La cosa che indossiamo più a lungo / è un cappotto di polvere. / Solo i canti di passione durano.
Erica Jong – Il salto di Saffo
Dicono che dal titolo di un libro si possa dedurre il contenuto e individuare la personalità dell’autore: non conoscessi Micaela Balìce cercherei di immaginare una romantica figlia di papà – in attesa del suo principe azzurro, vessata dalla crudele matrigna e dalle perfide sorellastre, costretta a togliere la polvere dai mobili – danzare con una scopa in mano, solitaria presenza in un superattico incantato.
Niente di più falso, perché la nostra autrice, se ha avuto problematiche da superare per diventare il poeta che è, ha ampiamente esorcizzato ogni ostacolo con la ferrea volontà di raggiungere il suo nucleo creativo, realizzando in sé tutte le figure che possono aver composto la sua favola.
Micaela Balìce è una donna nel pieno della sua femminilità che ha saputo viversi morendo a se stessa infinite volte “Ho scelto di morire molti anni fa / ne ho perso il conto” per rinascere “Così sorridi / pensando alla nuova donna / che sei il tu di ieri” improvvisamente “Come un fiore che sboccia / di petalo nudo vestita”.
La sua poesia prende vita dal contatto con quel luogo dell’essere dove l’anima – profondamente radicata a valori ctonii “Tu che un giorno / raccoglierai / la mia carne / vuota di me, / raccogli nel tuo ventre / oggi il bulbo/ perché possa godere / del croco / come primizia” – incontra quella spiritualità genuina e trasparente legata ai ritmi della Natura “Così faccio anche io, / per morire un poco: / lasciar morire il seme / con lo sguardo verso l’aurora / del prossimo sole.”: un luogo dove silenzio e grida, gioia e dolore, solitudine e allegria, illusioni e disincanto si alternano con cadenza regolare, in un moto di accettazione del destino pur volendo esserne artefice. Allora leggiamo “Piango di solitudine / e se apro bocca muovo le mie parole /ma hanno suoni che non comprendi” ma anche “Le mie parole / non son morbide come la creta: / sono taglienti / come spade affilate” e la presenza malinconica di “Amo la solitudine / del passeggiare con me stessa./ Mi incupisce / la solitudine / di non avere / a chi raccontare.” ci potrebbe trarre in inganno, se non apparisse d’incanto la confessione più sincera “Se non ci fossi tu, / tentativo di poesia, / mi perderei in me stessa / e so che ne morirei.”
Ecco dunque spiegata la nascita di questa raccolta poetica che prende vita e si infiamma immediatamente affrontando temi come la religione, la vita e la morte, il tempo e il silenzio di un’umanità in catene, senza per questo adottare un linguaggio aulico o privo di quella soffusa sensualità che è la cifra dominante dell’autrice.
Un inno alla vita e all’amore, dunque, sin dall’esergo di Erica Jong dove spicca un preciso riferimento alla polvere, quella materia che si posa ovunque non ci sia movimento, ovunque il tempo fermi il ritmo del divenire, ovunque la vita cessi il suo pulsare: Micaela Balìce non teme la polvere “Ai poeti / non disturba la polvere” perché vuole vivere intensamente, per cui non si accontenta di guardarsi – immobile – allo specchio; vuole ascoltare il suo cuore battere all’unisono con la Natura, con il regno vegetale “Sto cercando la mia pace. / L’ho cercata in riva al fiume / e il fiume ha riso / della mia ingenuità.”, con quello animale “Come un’ape sarò / ubriaca di profumi / di primavera sbocciati / e di nettare avrò / sazie le zampe / e macchiate le labbra.” e anche, perché no, con quello minerale “trasformiamo le parole / in sassi / per un sol giorno… / tanto per sentirne il peso”.
Certo, Cenerentola può ballare da sola perché non ha paura del tempo che scorre, perché “Amore e rabbia / giocano sulla soglia / della mia anima / come un drago /con la sua principessa”; perché “come ogni Strega / conosco il buio del bosco / e nonostante il dolore / più non mi perdo”.
E per raggiungere il cuore di questo “bambino di carta” esiste la dichiarazione della primipara autrice che afferma “Quando dentro hai l’infinito / ovunque fuori è stretto” e che con ulteriore baldanza sembra gridare “… della tua maschia vendetta / ne ho fatto / le mie poesie migliori”.
Come ognuna di noi leggendo Erica Jong ha imparato ad “abbracciarsi forte forte se il principe azzurro ha perduto la strada” anche Micaela Balìce è entrata nel mondo magico del potere femminile, libera dalla dipendenza perché “Non cerco più / l’apprezzamento / degli altri, / ma solo / il godimento / di me stessa” e ha compreso profondamente che “Cenerentola balla da sola. / La sua gioia non sta nella scarpa / né in un principe distratto, / ma dentro se stessa. / E ridendo abbraccia una quercia / come solo una strega può fare.”
Chicca Morone
Moncalieri, 18 luglio 2009