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Ed eccoci adesso al concetto di 'dono'. L’ho lasciato per ultimo perché vorrei collegarmi al famoso Saggio sul dono di Marcel Mauss. In questo scritto l’antropologo francese ha rivoluzionato sotto molti aspetti la concezione dell’economia primitiva, e ha messo in luce proprio attraverso il dono come fosse già presente nelle comunità ‘primitive’ il concetto di credito e di consumismo. Per molti popoli dell’Oceania, infatti, il dono rappresentava un pegno, un pegno che assicurava la continuità dei rapporti sociali e la loro reciprocità, insieme al movimento circolare degli stessi. L’oggetto infatti possedeva uno spirito proprio, una parte cioè dell’anima del donatore e una parte diciamo 'propria', dell’oggetto in quanto tale. Ora, quando un membro della comunità elargiva un dono, rompeva per così dire il suo isolamento facendo 'esportare' all’oggetto una parte importante di sé e della propria esistenza. Il donatario, a sua volta, era obbligato - il concetto di 'gratuità del dono' è una nostra invenzione moderna, che nasce proprio in risposta all’utilitarismo originale del processo - a restituire il dono attraverso un altro oggetto che contenesse, di nuovo, una parte importante di sé. In questo modo si 'rimetteva in circolo' il processo donativo iniziato, e si scongiuravano gli effetti deleteri di una 'latenza prolungata dell'oggetto nel sistema'. Il dono ‘di risposta’ inoltre doveva avere un valore pari o superiore al primo, altrimenti si rischiava l’esclusione perpetua dal gruppo. Un'anticipazione degli odierni interessi.
Il dono insomma garantiva la continuità del flusso delle merci - è anacronistico parlare di ‘merci’, ma lo faccio per rapportare queste dinamiche a quelle di oggi - e al tempo stesso il movimento delle anime dei soggetti, ovverosia l’interazione tra i soggetti di una data società. Non era possibile infatti separare l'aspetto economico da quello umano, al contrario di oggi. Ma attraverso questo ‘botta e risposta’ del dono si cominciava a formare il concetto di 'credito' e di 'tempo monetizzato', perché il donatario diventava al tempo stesso debitore, e questo suo debito doveva essere saldato entro un certo periodo di tempo, oppure il circolo si sarebbe fermato. Interessante è anche il fenomeno del potlach. Racconta Mauss che alcune popolazioni dell'America nordoccidentale esasperavano il concetto di dono avvicinandolo drasticamente a quello molto più ancestrale di 'potenza': chi donava più di tutti, infatti, chi faceva sfoggio di più mezzi e non si curava di sprecarli era insieme più forte e più potente degli altri. Durante alcuni riti, ci dice ancora Mauss, i membri di queste comunità facevano a gara a chi sprecava di più, ed erano beni essenziali e vitali quelli che andavano in fumo o che venivano sacrificati. Un antenato di un certo tipo di consumismo, se vogliamo, una degenerazione agonistica e concorrenziale del meccanismo del dono che si manifesta come atto compulsivo di possesso e di espulsione e che va molto al di là di ogni semplice ragione di scambio.
Ma torniamo ai nostri doni di Natale. Noi oggi siamo convinti con il dono di eccepire per un attimo al sistema utilitaristico e impersonale del mercato, stabilendo dei legami personali e diretti col nostro interlocutore - il destinatario del nostro 'pensiero'. La 'gratuità' che noi attribuiamo al dono, l'assoluta non-circolarità del processo donativo, il tracciato orizzontale che noi crediamo di compiere, prescindendo da qualunque entità sovrastrutturale - la società come 'organismo' superiore -, sono in realtà delle illusioni che molto spesso non vanno al di là della semplice intenzione. Com'è possibile? Per provare a considerare il dono secondo le caratteristiche che di solito gli attribuiamo, infatti, bisognerebbe innanzitutto distaccarlo dalle occasioni che lo sottendono - un matrimonio, un anniversario, una festa segnata in rosso nel calendario -, renderlo un gesto assoluto, genuinamente gratuito ossia 'infondato', un gesto fine a se stesso e nient'affatto implicato con qualcosa di 'esterno'. Solo così il dono corrisponderebbe in tutto o in parte a quello status che si vorrebbe attribuirgli. In tutte le altre occasioni invece il dono si inserisce quasi sempre in un circuito precostituito - ancora 'il circolo'! - com'è appunto il Natale. In questo caso infatti il dono sfugge immediatamente alle nostre intenzioni per diventare invece parte integrante di un rito, una 'tassa di appartenenza' occulta che noi versiamo alla società nel suo insieme, in un percorso 'ascendente' e assolutamente a-personale, senza alcun referente reale. Il nostro dono si inserisce nel circuito produttivo proprio mentre si è convinti di sfuggirgli: diventa acquisto, compera, risparmio, spesa. Quando andiamo a procurarci il nostro dono siamo presi totalmente dalla legge del mercato; e siccome i doni sono spesso tanti, siamo presi doppiamente in questa rete. Stiamo attenti a tutto quello che spendiamo, ponderiamo le migliori offerte, ci facciamo coinvolgere dal prodotto più appariscente e apparentemente più originale. Insomma: consumiamo.
In questo sfoggio continuo di buone intenzioni - una specie di potlach 'morale' - verso il nostro prossimo o verso chi ci è più distante, creiamo un circolo di rispondenze retroattive che fanno girare i prodotti e le merci ed alimentano in questo modo l'economia. Il dono quindi è ancora un obbligo, o se vogliamo una buona creanza della quale non possiamo fare a meno. Al di là del 'pensiero', se volessimo donare davvero 'qualcosa di nostro' dovremmo affidarci a degli oggetti personali, che ci appartengono e come tali sono implicati nella nostra esistenza reale: andare invece a comprarli 'da fuori', ancora asettici e 'privi di vita', vuol dire solo annullare un processo e ricominciarlo ogni volta daccapo. Se facessimo davvero così, se donassimo qualcosa di nostro potremmo rientrare in un format 'genuino' di scambio, in una resa veramente autentica di 'reciprocità concreta' e non più 'sovra-personale'. Ma da noi questa si chiama scortesia, o taccagneria. Peccato.
Nota: l'idea per questo articolo è nata da una proposta di Ximi di Blogghidee. Volevo quindi ringraziarla per lo spunto e soprattutto per l'entusiasmo che riesce sempre a trasmettere. Continua così!!
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