Cennino Cennini, “Il libro dell’arte” V
Creato il 23 settembre 2014 da Marvigar4
IL LIBRO DELL’ARTE,
O TRATTATO DELLA PITTURA
DI CENNINO CENNINI
da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll’aggiunta di più capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi
Firenze.
Felice Le Monnier
1859
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CAPITOLO XXIX.
Come dèi temperare tuo’ vita per tua onestà e per condizione della mano; e con che compagnia e che modo dèi prima pigliare a ritrarre una figura da alto.
La tua vita vuole essere sempre ordinata siccome avessi a studiare in teologia, o filosofia, o altre scienze, cioè del mangiare e del bere temperatamente, almen due volte il dì, usando pasti leggieri e di valore, usando vini piccoli; conservando e ritenendo la tua mano, riguardandola dalle fatiche, come in gittare pietre, palo di ferro, e molte altre cose che sono contrarie alla mano, da darle cagione di gravarla. Ancor ci è una cagione, che, usandola, può alleggerire tanto la mano, che andrà più ariegando, e volando assai più che non fa la foglia al vento. E questa si è, [non] usando troppo la compagnia della femmina. Ritorniamo al fatto nostro. Abbi a modo d’una tasca fatta di fogli incollati, o pur di legname, leggiera, fatta per ogni quadro, tanto vi metta un foglio reale, cioè mezzo: e questa t’è buona per tenervi i tuo’ disegni, ed eziandio per potervi tenere su il foglio da disegnare. Poi te ne va’ sempre soletto, o con compagnia sia atta a fare quel che tu, e non sia atta a darti impaccio. E quanto questa compagnia fusse più intendente, tanto sarebbe meglio per te. Quando se’ per le chiese, o per cappelle, e incominci a disegnare, ragguarda prima di che spazio ti pare o storia o figura che vogli ritrarre; e guarda dove ha gli scuri, e mezzi, e bianchetti: e questo vuol dire che hai a dare la tua ombra d’acquerelle d’inchiostro; in mezzi, lasciare del campo proprio; e a’ bianchetti, dare di biacca, ec. ec.
CAPITOLO XXX.
In che modo prima dèi incominciare a disegnare in carta con carbone, e tor la misura della figura, e fermare con stil di argento.
Togli prima il carbone sottile, e temperato com’è una penna o lo stile; e la prima misura che pigli a disegnare, piglia l’una delle tre che ha il viso, che ne ha in tutto tre, cioè la testa, il viso, e ’l mento colla bocca. E pigliando una di queste, t’è guida di tutta la figura, de’ casamenti, dall’una figura all’altra, ed è perfetta tuo’ guida; aoperando il tuo intelletto di sapere guidar le predette misure. E questo si fa, perché la storia, o figura, sarà alta, che con mano non potrai aggiugnere per misuralla. Conviene che con intelletto ti guidi; e troverai la verità, guidandoti per questo modo. E se di primo tratto non ti viene bene in misura la tua storia o figura, abbi una penna, e co’ peli della detta penna, di gallina o di oca che sia, frega e spazza, sopra quello che hai disegnato, il carbone; andrà via quel disegno. E ricomincialo da capo tanto e quanto tu vedi che con misura si concordi la tua figura coll’essemplo; e poi, quando t’avvedi che stia appresso di bene, togli lo stile di argento, e va’ ricercando su per li contorni e stremità de’ tuo’ disegni, e su per le pieghe maestre. Quando hai fatto così, togli da capo la penna pelosa, e spazza bene il detto carbone, e rimarrà il tuo disegno fermato collo stile.
CAPITOLO XXXI.
Come tu dèi disegnare e aombrare in carta tinta di acquerelle, e poi biancheggiare con biacca.
