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Cecità di Meirelles e José Saramago (o rovesciare l'apocalisse)

Creato il 16 luglio 2011 da Spaceoddity
Il modo migliore per vedere Cecità forse sta tutto nell'ignorare il romanzo di José Saramago (Ensaio sobre a cegueira, 1995) di cui è riscrittura cinematografica fedele. O magari nel ricordarlo con esattezza. Il mio ricordo non troppo vivido potrebbe sviare, ma ci tenterò.
Blindness (2008) di Fernando Meirelles racconta la storia di una strana malattia che in una città imprecisata di un paese indefinito porta a una cecità finora ignota, per cui l'incapacità di distinguere forme e colori si manifesta come una sorta di marea bianca (sembra di nuotare nel latte, si dice all'inizio). La malattia viene creduta infettiva, per cui a coloro che ne sono stati colpiti si impone una quarantena, come accadeva un tempo per la peste. A differenza delle altre pandemie (la città si configura facilmente quale metafora del mondo), però, il morbo ignoto non risparmia proprio nessuno e impedisce di valutare lo stato stesso della malattia, del disordine, della propria condizione. Per ragioni inspiegabili, un personaggio, la moglie (Julianne Moore) del primo oculista che ha provato a diagnosticare il male (Mark Ruffalo), pur fingendosi cieca per poter stare col marito, a vedere e prende presto le redini di una situazione disumana nell'ala del provvisorio lazzaretto dove donne e uomini sono tenuti letteralmente prigionieri. La situazione si complica quando un barista (Gael Garcia Bernal) trascina con sé un'ala di questo "sanatorio" alla sedizione, ricattando tutti gli altri con le armi, per avere denaro prima e donne poi, in cambio delle provviste di cibo di cui il gruppo si è impadronito.
Blindness è così: senza nomi, i personaggi sono la loro storia, il loro ruolo sociale; potrebbero essere ovunque, e infatti non chiedono mai dove siano, anche quando - in pochi - scoprono che la moglie del dottore vede e ha sempre visto. Autentica spazzatura di un mondo che afferma di vedere, salvo poi esaurirsi nello stesso rifiuto, uomini e donne senza vista sono costretti a una dannazione feroce, un'apocalissi senza rivelazione, a meno che la rivelazione non stia nel naturale ottenebramento umano. Sono esseri che lottano per una sopravvivenza insensata o almeno incompresa, mettendo in atto tutte le strategie per disattendere i piani altrui, alleanze provvisorie per perdere tutti; ma anche insperati e commoventi attimi di solidariertà. Blindness, come e più che il romanzo, non si ripete mai: ogni scena somiglia a un nuovo gioco di ruolo di una gara che ai suoi partecipanti sembra non finire mai: una diversa partita a squadre, sì che l'insieme ha il sapore di una collezione enciclopedica - e, a dire il vero, tutt'altro che epidermica - di stati d'animo e dinamiche relazionali.
Il film è caratterizzato da una fotografia magistrale, sovraesposta ad arte, su luci filtrate e psichedeliche, su un appannamento dell'orrore, ma anche da immagini nitide e composte con sapienza ed eleganza, da suoni ben calibrati e carichi di significato. Ma, nonostante le accortezze calligrafiche, Fernando Meirelles firma una pellicola straordinariamente cruda e dura: nel dvd si avvisa che il film è vietato ai minori di 18. Forse ecessivo, se si guarda agli standard cinematografici attuali, ma senz'altro sensato. Certo è che la gioia e la disperazione di questi uomini e di queste donne sono di persone adulte, che hanno esperienza del perdersi, del ritrovarsi, delle catene e della loro libertà.
Con mia sorpresa, la particolarissima prosa "affollata" di José Saramago rimane efficace pur nella natura mimetica del film: i dialoghi, serratissimi, del romanzo continuano a recare nel film il loro messaggio, le dinamiche emotive, affettive, di potere e di dolore. Sul piano epico, poi, l'impatto di questi personaggi senza nome, zombie che hanno scoperchiato il delirio mitopoietico dell'autore, risultano ancora più forti, più potenti. Dove si va in perdita nel film di Meirelles, semmai, è nella costante presenza dell'autore e della sua architettura: José Saramago è stato capace come pochissimi altri di mantenere il doppio filo degli eventi e del ragionamento iperbolico sugli stessi. I suoi non sono romanzi senza trama o senza eventi, anzi, ma ridurli a una trama o agli eventi significa perderne unità, compattezza e messaggi. Il risultato è quello di un film che funziona bene, riserve personali a parte, ma rimane sfibrato nella tenzione esistenziale ed etica di chi ha immaginato quest'apocalisse accecata.

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