Il suono rassicurante della voce di papà, cadenzato da frasi ritmicamente strutturate e ripetute, la luce del lume e uno stuolo di peluches al mio cospetto sono fra i ricordi più vividi della mia infanzia. Le fiabe più belle erano quelle ascoltate nel dormiveglia; quando la voce diventava lontana per lasciare spazio ai sogni.
Il suono divenne immagine attraverso i film d’animazione della Disney. Ma la creatività di Walt che gli portò fama imperitura, causò, al tempo stesso, danni irreparabili nei genitori di una intera generazione: quella dei bambini nati e cresciuti negli anni Novanta.
A più di quindici anni di distanza, quando a mio padre capita di sentir accennare una qualche colonna sonora Disney diviene preda dello sconforto; ricorda ancora con angoscia le lunghe ore di prigionia passate a riparare i tasti rewind e play del registratore e a fissare lo schermo in compagnia di Belle, Aurora ed Ariel…
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un revival di film d’animazione Disney: prima Biancaneve in due versionei diverse, poi Alice in Wonderland, di recente lo spin-off de La Bella Addormentata ed ora anche Cenerentola.
Questa fiaba presenta molteplici versioni. C’è una Cenerentola norvegese: Kari, una russa: Nerella, una napoletana: la Gatta Cenerentola e addirittura una cinese che risale a milleduecento anni fa.
La versione più celebre è, tuttavia, quella di Perrault che ha ispirato non solo Walt Disney nel 1950, ma anche il film di Kenneth Branagh nelle sale da qualche settimana.
Penso che sulla trama non ci sia bisogno di soffermarci: è nota e arcinota.
Tuttavia, vi voglio proporre l’interpretazione della fiaba dei fratelli Grimm: Aschenputtel, pubblicata nel 1812, in cui la Fata Smemorina viene sostituita con un albero di nocciolo e i topolini con delle colombelle.
Ma non è tutto. La fiaba ha tinte forti e un risvolto finale cruento e un po’ macabro; infatti, nel momento catartico della prova della scarpetta, i piedoni delle sorellastre rappresentano l’unico ostacolo fra loro e la corona, per cui la matrigna, con mentalità pragmatica e lucidità teutonica, consiglia ad una di tagliarsi il calcagno e all’altra il pollice.
Ma l’inganno viene scoperto, il sangue cola dalla scarpina e il principe torna indietro a reclamare la vera sposa. Un castigo ancora peggiore attende, però, le perfide sorellastre alle quali, il giorno delle nozze di Cenerentola, due colombelle cavano entrambi gli occhi, rendendole cieche a vita.
Tranquillizzatevi puristi della Disney!
Nella pellicola di Kenneth Branagh non vedrete nulla di tutto questo, anzi il regista, rimanendo fedele alle atmosfere e alla forma, innova nella sostanza il personaggio di Cenerentola (Lily James) che è innanzitutto Ella; il solo fatto di avere un nome definisce il suo posto nel mondo, le dà vita e la fa uscire dalla passività del suo ruolo.
Il regista modifica leggermente la trama, rendendo i personaggi molto più consapevoli di loro stessi: nella favola, l’incontro con il principe avviene per la prima volta al ballo, invece nel film in un bosco, dove Kit (Richard Madden) sta guidando una battuta di caccia. Il principe dunque, spacciandosi per un apprendista dimostra umiltà ed ironia nei confronti di questa ragazza sconosciuta; egli non si innamora di lei solo per il suo bel viso, ma per l’arguzia, l’umanità, la generosità e il coraggio della ragazza di tenergli testa, soprattutto quando gli chiede di salvare il cervo che stava inseguendo. Fra i due si crea sin da subito una relazione paritaria che permette loro di maturare attraverso il confronto, poiché essi non sono interessati ai reciproci status sociali, ma esclusivamente ai propri sentimenti.
Il regista realizza una trasposizione che è una gioia e un incanto per gli occhi: le atmosfere e le scenografie vagamente vittoriane di Dante Ferretti creano un perfetto “habitat” per rinnovare questa fiaba (la scena nel ballo coreografato, fra mussole e crinoline, è indimenticabile quanto quella del film) e i colori (merito di Sandy Powell già costumista di The Young Victoria e Shakespeare in Love), dal viola della lavanda del giardino al blu degli occhi del principe fino al verde e al nero degli abiti della matrigna, caratterizzano i personaggi e gli ambienti.
Lodevole la sceneggiatura (ho sentito frasi ben note alle mie orecchie) e le modifiche alla trasposizione originale poiché servono ad approfondire questi ruoli solitamente stereotipati delle fiabe: prima fra tutti la protagonista che non subisce senza motivo la crudeltà della matrigna, ma lo fa per uno alto scopo, quello di preservare il ricordo dei genitori nella sua casa. Anche per le sorellastre (Holliday Grainger nel ruolo di Anastasia e Sophie McShera in quello di Genoveffa) si assiste ad un’inversione di tendenza. Le due hanno un aspetto gradevole, ma il loro essere kitsch è specchio di ciò che sono all’interno: marce e prive di qualsivoglia virtù.
Non possono mancare in questa analisi: l’eccentrica fata madrina interpretata da Helena Bonham Carter che firma, in modo ironico e divertente, anche la colonna sonora Bibbidi-Bobbidi-Boo (fa lo stesso Lily James con A Dream Is a Wish Your Heart Makes) e Cate Blanchett. Anche lei cede al fascino delle cattive (come Julia Roberts, Angelina Jolie, Charlize Theron prima di lei) ed impersona la temibile Madame Tremaine.
Un’interpretazione piena, ricca e viscerale, in cui l’attrice algida, glaciale ed elegantissima col suo incedere ricorda una diva hollywoodiana degli anni trenta, sfoggiando il suo crudele sorriso d’avorio fra labbra rosso fuoco.
Il genere fiabesco viene da lontano, trasuda incanto e meraviglia e presenta una versione semplice e semplificata della vita, ma non per questo meno autentica.
Ancora prima dei fratelli Grimm, di Perrault, di Andersen, c’erano Esopo, Fedro, le commedie antiche che rappresentavano un momento di evasione per il pubblico e un luogo per veicolare messaggi di denuncia attraverso l’ imitazione della realtà e una morale.
In un mondo sempre più corrotto ed ipocrita, abbiamo la stessa voglia di sognare di quando eravamo bambini; lo dimostrano questi numerosi revival e alcune serie tv ispirate alle fiabe.
Evadere in un mondo che distingue nettamente il bene dal male, la luce dall’ombra, il bianco dal nero significa dimenticare il presente affinché il sogno divenga realtà. Tuttavia, la vera magia si attua proprio quando viviamo bene il nostro tempo, non è determinata da un incantesimo, ma dalla generosità e dal coraggio attraverso il dono del perdono.
Kenneth Branagh ha raccolto la pesante eredità di un classico Disney e non ha sbagliato. Per me, ad oggi, questa è la migliore trasposizione cinematografica di un film d’animazione… Tuttavia, si vocifera che Disney abbia ancora molti colpi in canna: prima l’adattamento de Il Libro della Giungla, previsto per l’anno prossimo e poi La Bella e la Bestia con Emma Watson che potrebbero riservarci altre belle sorprese.