Quando hai la pratica nella mano d’aombrare, togli uno pennello mozzetto; e con acquarella d’inchiostro in un vasellino, va’ col detto pennello tratteggiando l’andare delle pieghe maestre; e poi va’ sfumando, secondo l’andare, lo scuro della piega. E questa tale acquarella vuole essere squasi come acqua poca tinta; e il pennello si vuole essere squasi sempre siccome asciutto; non affrettandoti; a poco poco venire aombrando; sempre ritornando col detto pennello ne’ luoghi più scuri. Sai che te ne interviene? che se questa tale acqua è poca tinta, e tu con diletto aombri e senza fretta, el ti viene le tue ombre a modo di un fummo bene sfumate. Abbia a mente di menare il pennello sempre di piatto. Quando se’ venuto a perfezione di questo aombrare, togli una gocciola o due d’inchiostro, e metti sopra la detta acquerella, e col detto pennello rimescola bene. E poi al detto modo va’ cercando col detto pennello pur nella profondità delle dette pieghe; cercando bene i lor fondamenti; avendo sempre la ricordanza in te del tuo aombrare, cioè in tre parti dividere: l’una parte, ombra; l’altra, tinta del campo che hai; l’altra, biancheggiata. Quando hai fatto così, togli uno poco di biacca ben triata con gomma arabica (ché più innanzi ti tratterò come la detta gomma si de’ dislinguare e struggerla, e tratterò di tutte le tempere). Ogni poca biacca basta. Abbi in uno vasellino acqua chiara, e intignivi dentro il pennello tuo detto di sopra, e fregalo su per questa biacca macinata del vasellino, massimamente s’ella fusse risecca. Poi te l’acconcia in su la mano [o] in sul dosso del dito grosso; racconciando, e premendo il detto pennello, e discarcandolo, quasi asciugandolo. E incomincia, di piatto, il detto pennello a fregare sopra e in quelli luoghi dove dee essere il bianchetto e rilievo; e séguita più volte andando col tuo pennello, e guidalo con sentimento. Poi, in sulle stremità de’ rilievi, nella maggiore altezza, togli un pennello con punta; e va’ colla biacca toccando colla punta del detto pennello, e va’ raffermando la sommità de’ detti bianchetti. Poi va’ raffermando, con un pennello piccolo, con inchiostro puro, tratteggiando le pieghe, i dintorni, nasi, occhi e spelature di capelli e di barbe.
CAPITOLO XXXII.
Come tu puoi biancheggiare di acquarelle di biacca, sì come aombri di acquarelle d’inchiostro.
Ancora io t’avviso, quando tu sarai più pratico, a voler perfettamente biancheggiare con acquerelle, sì come fai l’acquerella d’inchiostro. Togli la biacca macinata con acqua, e temperala con rossume d’uovo, e sfumma sì a modo d’acquerelle d’inchiostro. Ma è a te più malagevole, e vuolsi più pratica. Tutto questo si chiama disegnare in carta tinta, ed è via a menarti all’arte del colorire. Seguitalo sempre quanto puoi, ch’è il tutto del tuo imparare. Attendivi bene, sollecitamente e con gran diletto e piacere.
CAPITOLO XXXIII.
In che modo si fanno i carboni da disegnare, buoni e perfetti e sottili.
Prima che più oltre vada, ti voglio mostrare in che forma de’ fare i carboni da disegnare. Abbi qualche bastone di saligàro, secco e gentile; e fanne cotali rocchietti di lunghezza come una palma di mano, o, se vuoi, quattro dita. Poi dividi questi pezzi in forma di zolfanelli; e sì come mazzo di zolfanelli gli asuna insieme; ma prima gli pulisce e aguzza da ogni capo, sì come stanno i fusi. Poi, così a mazzi, li lega insieme in tre luoghi per mazzo, cioè nel mezzo e a ciascheduno de’ capi, con filo o di rame o di ferro, sottile. Poi abbi una pignatta nuova, e mettivili dentro tanto, quanto la pignatta sie piena. Poi abbi un testo da coprirla con crea, in modo che per nessun modo non ne sfiati di niente. Poi vattene dal fornaro la sera, quando ha lasciato ovra (cioè quando ha finito di cuocere il pane), e metti questa pignatta nel forno, e lasciavela stare per fino alla mattina; e guarda se i detti carboni fussino ben cotti e ben negri. Dove non gli trovassi cotti tanto, ti viene rimetterla nel forno, che sieno cotti. Come ti dèi avvedere che bene istieno? Togli un di questi carboni, e disegna in su carta, o bambagina o tinta, o tavola o ancona ingessata. E se vedi che ’l carbone lavori, sta bene: e se fusse troppo cotto, non si tiene al disegno, ch’el si spezza in molte parti. Ancora ti do un altro modo ai detti carboni fare. Togli una tegliuzza di terra, coperta per lo modo predetto; mettila la sera sotto il foco, e copri bene il detto foco colla cenere; e vatti a letto. La mattina saranno cotti. E per lo simile puo’ fare de’ carboni grandi e de’ piccoli; e fare come ti piace, ché miglior carboni non n’è al mondo.
CAPITOLO XXXIV.
D’una prieta la quale è di natura di carbone da disegnare.
Ancora per disegnare ho trovata certa prìa nera, che vien del Piemonte, la quale è tenera prìa; e puo’la aguzzare con coltellino, ché ella è tenera e ben negra; e puoi ridurla a quella perfezione che ’l carbone. E disegna secondo che vuoi.
CAPITOLO XXXV.
Riducendoti al triare de’ colori.
Per venire a luce dell’arte di grado in grado, vegniamo al triar de’ colori, avvisandoti chi sono i colori più gentili, e più grossi, e più schifi; quale vuol esser triato o ver macinato poco, quale assai; quale vuole una tempera, quale ne vuole un’altra; e così come sono svariati ne’ colori, così sono nelle nature delle tempere e del triare.
CAPITOLO XXXVI.
Come ti dimostra i colori naturali; e come dèi macinare il negro.
Sappi che sono sette colori naturali; cioè quattro propri di lor natura terrigna, siccome negro, rosso, giallo e verde: tre sono i colori naturali, ma voglionsi aiutare artifizialmente, come bianco, azzurro oltremarino, o della Magna, e giallorino. Non andiamo più innanzi, e torniamo al nero colore. Per triarlo come si dè’, togli una prieta proferitica rossa, la quale è pietra forte e ferma: ché sono di più ragioni pietre da macinare colori, sì come proferito, serpentino e marmo. Il serpentino è tenera prieta, e non è buona; il marmo è piggiore, ch’è troppo tenera. Ma sopra tutto è ’l proferito: e se togli di quelli così lucidi lucidi, è meglio; e meglio un di quelli che non sieno tanto tanto puliti; e di larghezza da mezzo braccio in su di quadro. Poi togli una prieta da tenere in mano, pur proferitica, piana di sotto e colma di sopra, in forma di scodella, e di grandezza men di scodella, in forma che la mano ne sia donna di poterla menare, e guidarla in qua e là come le piace. Poi togli quantità di questo negro, o di altro color che sia, quanto sarebbe una noce, e metti in su questa prìa; e con quella che tieni in mano, stritola bene questo negro. Poi togli acqua chiara o di fiume, o di fontana, o di pozzo, e macina il detto negro per spazio di mezza ora, o di una ora, o di quanto tu vuoi; ma sappi, se ’l triassi un anno, tanto sarà più negro e miglior colore. Poi togli una stecca di legno sottile, larga tre dita, c’abbia il taglio come di coltello; e con questo taglio frega su per questa prìa, e raccogli il detto colore nettamente, e mantiello liquido, e non troppo asciutto, acciò che corra bene alla pietra, e che ’l possa ben macinare, e ben raccoglierlo. Poi il metti nel vasellino, e mettivi dentro dell’acqua chiara predetta, tanta che ’l vasello sia pieno; e così lo tieni sempre in molle e ben coperto dalla polvere e d’ogni cattiveria, cioè in una cassettina atta a tenere più vaselli di licori.
CAPITOLO XXXVII.
Il modo di sapere far di più maniere nero.
Nota che del negro son più maniere di colori. Negro egli è una pietra negra, tenera, e ’l colore è grasso. Avvisandoti che ogni color magro è migliore che il grasso: salvo che in mettere d’oro, bolio, o verdeterra, che abbia a mettere d’oro in tavola, quanto più è grasso, tanto viene miglior oro. Lasciamo star questa parte. Poi è negro il quale si fa di sermenti di viti; i quali sermenti si vogliono bruciarli; e quando sono bruciati, buttarvi su dell’acqua e spegnerli, e poi triarli a modo dell’altro nero. E questo è colore negro e magro; ed è de’ perfetti colori che adoperiamo, ed è il tutto. È un altro negro che si fa di guscia di mandorle, o di persichi arsi; e questo è perfetto nero e sottile. È un altro negro che si fa in questa forma. Togli una lucerna piena d’olio di semenza di lino, e empi la detta lucerna del detto olio, e impiglia la detta lucerna: poi la metti così impresa sotto una tegghia ben netta, e fa’ che la fiammetta della lucerna stia appresso al fondo della tegghia a due o tre dita, e ’l fummo ch’esce della fiamma batterà nel fondo della tegghia: affumasi con corpo. Sta’ un poco; piglia la tegghia, e con qualche cosa spazza questo colore, cioè questo fummo, in su carta o in qualche vasello; e non bisogna triarlo, né macinarlo, perocché egli è sottilissimo colore. Così per più volte riempi la lucerna del detto olio, e rimetti sotto la tegghia, e fanne per questo modo quanto te ne bisogna.
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