazione estatica dell’oggetto del suo amore ed il fanciullo che è in lui emerge in tutta la sua prorompente vitalità e nascono i primi versi di struggente poesia anche se un’istintiva consapevolezza della caducità della vita, un’improvvisa trepidazione davanti al pensiero delle tenebre eterne, vela la felicità degli amanti ancora presi dai primi giochi d'amore :
V. Vivamus

Vivamus mea Lesbia, atque amemus,rumoresque senum severiorumomnes unius aestimemus assis!soles occidere et redire possunt:nobis cum semel occidit brevis lux,nox est perpetua una dormienda.da mi basia mille, deinde centum, anafora, allitterazione,dein mille altera, dein secunda centum, omoteleutodeinde usque altera mille, deinde centum.dein, cum milia multa fecerimus,conturbabimus illa, ne sciamus,aut ne quis malus invidere possit,cum tantum sciat esse basiorum.V. ViviamoViviamo, mia Lesbia, ed amiamo,i brontolii dei vecchi troppo serivalutiamoli tutti un soldo!I soli posson tramontare e ritornare:per noi, quando una volta la breve luce tramonti,c'è un'unica perpetua notte da dormire.Dammi mille baci, poi cento,poi mille altri, poi ancora cento,poi sempre altri mille, poi cento.Poi, quando ne avrem fatti molte migliaia,li mescoleremo, per non sapere,o perché nessun malvagio possa invidiarli,sapendo esserci tanti baci.

E’ la primissima fase del suo amore ma, come in ogni storia che si rispetti, cupe e dense nuvole si addensano già all’orizzonte, tali che partoriranno altre poesie, altri versi,altra gioia ma anche tanta sofferenza. Infatti gradualmente, lentamente l’infatuazione si trasforma in amore quindi cocente passione e passerà attraverso le fasi del dissidio e della delusione, per sfociare nell’angosciosa e drammatica fase della disperazione e dell’abbandono totale. Se finora il poeta si è lasciato trasportare dai giochi infantili della sua amata dando libero sfogo al sentimento ed alla spensieratezza, i tradimenti di Lesbia lo costringono a far riaffiorare sprazzi di razionalità in una drammatica tensione che vede contrapposti odio ed amore, speranza e delusione. E nel presentimento del tragico epilogo, il suo animo partorisce pensieri più profondi e il suo dolore, per così dire, si universalizza perché la sua condizione la ritroveremo nel tempo negli amanti di qualsiasi epoca e di qualsiasi età :Carme 72

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,sed pater ut gnatos diligit et generos.Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,multo mi tamen es vilior et levior."Qui potis est", inquis? Quod amantem iniuria taliscogit amare magis, sed bene velle minus.Un tempo dicevi di amare soltanto Catullo,o Lesbia, e per me di non volere l'abbraccio di Giove.Allora ti amai, non solo come il volgo l'amante,ma come il padre ama i suoi figli e i suoi generi.Ora ti ho conosciuta; perciò anche se brucio più forte,tuttavia mi sei molto più vile e leggera."Come è possibile?", dici. Perché tale offesa costringel'amante ad amare di più, ma a volere meno bene.


Ed esplode nel tormentato carme 85:
Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et exrucior.



Odio e amo. Perché io faccia questo, forse domandi.
Non lo so. Ma sento che accade e mi tormento.
Quando poi egli scoprirà che la sua Lesbia, proprio lei frequenta i vicoli più malfamati della città, il suo dolore, la sua costernazione esplodono e, come spesso accade, proprio allora esplode la vera poesia:
Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,illa Lesbia,

quam Catullus unamplus quam satque suos amavit omnes,nunc in quadriviis et angiportisglubit magnanimi Remi nepotes."O Celio, la nostra Lesbia,proprio Lesbia,quella Lesbia,che solo Catullo amòpiù che se stesso e più dei suoi parenti,ora nei quadrivi e negli angiportispenna i discendenti del magnanimo Remo." ...


Dino Licci

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