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Catullo: l’amore per Lesbia

Creato il 11 luglio 2012 da Cultura Salentina
Catullo: l’amore per Lesbia

Lesbia in un ritratto del pittore Stefano Bakalovich

Ho voluto   dedicare qualche rigo a Catullo perché, leggendo questo straordinario autore latino, sembra quasi di trovare la sintesi di tutte le passioni umane, dei nostri slanci, dei nostri trasporti e delle nostre paure. Sentiamo spesso parlare  di Abelardo ed Eloisa giustamente ricordati dal romantico Rousseau, conosciamo la storia di Paolo e Francesca immortalata dal sommo poeta Dante e la versione tragica del trasporto delle passioni di Giulietta e Romeo   così come ci appare nel capolavoro di Shakespeare,  ma non parliamo mai di Catullo e del suo amore per Lesbia.  Ebbene in Catullo c’è la sintesi di quella apparente contraddizione che esiste nell’animo umano e che va  ora sotto il nome di sentimento ora sotto il nome di razionalità in un gioco ritmico, altalenante, ripetitivo che sembra poi proiettarsi in quei corsi e ricorsi storici la cui genesi e la cui natura  spesso sfuggono ad una  interpretazione veramente esaustiva. Catullo, con i suoi versi, stigmatizza la cascata di diverse emozioni cui l’innamoramento conduce.

Lesbia è già sposata quando Catullo ne diventa l’amante. Egli si accorge subito che la femminilità che la donna sprigiona, è in stridente contrasto con la fedeltà e la dedizione, ma si abbandona all’amore. E’ la fase dell’innamoramento, quel bisogno di abbandonarsi al gioco, alla contemplazione estatica dell’oggetto del suo amore ed il fanciullo che è in lui emerge in tutta la sua prorompente vitalità e nascono i primi versi di struggente poesia anche se un’ istintiva consapevolezza della caducità della vita, un’improvvisa trepidazione davanti al pensiero delle tenebre eterne, vela la felicità degli amanti ancora presi dai primi giochi d’amore :

II. Passer, deliciae meae puellae
Passer, deliciae meae puellae,
quicum ludere, quem in sinu tenere,
cui primum digitum dare appetenti
et acris solet incitare morsus,
cum desiderio meo nitenti
karum nescio quid libet iocari
et solaciolum sui doloris,
credo ut tum gravis acquiescat ardor:
tecum ludere sicut ipsa possem
et tristis animi levare curas!

II. Il passero, delizia della mia ragazza…
Il passero, delizia della mia ragazza,
con cui suole giocare, e tenerlo in seno,
ed a lui bramoso dare la punta del dito
ed eccitare focosi morsi,
quando alla mia splendida malinconia
piace scherzare a non so che di caro
e piccolo sollievo del suo dolore,
credo perché allora s’acquieti il forte ardore:
teco potessi come lei giocare
ed alleviare le tristi pene del cuore!

V. Vivamus
Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
da mi basia mille, deinde centum,

dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.

. Viviamo
Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
i brontolii dei vecchi troppo seri
valutiamoli tutti un soldo!
I soli possono tramontare e ritornare:
per noi, quando una volta la breve luce tramonti,
c’è un’unica perpetua notte da dormire.
Dammi mille baci, poi cento,
poi mille altri, poi ancora cento,
poi sempre altri mille, poi cento.
Poi, quando ne avremo fatti molte migliaia,
li mescoleremo, per non sapere,
o perché nessun malvagio possa invidiarli,
sapendo esserci tanti baci.

E’ la primissima fase del suo amore ma, come in ogni storia che si rispetti, cupe e dense nuvole si addensano già all’orizzonte, tali che partoriranno altre poesie, altri versi, altra gioia ma anche tanta sofferenza.

Infatti gradualmente, lentamente, l’infatuazione si trasforma in amore,  quindi cocente passione e passerà   attraverso le fasi del dissidio  e della delusione,  per sfociare  nell’angosciosa e drammatica fase  della disperazione e dell’abbandono totale. Se finora il poeta si è lasciato trasportare dai giochi infantili della sua amata dando libero sfogo al sentimento ed alla  spensieratezza, i tradimenti di Lesbia  lo costringono  a far riaffiorare sprazzi di razionalità in una drammatica tensione che vede contrapposti odio ed amore,  speranza e delusione. E nel presentimento del tragico epilogo, il suo animo partorisce pensieri più profondi, il suo dolore, per così dire, si universalizza perché la sua condizione la ritroveremo nel tempo negli amanti di qualsiasi epoca e di qualsiasi età .

Dicebas quondam solum te nosse Catullum,
Lesbia, nec prae me velle tenere Iovem.
Dilexi tum te non tantum ut vulgus amicam,
sed pater ut gnatos diligit et generos.
Nunc te cognovi: quare etsi impensius uror,
multo mi tamen es vilior et levior.
“Qui potis est”, inquis? Quod amantem iniuria talis
cogit amare magis, sed bene velle minus.
Un tempo dicevi di amare soltanto Catullo,
o Lesbia, e per me di non volere l’abbraccio di Giove.
Allora ti amai, non solo come il volgo l’amante,
ma come il padre ama i suoi figli e i suoi generi.
Ora ti ho conosciuta; perciò anche se brucio più forte,
tuttavia mi sei molto più vile e leggera.
“Come è possibile?”, dici. Perché tale offesa costringe
l’amante ad amare di più, ma a volere meno bene.

Quindi esplode nel tormentato carme 85:

di et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.
Nescio, sed fieri sentio et exrucior.

Odio e amo. Perché io faccia questo, forse domandi.

Non lo so. Ma sento che accade e mi tormento.

Quando poi egli scoprirà che la sua Lesbia, proprio lei, frequenta i vicoli più malfamati della città , il suo dolore, la sua costernazione esplodono  e, come spesso accade,  proprio allora  esplode la vera  poesia:

 Caeli, Lesbia nostra, Lesbia illa,illa Lesbia,

 quam Catullus unam plus quam se

 atque suos amavit omnes,

nunc in quadriviis et angiportis

glubit magnanimi Remi nepotes.”

 

O Celio, la nostra Lesbia, 

proprio Lesbia,quella Lesbia,

che solo Catullo amò

 più che se stesso e più dei suoi parenti,

ora nei quadrivi e negli angiporti

sugge i discendenti del magnanimo Remo.” …

 Disperazione e dolore!


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