"Questa non è una pipa", si divertiva a provocare Magritte. Ma allora,
ci si potrebbe chiedere, quella dipinta cos'è? Semplicemente un'immagine,
direbbe il pittore, un'icona, un rimando alla pipa, ma una pipa in
quanto tale non è. Chi di voi infatti riuscirebbe a fumarla?
Non è una curioso?
Noi non potremmo pensare, se non ci fosse il pensiero. Sembra banale a dirsi,
ma ogni nostro pensiero, anche il più superficiale, ha bisogno di un supporto
per esistere e mostrarsi: un’immagine, una parola, un suono, oppure lo stesso
pensiero, se per pensiero intendiamo il processo di condensazione e astrazione
di dati e informazioni sensibili e/o mentali. Per fare questo, abbiamo bisogno
di un’unità di pensiero che si chiama concetto. A sua volta il concetto è un
concentrato di significato, e il significato è proprio quello che ci permette
di attribuire un valore alle cose e anche di muoverci nel mondo. Ora, per i
semiologi, il rapporto tra la realtà e i concetti - 'significato', appunto - passa
attraverso un itinerario tripartito che potremmo in qualche modo riassumere
così: significato-significante-referente. Se per 'significato' intendiamo il
concetto, per 'significante' intenderemo ciò che può esprimere questo concetto,
ossia un qualcosa di arbitrario che costituisca un rimando continuo e preciso a
quel significato stesso. Il significante è chiamato anche segno - o simbolo -,
e può essere indifferentemente il linguaggio che usiamo quotidianamente, oppure
un’altra forma espressiva come la musica o come un’arte figurativa, oppure
addirittura come il pensiero in se stesso, in quanto struttura elaborata di
rimandi e associazioni. In altre parole, insomma, il significante rappresenta
il supporto attraverso il quale possiamo liberamente pensare e, in un certo
senso - parafrasando Cartesio - anche essere.
Il triangolo semiotico secondo C.K. Ogden. Come si vede dalla linea tratteggiata, non c'è contatto tra il significante e il referente
Il terzo elemento, il
referente, è l’elemento per così dire ‘oggettivo’, quello a cui ci si
riferisce in un discorso o in un’attività del pensiero. Può essere assolutamente
reale - come ad esempio un cane, una porta, una grondaia - oppure soltanto pensato - un sentimento,
un’idea astratta. In ogni caso è già un qualcosa di diverso dal concetto, o significato,
che noi gli attribuiamo: una cosa è l’oggetto, un’altra è il pensiero dell’oggetto. Se il concetto non esistesse, per parlare o per pensare avremmo bisogno
continuamente di tutto il mondo nella sua concretezza: se volessi pensare a una
montagna o ad un serpente, dovrei disporre ogni volta di una montagna o di un serpente, il che alle volte può non essere piacevole!
Un altro esempio da Magritte. Una cosa è il cavallo vero e proprio -
referente -, un'altra cosa è il suo dipinto o la pronuncia del suo nome
- significante o simbolo.
Però adesso viene il
punto più importante. Quale sarà il rapporto fra questi tre
elementi? Sono legati l'uno all’altro, oppure no? Come si vede molto bene dall’immagine di sopra, nonostante gli elementi nel complesso siano tre, le relazioni si riducono a due: tra il significato e
il significante, e tra il significato e il referente. Solo tra loro vi può
essere contatto, perché il loro legame è stabilito in anticipo da noi. Al contrario,
tra il referente e il significante non può sussistere alcun rapporto oggettivo,
perché appartengono entrambi a due universi differenti. Tra la parola ‘cane’,
per esempio, e l’animale in questione non sussistono legami, mentre sussistono
invece con un’idea di cane nella nostra mente. A questo punto le conseguenze
sono chiare: tutto il nostro pensare, tutta la nostra conoscenza passa
attraverso il significato senza passare dalle cose stesse. La conoscenza che abbiamo del mondo è quasi sempre autoreferenziale, è un guardare continuamente a noi stessi. Ecco perché siamo circondati
continuamente di simboli; il nostro mondo è un rimando continuo di significati
e si segni che si sono velocemente frapposti fra noi e la realtà, se ne sono
impossessati e l'hanno infine sostituita. Chi riesce a manovrare i segni può orientare anche le nostre scelte, i nostri pensieri e le nostre azioni. È il potere nascosto della ‘società del mercato', di
questo ‘impero dei segni’ dove tutto è stabilito già a priori, dove i rimandi
sono guidati e non c’è più spazio per ‘l’espressività naturale dell’oggetto’, per una
significazione libera e totale che possa ingrandire di nuovo ed implementare tutte le nostre vedute, sempre più limitate e ridotte. Ha scritto bene Eco, nel suo Trattato di semiotica generale, del 1975: la semiotica è “la disciplina che studia tutto ciò che può essere usato per mentire”.