Le commissioni di esperti leader nel mondo hanno già offerto pareri sui possibili effetti ed implicazioni che potrebbe comportare lo scontro Siria -Turchia. I nuovi cambi di equilibrio nel Vicino Oriente rendono opportuno considerare un altro scenario che coinvolga diversi partecipanti. Le forze di opposizione siriane sono composte da militanti provenienti da altri Stati arabi (per esempio i mercenari pagati dall’Arabia Saudita e dal Qatar). Dall’altra parte, gli Iraniani e i combattenti di Hezbollah sono solidali con le forze fedeli al presidente Assad. Il coinvolgimento di altri attori potrebbe portare allo scontro tra l’Iran e gli stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG).
Gli Stati arabi del Golfo Persico (in particolare Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti) stanno perdendo la loro immagine di “cartello del petrolio” ricco e sonnolento, acquisendo il ruolo di guide militari nelle insurrezioni che stanno dando una nuova connotazione geopolitica alla regione. Gli Stati membri si sono trasformati in attori attivi a livello regionale, intenzionati ad intervenire nelle politiche non solo dei vicini Stati arabi, ma anche del Vicino Oriente e del Nordafrica. Gli eventi dell’11 settembre 2001, la conseguente invasione americana dell’Iraq e il generale aumento dell’attività militare nella Penisola araba hanno incentivato l’internazionalizzazione delle politiche del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Negli ultimi dieci anni gli Stati del Golfo hanno significativamente incrementato il loro potenziale militare, ed ora sembra che abbiano intenzione di usarlo. Gli Stati del Golfo stanno investendo miliardi di dollari per l’ammodernamento dei sistemi di difesa, in seguito all’aumento delle tensioni con l’Iran per il suo programma nucleare.
La sola Arabia Saudita ha comprato un intero stock di armi dagli Stati Uniti. L’anno scorso l’amministrazione Obama ha annunciato di aver approvato un accordo di 29,4 miliardi di dollari per vendere sofisticati aerei da combattimento F-15 all’Arabia Saudita. Battendo ogni primato, si è trattato della più grande vendita di armi da parte degli Stati Uniti. La spesa militare dell’Arabia Saudita raggiungerà i 60 miliardi di dollari, distribuiti in 10 o 15 anni. Nel novero delle spese sono inclusi, oltre ai già menzionati F-15, tre tipi di elicotteri, missili di ultima generazione, bombe, altre tipologie di armamenti ecc. Il 17 giugno i media mondiali hanno riportato che l’Arabia Saudita voleva acquistare tra i 600 e gli 800 carri armati Leopard dalla Germania: un incremento davvero notevole delle capacità offensive.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno raggiunto l’Arabia Saudita come più grande acquirente di armi a livello internazionale: nel 2011 hanno siglato un accordo da 3,5 miliardi per la vendita di moderni missili di teatro per la difesa a sistema THAAD; l’Arabia Saudita ha concluso un accordo commerciale per un importo pari a 1,7 miliardi di dollari con gli Stati Uniti per potenziare il proprio sistema di difesa aerea Patriot; quest’anno, la vendita di 209 missili Patriot di ultima generazione al Kuwait è valutata circa 900 milioni di dollari.
L’intervento del marzo 2011 con veicoli corazzati in Bahrein da parte delle truppe saudite e di quelle degli Emirati è il migliore e più recente esempio di interventismo ad opera di Stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. L’azione è stata giustificata come reazione ad una minaccia proveniente dall’Iran, benché ci fossero poche prove che l’Iran fosse direttamente coinvolto nelle rivolte, in gran parte sciite.
