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celebrazione - il cioccolatino

Da Foscasensi @foscasensi

Mail di lunedì 6 giugno 2011; ore: 18.01
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Re:LIQUIDA


L'HO SEMPRE
sostenuto anch'io. Sei infinitamente migliore.  Ma nemmeno io, cara, sono da buttare.
Dunque ora conosci com'è stato l'inizio della mia avventura a Milano ma non sai il resto. Era uno di quei giorni già estivi. Camminando i piedi si sbucciavano sulle suole e lungo l'asfalto apparivano finte pozze bagnate. Ma non importa, non importava niente. Avresti dovuto vederlo, quest'uomo, avresti dovuto vedermi lanciare cenni ai passanti e ogni tanto perfino correre lungo lo stradone di piazza Missori. Cosa avresti pensato? Ecco un uomo onesto, perfettamente, legittimamente felice. E guarda un po', Fosca: è bastata  una telefonata. “Pronto”, dice una signorina “sono Bella, dell'ufficio selezione personale della Texar Spa. Disturbo?”. Mi chiede se disturba! Bella, mia cara, tu non disturbi mai. Una fanciulla con queste tue corde vocali così deliziosamente addotte. Così delicata e leggermente rauca. Con le tue esse insinuanti. E le vocali turgide, tutte aperte. Quale promessa nascondi – oh, aveva ragione il principe Golubcik, semmai l'inferno ha dei colori, questi sono il bianco, il nero e il rosso, e se avesse una sensazione tattile, aggiungo io, questa sarebbe del morbido e dell'attillato, e se avesse un odore, questo sarebbe il tuo, Bella, mia cara, scommetto che sei acidula e lievemente salata come un dito di uova di pesce su una fettina di mela...

duomo cioccolato
Ma sto divagando! Dunque non tutto era perduto come pensavo. E vedi come sono gli uomini, è bastato sapere che avessi una chance per gettarmi nella confusione più completa. Io che avevo passato gli ultimi giorni a bere birra e far crescere la barba mi sono precipitato nella prima carrozza di tram, sono rientrato in albergo e mi sono tirato a lucido come un damerino qualsiasi. E davvero non sono mai stato così bello: mi radevo e cantavo, provavo vestiti, calzavo le scarpe migliori. Oh, avevo bisogno di immaginare questa donna che ha chiamato e mi ha offerto un lavoro. Come avrebbe potuto essere, Fosca? Come te? O diversa? Tutte le donne possono essere più o meno come te, ma tu, so che non ti offenderai, le contieni tutte, a te posso paragonarle tutte.
Fuori il tempo si era appannato e l'aria  soffiava gli scarichi d'auto un po' ovunque: l'appuntamento era alle tre e a mezzogiorno ero già per strada con una fame da lupi. Tu lo sai, sono uno di quegli uomini che non riesce a contenersi; chiamala sindrome porcina: avevo un solletico allo stomaco, una fila di tavolini di bar mi attirava, avrei offerto da bere a chiunque. Ehi gente,  che ne pensate del mio panama? è un vero panama bianco latte intrecciato a mano, il nastro l'ho aggiunto io. Un lungo e vaporoso nastro ceruleo. E questo sia detto anche per te, mia cara: non  azzurro, ceruleo.  Non sono uno splendore? e il tempo stesso non è splendido? A proposito, state parlando con uno dei nuovi dirigenti della Texar Spa – da domani passate pure nel mio ufficio, vedremo cosa si può fare.

Sì, questo sono io, aiuterei tutti. Avrei aiutato tutti, tutti. Sopra ogni cosa mi piacciono i lenti di pensiero, i miseri, i depressi. Mi piacciono gli spaventati, gli insicuri, i malinconici, gli imprecisi. Tutti i sopraffatti di questa terra io li amo come fratelli di sangue, mia splendida Fosca, quelli che ascoltano i meccanismi generali di dissoluzione del mondo sullo specchio vivo della loro carne – e nel peggiore dei casi, se proprio ci devi lavorare insieme, ti fanno seccare anzitempo l'uccello.
Capisci bene che non sarei riuscito ad aspettare fino alle tre. Avevo cercato un negozio di fiori ma Milano non è terra di rose o gigli, così ero entrato in una pasticceria e ne ero uscito con un involto minuscolo, una scultura di cioccolata nera e scorze d'arancia che raffigurava il Duomo e la sua piazza. Sì, non sarei riuscito ad aspettare fino alle tre. Avrei varcato la soglia della Texar e Bella sarebbe stata sulla porta ad attendermi – mora, bionda, alta, bassa: non importa. Ma avrebbe avuto occhi color pervinca, sarebbe stata in piedi ad attendermi coi suoi occhi pervinca e io le avrei dato il pacchetto dicendole: tieni, piccola, ti regalo il Duomo, e sarei entrato nel mio nuovo ufficio e allora sì che tutto sarebbe andato a meraviglia.
Non è andata esattamente così.
Come durante il primo colloquio la sala d'attesa era vuota. Il vano è separato dal locale attiguo, credo la segreteria, grazie a una paretina di cartongesso che lascia passare voci di persone al telefono senza che si veda nulla. Anche stavolta una porta si è aperta e l'esaminatore mi ha fatto cenno di entrare, e davvero ho faticato a non dare del tu a quella faccia da bamboccio. Abbiamo parlato un po', amichevolmente. L'esaminatore si chiama Andrea  Papadopulos e beve succo di mirtillo proprio come una donna con il marchese. “Lei mi piace, signor Salza”, ha detto porgendomi un foglio. “Anche lei mi piace”, ho mentito firmando.
È fatta, piccola, siamo a cavallo. Ti manderò dei soldi. A proposito: quando sono rientrato Michel Schwarz giocava a Tetris in sala comune. Ho avvolto il cioccolatino del Duomo, ormai quasi del tutto liquefatto, in un foglio da venti e gliel'ho messo in tasca. Ho pensato un momento a Bella, ma solo per un momento. Poi mi sono spogliato e sono andato in camera dalle bambine.


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