“Quando ho visto la prima volta un’arpa in tv avevo 5 anni e fino ai 9 ho rotto le scatole a mia madre affinché me ne comprasse una. Per lei era come se le stessi chiedendo in regalo un unicorno… una cosa assurda”. Nel tempo, Cecilia a quegli sguardi pieni di stupore che l’accompagnano quando si esibisce con la sua arpa, si è abituata. Del resto non è uno strumento molto diffuso, soprattutto in ambito pop rock, il genere con il quale la musicista torinese si cimenta: “In questi anni mi sono resa conto che per la gente l’arpa è uno strumento nuovo e di cui non sa molto – racconta – Sono andata in luoghi dove addirittura non l’avevano mai vista ed è stata una sorpresa: mi hanno chiesto se suono l’arca… se suono l’arma… se suono l’amaca… vengono colti di sorpresa”.
Dopo essersi diplomata al conservatorio, Cecilia inizia a viaggiare facendo lavori bislacchi sempre legati alla musica. E si esibisce per le strade di Los Angeles come busker accompagnandosi con un’arpa celtica che è più piccola, maneggevole e soprattutto più facile da trasportare rispetto a quella classica. “Facevo cover di pezzi che mi piacevano, come faccio tuttora, da De André a Leonard Cohen, dai Radiohead ai Subsonica”. In seguito inizia a scrivere canzoni e grazie all’incontro con il produttore Raffaele “Neda” D’Anello, scopre l’elettronica che le offre nuove possibilità espressive, sia strumentali sia vocali.
“Le mie ambizioni a quel punto erano fare un disco e Guest – l’album di debutto composto da 11 brani (cantati in italiano e in inglese) che sono una poetica sintesi di voce, arpa ed elettronica – rappresenta la forma dei miei desideri. È nato dopo circa 3 anni di intensa peregrinazione in giro per il mondo e ho scelto questo titolo perché le canzoni sono tutte legate a situazioni in cui ero ospite di qualcuno o ero io che ospitavo qualcuno. Ora spero che a esso ne seguino tanti altri”.
Tutto parte da un brano, Winter Guest: “L’ho scritto durante un Natale trascorso a casa di una signora danese che non conoscevo assolutamente ma che fu molto carina a invitarmi per la festa. Mi ritrovai in una situazione assurda, perché c’era tutta la sua famiglia e io che parlavo a malapena la lingua mi ritrovai inserita in mezzo alle dinamiche strane che sono poi tipiche di ogni famiglia. Da lì sono partiti i ricordi, una serie di fotografie di posti e di persone, situazioni vissute che improvvisamente si sono trasformate in un disco. Questo album per me è una sorpresa continua, adesso spero di farne tanti altri, continuando a sperimentare e a divertirmi”.
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Cecilia, la forma dei desideri dentro un’arpa rock
Creato il 25 settembre 2015 da Trescic @loredanagenna
“Quando ho visto la prima volta un’arpa in tv avevo 5 anni e fino ai 9 ho rotto le scatole a mia madre affinché me ne comprasse una. Per lei era come se le stessi chiedendo in regalo un unicorno… una cosa assurda”. Nel tempo, Cecilia a quegli sguardi pieni di stupore che l’accompagnano quando si esibisce con la sua arpa, si è abituata. Del resto non è uno strumento molto diffuso, soprattutto in ambito pop rock, il genere con il quale la musicista torinese si cimenta: “In questi anni mi sono resa conto che per la gente l’arpa è uno strumento nuovo e di cui non sa molto – racconta – Sono andata in luoghi dove addirittura non l’avevano mai vista ed è stata una sorpresa: mi hanno chiesto se suono l’arca… se suono l’arma… se suono l’amaca… vengono colti di sorpresa”.
Dopo essersi diplomata al conservatorio, Cecilia inizia a viaggiare facendo lavori bislacchi sempre legati alla musica. E si esibisce per le strade di Los Angeles come busker accompagnandosi con un’arpa celtica che è più piccola, maneggevole e soprattutto più facile da trasportare rispetto a quella classica. “Facevo cover di pezzi che mi piacevano, come faccio tuttora, da De André a Leonard Cohen, dai Radiohead ai Subsonica”. In seguito inizia a scrivere canzoni e grazie all’incontro con il produttore Raffaele “Neda” D’Anello, scopre l’elettronica che le offre nuove possibilità espressive, sia strumentali sia vocali.
“Le mie ambizioni a quel punto erano fare un disco e Guest – l’album di debutto composto da 11 brani (cantati in italiano e in inglese) che sono una poetica sintesi di voce, arpa ed elettronica – rappresenta la forma dei miei desideri. È nato dopo circa 3 anni di intensa peregrinazione in giro per il mondo e ho scelto questo titolo perché le canzoni sono tutte legate a situazioni in cui ero ospite di qualcuno o ero io che ospitavo qualcuno. Ora spero che a esso ne seguino tanti altri”.
Tutto parte da un brano, Winter Guest: “L’ho scritto durante un Natale trascorso a casa di una signora danese che non conoscevo assolutamente ma che fu molto carina a invitarmi per la festa. Mi ritrovai in una situazione assurda, perché c’era tutta la sua famiglia e io che parlavo a malapena la lingua mi ritrovai inserita in mezzo alle dinamiche strane che sono poi tipiche di ogni famiglia. Da lì sono partiti i ricordi, una serie di fotografie di posti e di persone, situazioni vissute che improvvisamente si sono trasformate in un disco. Questo album per me è una sorpresa continua, adesso spero di farne tanti altri, continuando a sperimentare e a divertirmi”.
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