Il conflitto in Siria è un tipico esempio di intervento attivo, con i Sauditi e i Qatarioti che forniscono armi e sostegno finanziario all’opposizione siriana contro il governo di Assad. La fiammata siriana potrebbe essere il punto di non ritorno nella diplomazia vicinorientale e nell’intervento degli Stati arabi. Con il crescere del potere economico e militare del CCG, cresce anche la capacità di quest’ultimo di impegnarsi in crisi più estese nel Vicino Oriente ed in Nordafrica. La volontà di intervenire militarmente e di impiegare risorse per guidare lo sviluppo di nuovi stati potrebbe avere conseguenze serie e considerevoli nella formazione di nuovi governi e nella capacità di questi ultimi di riprendersi economicamente e di ricollocarsi in uno scenario politico in continuo cambiamento. L’Iran è un ostacolo a questa trasformazione, in quanto ambirebbe a volgere gli eventi a proprio favore. È sufficiente ricordare il crescendo di tensione tra l’Arabia Saudita e l’Iran nel 2011, dopo che l’Iran era stato accusato dal governo degli Stati Uniti di aver progettato di assassinare l’ambasciatore statunitense in Arabia Saudita. In quei giorni, l’Arabia Saudita annunciò che l’Iran “l’avrebbe pagata”.
Il CCG comanda “Peninsula Shield”, una forza di difesa collettiva (composta da 40.000 soldati) il cui compito è quello di proteggere gli stati membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Alla fine di aprile, le forze militari collettive del CCG hanno condotto esercitazioni aeree, terrestri e navali per contrastare un ipotetico attacco iraniano. La dimostrazione di forza, senza precedenti, ha alimentato l’orgoglio panarabo ed è stata motivo di grandi elogi da parte degli alleati occidentali e ha rinforzato i baluardi contro l’influenza iraniana in continua espansione.
Riguardo a ciò che gli esperti considerano il più grande potenziale di conflitto all’interno della regione – la rivalità tra gli Stati del Golfo e Tehran – il CCG si è levato i guantoni nel successivo incontro dei ministri degli esteri presso Riyadh.
Il CCG ha tuonato contro la “flagrante interferenza” iraniana nella regione e ha incolpato l’Iran di aver attivamente destabilizzato e “violato la sovranità” dei loro stati. All’incontro che ha avuto luogo a seguito del comitato degli affari esteri e sicurezza del governo iraniano, è stato dichiarato che l’Arabia Saudita, il Paese più popoloso del CCG, “dovrebbe sapere che non è prudente giocare col fuoco nella delicata regione del Golfo Persico”.
Questo avvertimento non è stato preso alla legga dal CCG, fresco di due recenti manovre militari e in procinto di rafforzare i legami militari con gli Stati Uniti. Ha infatti avuto luogo una nuova esercitazione delle forze armate degli Emirati Arabi Uniti e del Qatar, rinominata come “Peace Shield 1/2012”, tenutasi nel maggio di quest’anno. Come si può constatare, la capacità di intervento del CCG viene intensamente saggiata sul campo.
L’equilibrio di forze
I membri del Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) hanno limitate capacità in termini di potenziale umano, se si considera la loro limitata popolazione, ma hanno illimitate risorse finanziarie per l’acquisizione di armi.
Insieme, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Kuwait, Qatar e Oman possiedono 1100 moderni carri armati da combattimento, che includono 533 Abrams prodotti negli USA (Arabia Saudita e Kuwait) circa 40 Challengers di produzione inglese e circa 400 Leclerc Francesi. Il Kuwait dispone di 150 M84 (la versione iugoslava del T-72 russo). Hanno anche un migliaio di veicoli in disuso come gli АМХ-30, М-60, OF-40 e 100 carri armati leggeri Scorpions di produzione inglese, destinati ad essere impiegati come veicoli di ricognizione. L’inventario dei veicoli da combattimento di fanteria (acronimo inglese IFV, ndt) include 400 Bradley M2, prodotti di ultima generazione americani (Arabia Saudita), più di 250 Warriors inglesi, circa 550 BMP-3 russi e i francesi АМХ-10Р abbastanza in disuso. Il numero dei soldati armati ammonta a circa 6500, gli eserciti hanno a disposizione 2000 pezzi d’artiglieria, che includono 40 sistemi di lanciarazzi multipli (9 MLRS statunitensi e più di 30 Smerch russi), più di 250 M109 di fabbricazione americana e 100 Howitzer semoventi di fabbricazione sudafricana.
