Magazine Diario personale
speravo di trovarti in chat ma sono stato sfortunato. Alle tre di notte avrai di meglio da fare. E forse anch'io dovrei dormire un paio d'ore, se riuscissi. Mi sono connesso con una specie di ansia: so che è da pazzi, eppure ero convinto che ti avrei trovata, che avremmo parlato... ma dico scemenze. Mi basterà sapere che leggerai, al tuo risveglio.
L'ostello era come l'avevi descritto, con la sala comune, le camerate, la cucina e al piano terra la stanza degli scout. Quando sono uscito dal bagno una porta alla mia destra si è aperta ed è uscita una bambina etiope, o più esattamente una bambina bruna è volata sulla spinta di tante, a me sembravano, mani femminili, ha attraversato il corridoio e si è fermata. Da dentro ridevano. La bambina etiope che celava i seni nelle mani e il resto in una mutandina di pizzo finto mentre credo protestasse nella sua lingua alla porta chiusa mi sorrideva. Io, che ero vestito di tutto punto per uscire, ho frugato in tasca, ho spiegato un fazzoletto di seta e l'ho appoggiato sul petto come per coprirmi. Quando le ho offerto il fazzoletto penso abbia capito perché l'ha preso e se l'è accostato al petto. A quel punto la porta si è aperta e una nuvola di profumi e voci di donna ha attirato a sé la bambina etiope e ha richiuso l'alcova.
Abbiamo giurato di dirci tutto. Prima di uscire ricordo di aver sciolto una bustina di magnesio sotto la lingua e di essermi guardato allo specchio. Ho anche controllato foruncoli e punti neri. E temo perfino di aver avuto una crisi di digestione. Mentre prendevo la metropolitana verso piazza del duomo succhiavo una caramella e non vedevo niente. La metro scivolava nel budello del quale non conoscevo l'inizio né avrei visto la fine e l'aria mi attraversava, e come poteva soffiare dalle gallerie e non guastarsi nelle nostre bocche – piuttosto essere l'involucro vuoto che ci portava a destinazione?
Attraversavo la piazza e non mi accorgevo di nulla, intuivo i negozi, sopra il livello dei tetti la cittadella delle aziende e gli uffici. Così sono arrivato senza rendermi conto e quasi sporcando col fiato e le mani i cristalli del grattacielo che abbiamo visto in fotografia il giorno della mia iscrizione alla banca dati dell'azienda.
La Texar Spa è un prisma a picco su una delle vie satelliti della piazza. I vetri specchiati restituivano un'immagine della strada come una pellicola di petrolio sull'acqua. Quando ho trovato un posto fra la porta e una parete-finestra della sala d'aspetto ho potuto osservare il mio diretto concorrente per il colloquio. Aveva un tablet sulle ginocchia e su quello ha continuato a muovere le dita e a leggere anche quando ho avuto uno dei miei accessi di tosse. Quando è stato il momento ha salutato l'esaminatore, entrambi avevano al massimo trent'anni, ed è stato condotto in un'altra stanza..
Mentre ero solo ho incrociato la mia immagine sulla parete-finestra. Ero davvero io, quello? Ho guardato meglio quella persona segnata e mi sono detto che ero io, anzi, che sono io proprio come era logico che diventassi. Eccomi. Ho scansato tutti i concorsi tutti i treni tutti gli ascensori e adesso sono vecchio per tentare la carriera accademica ma non abbastanza per tirarmi fuori dal circolo vizioso del lavoro. Non c'è una donna tanto audace da provarsi a conquistarmi. La vedo questa donna misteriosa, di ogni età e di ogni aspetto che possa immaginarmi nell'arco della mia vita, la vedo sempre diminuirsi e sempre ritirarsi, e non la biasimo dato che io stesso ho fatto altrettanto per lei. Tutte le cose che ho fatto si sono offuscate e sono diventate inutili, anzi inesistenti. Perché in fondo cosa è successo nei miei anni che abbia lasciato un'impressione memorabile, non dico nel mondo, ma almeno nelle persone che mi sono vicine? no, quello che è stato, se mai è stato, è appartenuto alla mia mente. I miei anni sanno di acqua nella quale sono appassiti fiori in vaso ma tutto questo non è affatto importante.
Non importa più nulla: io sono invecchiato, questa mattina mi sono impiccato a una cravatta come un qualunque novizio e mi sono presentato alla Texar Spa. Ecco cosa ho fatto, mi dicevo seduto e mi prendevo la testa fra le mani mentre a tratti scoppiavano silenzio e risa soffocate nella stanza degli esami. Poi la porta si è aperta e l'esaminatore si è rivolto alla mia persona con la stessa cordialità.
