Prefabbricato di Città della Scuola, metà agosto, interno, giorno. La ‘povna è seduta nell’ufficio del protocollo, intenta a mandare un mail al provveditorato, in merito alla commissione tosta. Poiché la sua velocità di battuta è circa ottocento volte quella dell’impiegata che dovrebbe segretariarla, la ‘povna ha ottenuto di segretariarsi da se stessa. E ora è lì – circondata da scartoffie, che tippetta la tastiera.
Ricontrolla i moduli, i numeri, le cattedre; scrive le osservazioni di quel che non le torna, in bell’ordine, approva il resto. Indirizzo ufficiale, Pec, cc e ccn: alla fine di un paio di orette il lavoro è concluso (sembrerebbe al meglio), e la ‘povna può schiacciare con soddisfazione il tasto “invia”.
Mentre si alza, si guarda intorno, l’occhio cade su una pila di fogli. Sono le domande di supplenza di istituto (quelle che l’insegnante precario manda direttamente alla scuola, per una micro-sotto graduatoria dalla quale pescare per le sostituzioni dell’anno – e che funziona esattamente come le altre: i punti si fanno per anzianità, per scorrimento, per lista). Senza quasi pensarci, comincia a leggere la prima del mucchio: qualcosa la ha attirata, come elemento strano.
C’è il curriculum vitae, ovvio. Nome: Solaria; Cognome: Belgioioso; Laurea: Lettere Moderne, votazione 110 e lode; Abilitazioni SSIS: Italiano, Storia, Geografia, Latino, Educazione Civica, e anche qui il massimo dei voti. Anno di nascita; Comune di Residenza, Indirizzo. E poi l’incongruo è lì, in tutta la sua sostanza: Stato Civile: Celibe. La ‘povna alza uno, anzi, due sopraccigli. Corre di nuovo al nome, inequivocabile, poi all’indicazione del sesso (femmina). Poi l’occhio torna alla parola ingrata.
E’ a quel punto che si accorge che il CV è appaiato, come prassi, al messaggio di accompagnamento. Scritto tutto in lettere maiuscole.
“BUONGIORNO!” – recita Solaria con esibito entusiasmo.
“ALLEGO IL MIO CV E LA RICHIESTA DI ESSERE INSERITA NELLA VOSTRA GRADUATORIA DI ISTITUTO” (segue elenco dei documenti prodotti e poi, a mo’ di chiusura apotropaica):
“SPERO PROPRIO CHE CI SENTIREMO PRESTO, ALLORA!”.
La ‘povna ha visto abbastanza, e non può stare tutta la giornata a scuola al 12 di agosto. Però, dopo aver salutato tutti quanti, mentre cammina verso la stazione e casa, di buon passo, medita.
Medita che non puoi essere laureata e abilitata all’insegnamento della lingua italiana e delle lettere, pure con il massimo, e ancora confondere, nella presentazione che dovrebbe fornirti il passaporto per il lavoro del prossimo anno, “nubile” con “celibe”. Medita che non puoi avere l’incarico di insegnare la comunicazione e i suoi registri, e mandare una lettera di lavoro con quei toni, tutta scritta in maiuscolo.
Ma poi medita anche, amaramente, che – poiché l’inserimento in graduatoria è automatico, e dipende da un algoritmo inalienabile di anzianità e punteggi – la verità è che tutte queste cose perdono di importanza. Perché – anche se la preside Barbie vedesse questi abomini (e li vede, poveretta) e si mettesse le mani nei capelli – la sua opposizione si ridurrebbe a questo. E non perché la preside Barbie non conosca la differenza lessicale dei due termini della burocrazia dei single (anzi), e nemmeno perché voglia fare della beneficenza. Semplicemente, perché tanto Solaria sarà inserita là dove punteggio comanda. E, se sarà il suo turno, sarà chiamata, e basta.
Ed è in questi casi che la ‘povna si interroga, una volta di più, sui sistemi di selezione e valutazione insegnanti di certa scuola italiana.
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