Il potenziale delle forze aeree e della difesa aerea è davvero notevole: i Sauditi hanno una potente forza combattente che include F-15C, 20 – F-15D e 72 – F-15S (versione F-15I) con più di 84 moderni F-15 SA, già ordinati e che verranno consegnati nel 2015, più 20 Eurofighter Typhoons (il numero crescerà a 72). Il Kuwait possiede una moderna flotta di 39 F-18 americani di ultima generazione (modelli C e D). Gli arsenali di Qatar e degli Emirati Arabi Uniti, messi insieme, includono 78 Mirage 2000s francesi, mentre Bahrein, Oman ed Emirati Arabi Uniti, insieme hanno più di 100 F-16 statunitensi. Ciò porta il numero totale di aerei di quarta generazione a 400. Gli F-16 E/Fs degli Emirati Arabi Uniti sono le più recenti versioni del velivolo che addirittura non sono ancora entrati nelle liste dell’Air Force statunitense. Inoltre l’Arabia Saudita ha una formidabile flotta di oltre 100 caccia Tornado britannici. Dispone inoltre di circa 40 F-5 di fabbricazione americana. L’Oman possiede 24 aerei d’attacco britannici Jaguar. Il sistema di allerta rapido saudita (5 aerei E-3A AWACS) è un vantaggio molto importante da aggiungere ai limiti tecnologici del CCG. L’aviazione degli eserciti dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti annoverano 42 elicotteri d’attacco Apache AH-64 che vanno ad ampliare in modo significativo la potenza di fuoco delle unità dell’esercito, più circa 50 velivoli Gazzelle e Cobra. I Patriot in possesso dell’Arabia Saudita, di fabbricazione americana, sono inoltre il più moderno, fino ad ora, sistema di difesa a medio-raggio dell’esercito degli Emirati Arabi Uniti.
Come accennato più sopra, gli Emirati Arabi Uniti saranno la prima nazione ad acquistare il più moderno THAAD statunitense con capacità missilistiche di colpire a lungo raggio, e arma di difesa terrestre. Le flotte degli Stati del Golfo, messe insieme, comprendono 10 moderne fregate, 10 corvette con missili guidati, 42 barche veloci dotate di missili, fino a 50 navi anfibie e mezzi da sbarco e missili anti-nave Harpoon e Exocet. La capacità delle bombe sottomarine è insignificante e non esiste nessuna flotta di sommergibili – certamente un punto debole.
I numeri dell’esercito iraniano (inclusi i Corpi della Guardia Rivoluzionari) ammontano a 1700 carri armanti, 700 veicoli di fanteria, 600 veicoli per il trasporto truppe, 2400 pezzi d’artiglieria, 5000 mortai, 900 sistemi lanciarazzi multipli, 1000 missili anti-carro, 2000 dispositivi contraerei e 200 elicotteri. Circa 500 T-72 russi, e 200 Chieftains inglesi che costituiscono la miglior componente in vista di una risposta armata, più di 400 BMP-2 russi, circa 200 M-109 semoventi d’artiglieria di fabbricazione americana, 15 obici da rimorchio 155mm cinesi modello 88, 100 Grad BM-21 russi, 700 lanciarazzi multipli da 100mm cinesi modello 63, 100 sistemi anti-aerei semoventi Shilka ZSU-23-4, che sono tutte armi obsolete rispetto ai moderni standard di combattimento. L’inventario dell’aviazione include circa 50 elicotteri d’assalto Cobra AH-1 di fabbricazione americana, che vennero inseriti nell’aviazione statunitense nel 1967 e sostituiti molto tempo fa dai più moderni Apache-64. La colonna portante della forza aerea della nazione sono circa 30 bombardieri tattici russi SU-24, più di 30 MIG-29 russi, 44 F-14 Tomcat di fabbricazione americana. Queste sono i mezzi d’attacco più “idonei” dell’aviazione.