Per tutto il pomeriggio che ne è seguito non sono stato in grado di fare niente. Ho passeggiato per corso Buenos Aires pensando al regalo che avrei potuto portarti e mi accorgevo di non avere abbastanza soldi per un acquisto anche modesto in certi negozi. Per alcuni minuti riuscivo a dimenticare come e perché mi trovassi in quel posto, poi un'emozione mi scuoteva e mi costringeva a interrompere quello che stavo facendo. Allora cercavo nelle tasche il biglietto, lo spiegavo alla luce del sole e controllavo se ci fossero errori nella prenotazione del treno per il ritorno e l'orario di partenza. Dopo ogni controllo, per quanto assurdo ti possa sembrare, mi sentivo sempre più tranquillo. Ho iniziato a muovermi per le strade scegliendo quelle che più mi piacevano per l'estetica dei palazzi. Poi una macchina si è fermata a non più di cento metri da dove stavo passeggiando e ne è uscita una coppia di ragazze a braccetto. Erano la bambina etiope. O meglio, erano due creature una uguale all'altra, entrambe identiche alla bambina bruna dell'ostello.
Come potessero essere due donne gemelle mi ha lasciato perplesso e sono rimasto stupidamente a guardarle un secondo di troppo. La più pronta si è volta, forse riconoscendomi, e mi sono venute incontro. Ora, nessuna delle due credo abbia mai parlato una parola d'italiano. La loro lingua è un rigogolo di francese e inglese meneghino su una base esotica che pare anch'essa un dialetto di qualcos'altro, tanto è stretta di pronuncia. Quando discorrevano fra loro abbandonavano ogni cautela e le frasi diventavano inintelligibili.
La cosa più bella di essere pittrici e gemelle, raccontavano e gesticolavano mentre mi prendevano a braccetto a mia volta, è che non esiste confine fra il ritratto del corpo e quello dello spirito, con la particolarità che lo spirito, ho pensato io in quel caso, lo puoi osservare rapprendersi sulla pelle, il naso o la radice dei capelli, come fosse una possibile verità. Quando mi hanno condotto nella loro stanza d'ostello ho capito cosa intendessero.
Giacinta e Rebecca, ho scoperto, sono due pittrici naif di origini africane che vivono inspiegabilmente in un ostello vicino al parco del Lambro. Esse posano ognuna per i quadri dell'altra in contegno gattesco, su poltrone dalle quali si libera ogni tanto la massa di un piede o la spalla, nel gesto di chi legge, o alla chitarra. A volte sono più disperate e le si vedono coperte da una schiena maschile, accovacciate nella posa delle cagne, sorridenti con un cesto di cartacce come mele, senza volto con la pancia appesantita da una fioritura di carciofi e la corona del sesso di un nero tumido che potrebbe quasi arricciolarsi. Questi (mi sono stati mostrati con un gesto superfluo) sono i loro quadri. Giacinta mi ha teso un fazzoletto inchiostrato e allora ho capito quale gemella avessi incrociato al mattino, e di come sarebbe stato più bello lasciare che Giacinta rimanesse svestita di fronte alla sua porta e Rebecca la ritraesse guardando dal buco della serratura.
È stato a quel punto che Rebecca mi ha proposto il gesto che invita inequivocabilmente a spogliarsi. Io, che non sono abituato alla libertà dei pittori, ho provato un profondo turbamento perché credevo di aver sentito la parola couché, cioè dormire o giacere, e pensavo che quelle due avessero curiosità di un uomo europeo. Quando sono stato completamente nudo Giacinta ha avuto un sorriso e si è rivolta alla sorella nella loro lingua madre. Allora Rebecca si è spogliata anch'essa sul posto, ma con gesti così spicci che ho capito subito quanto fosse lontana dall'idea di sedurmi. Questo mi ha eccitato e ha fatto sì che ci congiungessimo lungamente, e che Giacinta dipingesse con le dita vortici di nero profondo e di bianco e che molta parte della superficie del quadro rimanesse invescata di una tinta grigiastra, alla quale Giacinta ha voluto mescolare i nostri umori ancora freschi sul corpo della sorella. Dopo tutto questo lavoro ho tentato di calarmi ancora in loro, in entrambe dato che ognuna sono la metà dell'altra, ma le bambine si sono rifiutate e hanno preferito che mangiassimo. Abbiamo consumato birra e focaccia e sapevamo ancora di liquidi e colori. Dalle finestre dell'ostello, dove continuo ad alloggiare, si vedevano e si vedono i platani del Lambro.
Ora comprenderai come non possa dormire.
Florestano
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