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"Cave of Forgotten Dreams" di Werner Herzog: la recensione
Creato il 18 giugno 2012 da Luca OttocentoCon una intuizione geniale, Herzog decide di ricorrere all’ultima tecnologia di ripresa, in alta definizione e legata alla tridimensionalità, per mostrare alcune fra le più antiche espressioni artistiche da noi conosciute (è notizia di pochi giorni fa che un gruppo di scienziati ha retrodatato fino a 40.000 anni fa alcune pitture rupestri presenti in diversi siti preistorici della Spagna nordoccidentale). E ci si rende subito conto, durante la visione, che non avrebbe potuto fare altrimenti: solo attraverso la profondità propria della terza dimensione, infatti, si poteva davvero rendere giustizia sul grande schermo alle forme sinuose della caverna Le quali, come viene raccontato nel corso della narrazione, venivano abilmente sfruttate dagli artisti per donare plasticità ai propri dipinti, oltre che una insospettabile sensazione di movimento (in un passaggio assai suggestivo, la voce narrante di Herzog arriva persino a cogliere in questa antichissima espressione artistica una forma di proto-cinema).
Se Wim Wenderes in Pina (2011) ricorreva al 3D per restituire al meglio la realtà della danza, qui Herzog compie dunque un’operazione analoga (anche se un anno prima), rendendosi conto che solo giocando con il codice linguistico della profondità avrebbe potuto mettere in scena le pitture in maniera efficace. Il documentario, oltre ad avere l’immediato e inestimabile pregio di mostrarci qualcosa di magnifico che sarebbe altrimenti precluso ai nostri occhi (da qui l’aura mitica che sottende l’opera: l’accesso alla grotta è ammesso solo a pochi scienziati che, durante periodi circoscritti dell’anno, possono accedervi per motivi di studio), fa riflettere a fondo su come il linguaggio artistico faccia ontologicamente parte del modo di esprimersi dell’essere umano, fin dai suoi primordi. Nel contempo, rappresentando la grotta Chauvet e le straordinarie opere sulle sue pareti attraverso splendidi movimenti di macchina, accompagnati ora dalle stimolanti riflessioni in voice over di Herzog, ora da puntuali interventi di una serie di studiosi della caverna, il lavoro di Herzog raggiunge momenti di alta e rara intensità poetica.
Nonostante le rigide limitazioni imposte dal delicatissimo ambiente delle riprese, il documentario è davvero straordinario dal punto di vista estetico (alcuni movimenti sono inevitabilmente un po’ rozzi, ma questo non fa altro che attribuire una più evidente epicità all’operazione nel suo complesso) e la tecnica del 3D finora non è mai stata così funzionale alle esigenze narrative e della messa in scena. Cave of Forgotten Dream, prodotto nel 2010 e presentato in molti festival in giro per il mondo (tra i quali i festival di Toronto nel 2010 e di Berlino nel 2011), è stato distribuito in pochi paesi del mondo. In Italia purtroppo ad oggi non ha goduto di una vera e propria distribuzione, venendo proiettato sporadicamente nel corso di questi anni in qualche cinema delle grandi città e recentemente per due giorni nel circuito "The Space Cinema". Se vi dovesse capitare, non fatevi scappare l’occasione di andarlo a vedere: si tratta di un’esperienza indimenticabile.
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