C’è anche una flotta obsoleta ed estremamente varia composta dai molto meno agili F-4 americani, F-5, J-7 cinesi (una versione del MIG-21 russo) i russi SU-20/22,
SU-25, MIG-23 e i Mirage F-1 francesi. Di tutta questa flotta di scarsa qualità, solo 13 aerei SU-25 di fabbricazione russa sono abbastanza veloci da avere una reale capacità di combattimento. Come già detto, l’Iran possiede 30 aerei da combattimento Saegheh che si ritiene siano una diversa versione dell’obsoleto F-5 americano. Le risorse per la difesa aerea ammontano a 30 Rapier di fabbricazione inglese, 15 Tigercat, 50 SA-75/SA-2 Guideline russi, S-200, SA-5 Gammon, 29 TOR e 150 avanzati sistemi Hawk fabbricati negli Stati Uniti. Il TOR è l’unica arma più recente in grado di colpire efficacemente un bersaglio a corto raggio, tutti gli altri sistemi sono troppo obsoleti. La mancanza di pezzi di ricambio è un problema molto grave che condiziona pesantemente la capacità di difesa aerea della nazione. Le fonti ufficiali iraniane hanno riportato un significativo potenziamento dell’S-200, inoltre, nel 2011, Tehran aveva annunciato di aver sviluppato una sua versione del sistema di difesa aereo S-300 di fabbricazione russa. Ufficiali militari hanno affermato che il missile Mersad (“Ambush” in lingua iraniana), sviluppato e prodotto dagli ingegneri iraniani, è progettato per seguire e colpire qualsiasi aereo nemico ad una distanza compresa tra i 70 e i 150 chilometri. Le caratteristiche e l’efficienza dei sistemi migliorati dall’ Iran non sono ancora state confermate da altre fonti ufficiali.
La marina iraniana ha 3 sottomarini russi classe 877, 20 minisommergibili, 4 fregate, 3 corvette, 7 navi lancia bombe sottomarine, circa 20 mezzi anfibi e mezzi da sbarco, 24 navi veloci per le incursioni e un centinaio di piccole navi da ricognizione. La principale arma anti-nave è il missile Silkworm S-802 fabbricato in cina (la copia iraniana più moderna è il Noor). Sono presenti anche dei piccoli, ed obsoleti, missili S-701 di fabbricazione cinese. I mezzi anticarro e i lanciarazzi multipli sono anche usati come mezzi anti-nave. Il sistema S-802 (Noor) difende le coste iraniane respingendo i tentativi di sbarco nemici.
L’Iran è chiaramente avvantaggiato per i sottomarini e ha anche un buon margine per quanto riguarda la capacità missilistica: vanta ben 40 missili balistici a medio raggio e centinaia di missili tattici di tutti i tipi, che costituiscono una enorme forza e potenza di fuoco. L’efficienza contro le forze armate è limitata, a causa della mancanza di precisione, ma è una minaccia reale per le infrastrutture economiche e per le aree popolate. Il potenziale degli Stati Arabi è limitato a 40 missili a raggio intermedio DongFeng-3 (CSS-2) fornita dalla Cina all’Arabia Saudita e circa lo stesso numero di missili tattici ATACMS di produzione americana, da computare nell’inventario del Bahrein.
L’Iran ha un vantaggio notevole nel potenziale umano: infatti l’arruolamento è ancora obbligatorio, mentre gli stati del CCG, da molto tempo, sono passati al sistema della “forza volontaria”. L’Iran, pertanto, vanta una considerevole capacità di mobilitazione delle riserve, una cosa che manca agli stati del CCG nel caso di un protrarsi del conflitto.
Gli stati del CCG hanno un chiaro vantaggio nella capacità di combattimento tecnologico moderno, ed è possibile che domineranno nel campo dell’aeronautica militare. Entrambe le parti sono equivalenti nel livello di addestramento individuale, che dalle stime non risulta essere molto specifico.
Conseguenze
Una guerra tra Arabia Saudita ed Iran alimenterebbe le tensioni “faziose” in tutta la zona mediorientale, dal momento che la guerra sarebbe uno scontro tra Sunniti (Arabia Saudita) e Sciiti (Iran). Gli Sciiti negli Stati arabi costituiscono un potenziale notevole. Sono circa il 20% della popolazione in Arabia Saudita e vivono per lo più nella zona nord-orientale, vicino al confine iraniano.
Essendo il 75% della popolazione, in Bahrein costituiscono la maggioranza dominante; in seguito a manifestazioni di strada, hanno dovuto subire la repressione delle truppe saudite.
