Cellule staminali del cordone ombelicale promettenti contro l’HIV

A pochi giorni dalla giornata mondiale con l’AIDS (lo scorso 1 dicembre) riportiamo una buona notizia: un passo avanti della medicina, che non smette di cercare una cura per questa malattia.

Il trapianto di un particolare tipo di cellule staminali ematopoietiche (le omozigoti CCR5-Δ32) è ad oggi l’unica cura nota contro l’infezione del virus dell’HIV. Si tratta tuttavia di una cura raramente applicabile, poiché i soggetti che presentano nel loro organismo le cellule staminali che presentano la particolare caratteristica genetica necessaria sono molto rare. Oltre a questo, il trapianto necessita una forte compatibilità tra donatore e ricevente, una condizione di non facile attuazione.

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Le cellule staminali del cordone ombelicale, però, richiedono condizioni di compatibilità meno stringenti rispetto ad altri tipi di staminali. Per questo, in uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Biology of blood and marrow transplantation” lo scorso 23 Ottobre, un team di ricercatori ha cercato di sfruttare questo vantaggio per eseguire più velocemente il trapianto di cellule staminali. Come?
I ricercatori hanno creato un programma di screening per il sangue del cordone ombelicale. Quelle cellule che presenteranno le caratteristiche necessarie al trapianto verranno inserite in un apposito database, in modo da renderle reperibili in caso di necessità di un trapianto.

Le cellule staminali del cordone ombelicale si qualificano quindi come uno strumento promettente contro l’HIV e hanno già avuto successo nel caso di un paziente affetto da leucemia mieloide acuta. Sottoposto a trapianto di cellule staminali del cordone ombelicale il paziente ha mostrato che le cellule del sangue periferico erano diventare resistenti all’infezione da HIV.

È importante ricordare che l’HIV in Italia è una patologia non ancora debellata, e che anche per questo è importante sostenere la ricerca. In Italia ogni tre ore avviene un nuovo contagio e sono tremila i nuovi casi ogni anno, secondo i dati del Ministero della Salute.