Magazine Cinema
(La Venere d'Ille)
(tratto da Racconti e novelle)
Prosper Mérimée
Sansoni Editore
La Venere d'Ille è ambigua, di provenienza incerta, con su iscrizioni altrettanto tali, dall'espressione affascinante ma sadica, dai tratti somatici tigreschi, sensuale, beffeggiatrice, cosa che la rende estremamente ipnotica. Viene tratta fuori dalla terra, e già in qui momenti dà a vedere il suo dominio sul maschio, ferendo uno degli incaricati dal signor Peyehorade, futuro e gioiosissimo possessore di questa bellissima statua.
A trovarlo, nel sud della Francia, arriva un fine archeologo parigino, interessato all'arte del luogo e presto risucchiato dal vortice di passione inerente la dea. Il suo bronzo è monito sull'intensità dell'amore, vissuto, se necessario, anche in maniera aggressiva.
Per il paese gira un'idea negativa della statua, e un monello non troverà di meglio che cercare di darle una lezione con una sassata; ne farà spese dolorose, altro maschio punito dall'impeto della bellissima.
Il figlio di del sig. Peyehorade, Alfonso, grezzo e corpulento, deve sposare proprio in quei giorni la dolce Madamigella di Puygarrig, suo opposto, mingherlina e delicata. Una Venere in carne ed ossa. Lui prenderà sottogamba la cosa, tutto preso dalla sue attività e dal suo vivere spocchioso e grossolano. Lei però non parrà soffrire più di tanto della cosa, è una ragazzina tenera ma maliziosa, abile a destreggiarsi nelle materiali situazioni provinciali a cui va incontro, ha un lato pungente come la bronzea protagonista. Comunque, con l'amore e con la Venere, perché anche lei ama e quando sa di avere qualcosa difficilmente vi rinuncia, non si scherza, e Alfonso pagherà caro lo scotto delle sue leggerezze, stretto in una morsa di ardore terrificante.
La Venere d'Ille
1979
Italia
Regia: Lamberto Bava, Mario Bava
Soggetto: Prosper Mérimée
Sceneggiatura: Lamberto Bava, Cesare Garboli
Fra le tante trasposizioni venute fuori da varie nazioni, scegliamo quella italiana, con parte della famiglia Bava dietro la macchina da presa.
Prodotto televisivo andato in onda anche nell'interessante ciclo RAI i giochi del diavolo - storie fantastiche dell'Ottocento, figlio di una programmazione che non era fatta solo di danzatori improvvisati e sbirri, presenta tratti tipici di quel tipo di film, in primis la fotografia (di Sebastiano Celeste), che è molto distante dagli standard di Bava senior, facendo presupporre che la parte maggiore sia stata curata dal figlio, qui alla sua opera prima.
Daria Nicolodi è una diafana Madamigella di Puygarrig, che qui ha un nome, Clara, e Marc Porel il pacato parigino, anche lui nominato per comodità, Matthew, ottimi entrambi, così come buona è la verve di Mario Maranzana nei panni del signor Peyehorade e Fausto Di Bella in quelli dell'altezzoso Alfonso.
Colpiscono delle sostanziali differenze, a parte esigenze di ellissi, rispetto al racconto: la promessa sposa e l'ospite si piacciono visibilmente, e verranno anche a contatto, cosa che aumenta la diabolicità di lei e la sua rassomiglianza con la dea; diminuisce e la rende più distante, invece, il fatto che soffra apertamente delle intemperanze del futuro marito, senza presentare la scaltrezza presentata nello scritto.
Insomma, sufficiente pellicola, una via di mezzo tra lo stile degli sceneggiati "settantiani" e quelli moderni.
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