In Yemen, Libano e Kuwait potrebbero esserci delle rivolte, dal momento che anche in questi Paesi vive una considerevole aliquota di popolazione sciita.
Come in qualsiasi altro scenario vicinorientale, la possibilità di intervento da parte di attori esterni è alta. L’esercito siriano potrebbe allearsi con le forze armate iraniane ed incrementare così notevolmente le capacità di combattimento.
Gli Sciiti in Iraq potrebbero non voler ignorare gli eventi (schierandosi con gli Iraniani, ndt) e i Sunniti potrebbero allearsi con le forze dei CCG, dividendo così in due l’esercito iracheno.
Anche le monarchie arabe potrebbero avere un appoggio consistente dall’estero.
Le scorte di petrolio e di gas diminuirebbero, causando un’impennata dei prezzi, fattore determinante per le linee di condotta di altri attori. Questo fatto sarebbe un duro colpo per l’Europa e la Cina, già colpite dalla crisi e con segnali di recessione in vista. Il crollo potrebbe condurre ad una grande recessione globale o anche ad una crisi economica mondiale, qualora i prezzi dovessero restare alti per un lungo periodo di tempo. La caduta della domanda di consumo in Europa potrebbe colpire duramente la Cina e nella stessa maniera anche l’India. Nessuno di questi attori potrebbe in qualche modo influenzare gli eventi. Potrebbe crescere l’imprevedibilità politica in tutto il mondo, dal momento che lo stato economico di crisi spesso porta il malcontento della gente contro i leader al potere, cosa che a sua volta porterebbe ad un deciso voto di sfiducia.
È una situazione che gioverebbe parecchio ad Israele. La Turchia sfrutterebbe gli eventi a proprio vantaggio. Lo scontro sarebbe un duro colpo per il mondo musulmano. Essere neutrali è un’opzione, mentre intervenire sotto la maschera delle forze di pace potrebbe incrementare la propria immagine e la propria influenza.
Un’altra opzione potrebbe essere quella di attendere finché l’Iran non sia stremato, con le proprie forze impegnate a sud per colpirlo da nord-ovest, muovendo verso Tehran. A livello militare, la Turchia non sarebbe forte abbastanza da vincere nel caso l’Iran fosse l’avversario.
È da tempo che gli USA non fanno affidamento sulle risorse petrolifere del Golfo Persico, che costituisce solo il 15% delle importazioni totali. I prezzi del petrolio in America sono molto più bassi rispetto a quelli europei. Nell’eventualità di un conflitto, la differenza si allargherebbe ulteriormente. Il danno ad Europa e Cina sarebbe un bene per gli Stati Uniti. Le vendite delle armi americane aumenterebbero durante il periodo dei combattimenti, diventando sempre più alte fino dopo la fine dello scontro, in caso di vittoria dei paesi arabi.
Il conflitto aumenterebbe l’influenza degli Stati Uniti sui già deboli membri del CCG, che, al presente, continuano a fomentare i disordini nel mondo arabo. In questo scenario, non ci sarebbe il rischio di sviluppo di sentimenti antiamericani nel mondo musulmano; anzi, gli USA verrebbero visti come uno stato che “ ti dà una mano” nei periodi difficili. I combattenti sarebbero i principali sconfitti: l’Iran cesserebbe di essere un’incognita globale e le sue ambizioni diventerebbero retaggi del passato. Gli Stati del CCG andrebbero incontro a grandi perdite e ne sarebbero indeboliti. La loro libertà d’azione diminuirebbe fino a diventare insignificante a causa della grande influenza americana, che metterebbe gli Stati Uniti al di sopra deli altri attori.
Una guerra tra gli stati del CCG e l’Iran sarebbe un evento di enorme portata e potrebbe avere molte conseguenze negative in tutto il mondo: aggraverebbe i disordini nel Vicino Oriente, causerebbe disordini economici globali e aumenterebbe l’instabilità politica in tutto il mondo. Non bisogna pensare che gli attori sperino che questa previsione possa divenire realtà, ma ciò potrebbe avverarsi indipendentemente dalla loro volontà a causa degli eventi in Siria o della politica degli Stati Uniti.
(Traduzione di Marco Nocera)