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Ce lo chiede l’Europa

Creato il 25 ottobre 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

Ce lo chiede lEuropaL'economia italiana precipita sempre più giù, come dimostra l'ennesima mazzata internazionale: siamo fuori dal G8, l'esclusivo club dei Paesi più industrializzati. Ormai, è chiaro come il sole che la sola politica di austerithy – tra l'altro, male applicata, visto che sprechi e privilegi non sono stati toccati – ci sta condannando.

"Ce lo chiede l'Europa": quante volte abbiamo sentito dire questa frase, da uno dei nostri beneamati politici, per giustificare tagli indiscriminati a servizi fondamentali come scuola, sanità e sicurezza. Eppure, l'UE non ci ha chiesto solo di tagliare e precarizzare, cosa che i Governi degli ultimi anni hanno sempre fatto alla velocità della luce, ma anche di introdurre norme utili, se non addirittura indispensabili, al benessere pubblico.

In questi ultimi casi, però, la politica è stata latitante: la Convenzione contro la Corruzione, ad esempio, è stata approvata – e annacquata – solo dal passato Governo Monti, mentre altre richieste di Bruxelles giacciono nel dimenticatoio. Una, in particolare, sarebbe più che benvenuta, in questo periodo di crisi: il reddito minimo garantito, che l'Europa ci sollecita dal lontano 1992!

Attenzione, però, a non confonderlo con il reddito di cittadinanza, ovvero quella forma di sostegno al reddito che va favore, indistintamente, di tutti i cittadini maggiorenni, occupati e non. Il reddito minimo garantito, invece, non è soltanto una forma di sostegno al reddito, di integrazione al sistema del welfare, ma anche una soglia minima (quella di povertà, per intenderci) al di sotto del qual non far scendere il reddito di chi si trova senza lavoro.

"Ma è la stessa cosa del sussidio di disoccupazione/aspi", obietterà qualcuno. Non è proprio così: l'aspi, infatti, ha una durata limitata nel tempo (un anno per gli under 55, 18 mesi per gli over), mentre la peculiarità del reddito minimo è proprio quella di essere erogato di continuo, fino al momento in cui il disoccupato non trova lavoro. Naturalmente, esistono dei parametri ben precisi da rispettare: obbligo di cercare attivamente un'occupazione e partecipazione a corsi di formazione professionalizzante.

Già altre volte, si è parlato di introdurre il reddito minimo, ma ogni iniziativa si è spenta a causa delle proteste e degli sfottò di chi pensa che questo sistema, in Italia, sia inattuabile. Non facciamo di tutta l'erba un fascio: per le centinaia o anche migliaia di scansafatiche e profittatori, ci sono milioni di precari, che fanno i salti mortali tra un contratto e l'altro, costretti a contare i giorni e le settimane per capire se hanno diritto all'aspi o se dovranno rivolgersi a mamma e papà o alla Caritas per poter mangiare.

Naturalmente, sarebbe necessario pianificare bene la cosa, partendo dalle proposte già presenti in Parlamento: al momento tre, presentate da Partito Democratico, Sel e Movimento 5 Stelle. Dagli altri partiti, nessuna idea.

La proposta del Pd prevede che il reddito minimo sia indirizzato a disoccupati, inoccupati e precari, sia italiani che stranieri (regolarmente residenti in Italia da almeno 3 anni) e ammonti a 500 € al mese, con l'incremento di 1/3 per ogni componente del nucleo familiare a carico. La durata del reddito minimo è di un anno, rinnovabile per un altro ed è legata all'obbligo, per il disoccupato, di cercare attivamente lavoro e/o di partecipare a corsi di formazione.

Anche il progetto di legge di Sel è indirizzato a tutti coloro che, italiani e stranieri (regolari da almeno 24 mesi), hanno un reddito annuo non superiore a 8000 €. Per questi, Sel prevede l'erogazione di un assegno mensile pari a 600 €, rinnovabile di anno in anno e ricalcolabile, in base al nucleo familiare (per un familiare a carico, si sale a 1000 €, per 2 a 1330 € e così via). Anche in questo caso, per mantenere il diritto, è necessario mantenersi attivi nella ricerca di un posto di lavoro.

Molto simile a quella di Sel è la proposta del M5S, pur senza specificare l'importo: qualunque cittadino si trovi senza lavoro, potrà accedere al reddito minimo, senza limite di tempo, fino all'ottenimento di un nuovo posto di lavoro, fermo restando il parametro del mantenersi attivi nel cercare lavoro e nel formarsi.

Come mai, il reddito minimo non è mai entrato in funzione, nonostante i ripetuti richiami dell'UE? A parte il menefreghismo dei nostri politici, il problema principale è quello di riuscire a creare un sistema che funzioni al meglio. Sel e M5S mettono in risalto la necessità di una riforma dei Centri per l'Impiego, riportandoli alla loro antica funzione di centri di collocamento. Questo progetto, però, va a cozzare con la presenza dei privati nel mercato del lavoro: le agenzie interinali, che monopolizzano il settore fin dall'introduzione della legge Biagi.

Non parliamo, poi, dell'altro ostacolo: la copertura finanziaria. Dove trovare i soldi e come impiegarli è stato, da sempre, il tallone d'Achille di tutte le riforme del lavoro, nate negli ultimi anni: pochi soldi spesi male, sulla base di poche regole mal scritte e peggio applicate. Un disastro dietro l'altro e a testimoniarlo c'è il nostro tasso di disoccupazione: 12,2% quello a livello nazionale, mentre quello giovanile ha toccato il 40%, entrambi record storici.

Qualche idea? Si potrebbero, ad esempio, trasformare i Centri per l'Impiego in centri di supervisione, creando un database nazionale, a cui dovrebbero collegarsi tutte le agenzie del lavoro private, in modo da tenere sotto controllo l'andamento del mercato del lavoro, rendendo più facile l'individuazione del disoccupato virtuoso – quello che cerca attivamente un posto di lavoro e si tiene aggiornato, frequentando qualche corso professionalizzante -  e del fannullone. Inoltre, sempre ai Centri per l'Impiego, si potrebbero affidare le verifiche periodiche – ogni anno o ogni tot mesi -, cui sottoporre il disoccupato, per rendersi conto se ha i requisiti per usufruire del reddito minimo o no.

Per la copertura finanziaria, poi, si tratterebbe di dar vita ad una vera e propria riforma del welfare attuale, sostituendo i vari aspi e simili con il reddito minimo, cui andrebbero le risorse che già si spendono oggi e trovando altre fonti nella lotta all'evasione fiscale e alla corruzione, nella riduzione degli sprechi e, insomma, nella politica pubblica virtuosa.

Bhè, viste le premesse, prima di riformare il welfare, magari è meglio riformare la politica italiana.

Danilo


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