Magazine Cultura

Celestino da Verona

Creato il 16 settembre 2011 da Marvigar4

eretico sul rogo

 

   Celestino da Verona, al secolo Giovanni Antonio, figlio di Lattanzio Arrigoni di Verona, frate francescano e suddiacono dell’ordine dei Minori Cappuccini, fu tra gli accusatori di Giordano Bruno. La vicenda che portò il filosofo nolano al rogo il 17 febbraio 1600 si intreccia necessariamente con quella di Celestino da Verona in una sorta di “giallo” dai risvolti ancora da chiarire. Il frate francescano era già incorso nei rigori dell’Inquisizione nel 1587 quando, in data 17 febbraio, fu costretto ad abiurare su contenuti eretici di cui nulla sappiamo. Condannato de vehementi, Celestino scontò la sua pena, ma cinque anni dopo fu arrestato nel Veneto, accusato sempre di eresia, e dal settembre 1592 trascorse un anno di detenzione in attesa di giudizio nella prigione veneziana di San Domenico di Castello in compagnia proprio di Giordano Bruno. Qui ha inizio il “giallo” di cui sopra… Il Sant’Uffizio assolse Celestino e lo confinò nel convento francescano di San Severino, nelle Marche. Nessuno saprà mai dire cosa sia successo nel periodo in cui Giordano Bruno e Celestino coabitavano nella stessa cella, sta di fatto che a distanza di un anno il frate francescano avrebbe fatto pervenire all’Inquisizione un dossier di accusa nei confronti di Giordano Bruno, suffragandolo con le testimonianze di altri tre detenuti del carcere di San Domenico di Castello, frate Giulio da Salò, un certo Francesco Vaia e un Matteo de Silvestris, di cui niente sappiamo, che insieme a Celestino avrebbero raccolto le confessioni compromettenti di Giordano Bruno. Com’è noto, gli atti originali del processo contro il filosofo nolano sono andati perduti, ma dal Sommario è stato possibile ricostruire le accuse. Queste sono riportate nel testo di Luigi Firpo Il processo di Giordano Bruno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1949, poi riedito da Salerno Editrice S.r.l., Roma 1993:

«Che Cristo peccò mortalmente quando fece l’orazione nell’orto recusando la volontà del Padre mentre disse: Pater, si possibile est, transeat a me calix iste.

Che Cristo non fu posto in croce, ma fu impiccato sopra dui legni a modo d’una crozzola, che allora si usava, e chiamavasi forca.

Che Cristo è un cane becco fottuto can: diceva che chi governava questo mondo era un traditore, perché non lo sapeva governar bene, ed alzando la mano faceva le fiche al cielo.

Non ci è Inferno, e nissuno è dannato di pena eterna, ma che con tempo ognuno si salva, allegando il Profeta: Nunquid in aeternum Deus irascetur?

Che si trovano più mondi, che tutte le stelle sono mondi, ed il credere che sia solo questo mondo è grandissima ignoranza.

Che, morti i corpi, l’anime vanno trasmigrando d’un mondo nell’altro, dei più mondi, e d’un corpo nell’altro.

Che Mosè fu mago astutissimo e, per essere nell’arte magica peritissimo, facilmente vinse i maghi di Faraone; e ch’egli finse aver parlato con Dio nel monte Sinai, e che la legge da lui data al popolo Ebreo era da esso imaginata e finta.

Che tutti i Profeti sono stati uomini astuti, finti e bugiardi, e che perciò hanno fatto mal fine, cioè sono stati per giustizia condannati a vituperata morte, come hanno meritato.

Che il raccomandarsi ai Santi è cosa redicolosa e da non farsi.

Che Cain fu uomo da bene, e che meritamente uccise Abel suo fratello, perché era un tristo e carnefice d’animali.

Che, se sarà forzato tornar frate di S. Domenico, vuol mandar in aria il monasterio dove si troverà e, ciò fatto, subito vuol tornare in Alemagna o in Inghilterra tra eretici per più comodamente vivere a suo modo ed ivi piantare le sue nuove ed infinite eresie. Delle quali eresie intendo produrre per testimoni Francesco Ieroniminiani, Silvio canonico di Chiozza, e fra Serafino dell’Acqua Sparta.

Quel c’ha fatto il breviario, ovvero ordinato, è un brutto cane, becco fottuto, svergognato, e ch’il breviario è come un leuto scordato, e ch’in esso molte cose profane e fuori di proposito si contengono, e che però non è degno d’esser letto da uomini da bene, ma dovrebbe essere abbrugiato.

Che quello che crede la Chiesa, niente si può provare».

Proprio nel momento in cui le accuse di eresia a Bruno, nel frattempo estradato a Roma, stavano per essere contestate sarebbe giunto a Venezia questo dossier ad opera di Celestino da Verona. L’inquisitore veneziano avrebbe ascoltato Celestino e i testimoni citati nel dossier e inviato a Roma questa denuncia e i verbali degli interrogatori. Fu praticamente il colpo di grazia per Giordano Bruno…

Il resto della vicenda riguarda l’incriminazione di Celestino per una sua lettera in forma anonima scritta il 20 giugno 1599, nella quale il frate si autoaccusava di gravi atti di eresia. Interrogato dall’Inquisizione romana il 9, l’11 e il 15 luglio 1599, Celestino fu trovato colpevole e condannato al rogo in data 24 agosto 1599 come eretico «relapsus, impoenitens et pertinax haereticus». A nulla sarebbero valsi i tentativi di salvare il frate francescano che, nella notte del 16 settembre 1599, fu prelevato dal palazzo dell’Inquisizione, dov’era recluso, e arso in Campo de’ Fiori. 154 giorni prima dell’esecuzione di Giordano Bruno.

© Marco Vignolo Gargini

http://it.wikipedia.org/wiki/Celestino_da_Verona

http://www.treccani.it/enciclopedia/celestino-da-verona_(Dizionario-Biografico)/



Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :