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Cennino Cennini, “Il libro dell’arte” XIII

Creato il 26 novembre 2014 da Marvigar4

Cennino Cennini

IL LIBRO DELL’ARTE,

O TRATTATO DELLA PITTURA

DI CENNINO CENNINI

da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll’aggiunta di più capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi

Firenze.

Felice Le Monnier

1859

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CAPITOLO CLVIII.

Un altro modo per mettere d’oro in carta.

Se vuoi un’altra maniera d’asiso (ma non è così perfetta, ed è buono a mettere campo d’oro, ma non è da scrivere), togli gesso sottile, e ’l terzo biacca, e ’l quarto bolo armeniaco, con un poco di zucchero. Tria tutte queste cose ben sottilmente con chiara d’uovo. Poi all’usato modo campeggia; lascialo seccare. Poi con punta di coltellino radi e rinetta il tuo gesso. Metti sotto la carta la detta tavoletta, o pietra ben piana, e brunisci. E se caso venisse che non si brunisse bene, quando metti l’oro, bagna il gesso con acqua chiara, con un pennelletto di vaio; e quando è secco, bruniscilo.

CAPITOLO CLIX.

Di un colore simile all’oro, il quale si chiama porporina; e in che modo si fa.

Io ti voglio mostrare un colore simile all’oro, il quale è buono in carta di questi miniatori, e ancora in tavola se n’adoprerebbe; ma guarti come dal fuoco o da veleno che questo colore, il quale si chiama porporina, non si avvicinasse a nessun campo d’oro: ché io t’avviso, che se fusse un campo d’oro mettudo, che tenesse di qui a Roma, e quanto mezzo grano di panico fusse d’ariento vivo e toccasse questo campo d’oro, è sufficiente a guastarlo tutto. E il migliore rimedio che possi prestamente avere, si è, con punta di coltellino o di agugella fare un frego sopra lo detto oro: e non andrà impigliando più oltre. Questo colore di porporina si fa per questo modo. Togli sale armeniaco, stagno, zolfo, ariento vivo, tanto dell’uno, quanto dell’altro: salvo che meno d’ariento. Metti queste cose in una ampolla di ferro, o di rame, o di vetro. Fondi ogni cosa al fuoco; ed è fatto. Poi tempera con chiara d’uovo e con gomma arabica, e mettine e lavorane come ti pare. Se ne fai vestiri, aombra o con lacca o con azzurro con biffo: sempre i tuo’ colori temperati con gomma arabica in carta.

CAPITOLO CLX.

In qual modo si macina l’oro e l’argento, e come si tempera per far verdure e adornamenti, e come si può invernicare il verdeterra.

Se vuoi lavorare in tavola, o in carta, o in muro, o dove vuoi, d’oro, ma none in tutto pieno sì come in campo d’oro; o volessi lavorare alcuno àlbore che paresse degli àlbori di paradiso; togli i pezzi dell’oro fino, in quantità secondo il lavoro che vuoi fare o volessi scrivere con esso; cioè dieci o venti pezzi. Metteli in su la pietra proferitica, e con chiara d’uovo, bene sbattuta, tria bene il detto oro, e poi il metti in un vasellino invetriato: mettivi tanta tempera, che corra o a penna o a pennello; e sì ne puoi fare ogni lavoro che vuoi. Ancora il puoi macinare con gomma arabica in carta: e se fai foglie d’àlbori, mescola con questo oro un poco di verde, ben sottile macinato, per le foglie scure. E per questo modo, mescolando con altri colori, puoi fare cangianti a tuo senno. Di questo così fatto oro macinato, o ariento, o oro di metà, tu ne puoi ancor cardare vestiri a modo antico, e farne certi adornamenti, i quali per li altri non molto s’usano, e fànnoti onore. Ma ciò che ti mostro, convien che per te medesimo adoperi sentimento in saperli ben guidare.

CAPITOLO CLXI.

Dei colori che si adoperano in lavorare in carta.

Egli è verità, che di tutti i colori che adoperi in tavola, puoi adoperare in carta; ma voglionsi macinare sottilissimamente. Bene è vero che so’ certi colori che non hanno corpo, i quali si chiamano pezzuola, e quali si fa d’ogni colore: e non bisogna se non tôrre un poco di questa pezzuola di qual colore la si sia tinta o colorita, metterla in un vasellino invetriato, o in una coppa; mettervi della gomma; ed è buono a lavorare. Ancora si fa d’un colore di verzino bollito con ranno e allume di rôcca; e poi, quando è freddo, si macina con calcina viva, e fa una rosetta assai bella, e viene ad avere un poco di corpo.

CAPITOLO CLXII.

Del modo di lavorare in tela o in zendado.

Ora parliamo del modo di lavorare in tela, cioè in pannolino, o in zendado. E terrai questo modo in tela: che prima ti conviene mettere il telaio bene disteso, e chiavare prima e diritti delle cuciture; poi d’intorno intorno andare con chiovetti, distenderla egualmente d’una perfetta ragione, che tutta perfettamente abbi ritrovato bene ciascheduno nerbo. Quando così hai fatto, togli gesso sottile e un poco d’amido, o vero un poco di zuccaro, e macina queste cose con colla di quella ragione ch’hai temperato il gesso in tavola; macinato bene sottile; ma prima con questa colla senza gesso, danne una volta per tutto; e se la colla non fusse così forte come di gesso, non monta nulla. Fa’ che sia calda quanto puoi, e con pennello di setole mozzo e morbido ne da’ a ciascuna delle parti, se hai a dipignere da ogni parte. Piglia poi, quando è asciutta, la tela: abbi una mella di coltello che sia nel taglio piana e diritta come una riga, e di questo gesso con questa punta ne da’ su per la detta tela, andando ponendo e levando agguagliatamente, come radessi; e quanto men gesso vi lassi, tanto è meglio: ché spiani pure i bucetti delle fila, assai basta una volta dare di gesso. Quando è asciutta, togli uno coltellino bene radente, guardando la detta tela se vi fusse nodo ovver groppo, e to’lo via; e poi piglia il tuo carbone, con quel medesimo modo che disegni in tavola, disegna in tela, e ferma con acquerellad’inchiostro. Poi ti voglio insegnare, se vuoi mettere le diademe e campo d’oro brunito come in tavola, che comunemente in ogni tela o zendado si mette a mordente, cioè di quella semenza di lino; ma perché questo modo è miracoloso infra gli altri che molti hanno fatti, però te ne avviso; e puossi il panno avvolgere e piegare senza offendere a l’oro e a’ colori. Togli prima del detto gesso sottile con un poco di bolio, e con un poca di chiara d’uovo e di colla tempera il detto gesso,e danne una volta in quello luogo dove vuoi l’oro mettere. Quando è secco, radilo un pochettino; poi abbi bolio macinato e temperato come quel proprio che metti in tavola, e per quel modo ne da’ cinque o sei volte: lassalo stare alcun dì. Metti il tuo oro propriamente come fai in tavola, e bruniscilo, tenendo di sotto alla detta tela una asse bene pulita e soda, avendo uno cuscino tra la tela e l’asse; e per questo modo granisce e stampa le dette diademe, e saranno proprie come in tavola. Ma convienti poi, perché alcuna volta questi palii, che si fanno alle chiese, sono portati di fuora, piovendo; e per tanto bisogna provedere d’avere una vernice ben chiara, e quando vernichi il colorito, vernica un poco e le dette diademe o ver campo d’oro. All’usato modo dell’ancone, ti conviene colorire di passo in passo in su la detta tela, ed è più dolce lavorare che in tavola; però che la tela ritiene un poco il molle; ed è proprio come lavorassi in fresco, cioè in muro. E ancora t’avviso che, colorendo, vuole essere molte e molte volte campeggiato i colori, assai più chein tavola, perché la tela non ha corpo come l’ancona, e nel vernicare poi dimostra non bene, quando è campeggiata male. Medesimamente tempera i colori come in tavola. E più in ciò non mi distendo.

CAPITOLO CLXIII.

Come si lavori in tela nera o azzurra, o in cortine.

Se tu avessi avere a lavorare in tela nera o azzurra, sì come in cortine, distendi la tua tela a modo detto di sopra. Non ti bisogna ingessare: non puoi disegnare con carbone. Togli gesso da sartori, e fanne gentilmente cotali pezzoletti, come fai di carboni; e mettili per un bucciolo di penna d’oca, di quella grossezza che richiede. Metti una asticciuola nel detto bocciuolo, e disegna leggermente. Poi rafferma con biacca temperata. Poi da’ una mano di quella colla che temperi i gessi in ancone ovvero in tavola: poi campeggia quanto più puoi, e colorisci vestimenti, visi, montagne, casamenti, e quello che a te pare, e tempera a modo usato. Ancora a colorire in cortine puoi togliere della tela bianca, e soprapporla su la tela azzurra, attaccata con sugoli a modo di colla; e mettevi secondo le tue figure che vuoi spandere per lo campo, e puoi colorire con certe acquerelle di colori, senza vernicare poi. E fassene assai, e per buono mercato, e sono assai belle al pregio. Ancora in cortine puoi fare di pennello alcuni fogliamenti, d’indaco con biacca pura, su per lo campo, temperata con colla; e lasciare fra questi fogliamenti alcuni belli spazi per fare alcuni lavoretti d’oro fatti di mordenti ad olio.

CAPITOLO CLXIV.

Come si dee disegnare in tela o in zendado per servigio de’ ricamatori.

Ancora ti conviene alcune volte servire ricamatori di più ragioni disegni. E pertanto fatti mettere a’ predetti maestri tela o zendado in telaio bene disteso; e se è tela bianca, togli e tuo’ carboni usati, e disegna quello che vuoi. Poi piglia la penna e lo inchiostro puro, e rafferma, sì come fai in tavola con pennello. Poi spazza il tuo carbone. Poi abbi una spugna ben lavata, e strucata dell’acqua. Poi con essa stropiccia la detta tela dal lato dirieto dove non è disegnato, e tanto mena la detta spugna, che la detta tela rimanga bagnata tanto, quanto tiene la figura. Poi abbi un pennelletto di vaio mozzetto; intingilo nello inchiostro, e strucalo bene; e con esso comincia ad aombrare ne’ luoghi più scuri, riducendo e sfummando a poco a poco. Tu troverrai che la tela non serà sì grossa, che per questo tal modo farai sì le tue ombre sfumate, ch’el ti parrà una maraviglia. E se la tela s’asciugasse innanzi avessi fornito d’aombrare, ritorna con la detta spugna a ribagnarla a modo usato. E questo ti basti a l’opera della tela.

CAPITOLO CLXV.

Del lavorare in zendado palii, gonfaloni, stendardi o altri lavori, e del mettere d’oro diademe o campi.

Se hai a lavorare in zendado, palii o altri lavori, distendili prima in telaro, sì come ti dissi della tela; e secondo il campo che ha, secondo to’ carboni o neri o bianchi. Fa’ il tuo disegno, e rafferma o con inchiostro o con colore temperato; e se bisogna sia lavorato da ciascuna delle parti una medesima storia o figura, metti il telaro al sole, vòlto il disegnato verso il sole, ch’el vibatta dentro. Sta’ dal lato di drieto col tuo colore temperato; va’ col pennello tuo sottiletto di vaio su per l’ombre che vedi del disegno fatto. Se hai a disegnare di notte, togli un lume grande verso il lato disegnato, e un lume piccolo dal lato che disegni. Ciò è al lavorare come fusse un doppiero impreso dal lato disegnato, e una candela dal lato che disegni. Se non è sole, e hai a disegnare di dì, fa’ che ‘l lume di due finestre sia dal lato del disegnato, e da quel che hai a disegnare batta un lume d’una piccola finestretta. Poi incolla della colla usata dove hai a colorire e metter d’oro, e miscola un poco di chiara d’uovo con la detta colla, come sarebbe una chiara d’uovo in quattro muglioli o vero bicchieri di colla; e incollato che hai, se volessi mettere alcuna diadema o campo d’oro brunito, per farti grande onore e nome, togli gesso sottile, e un poco di bolio armenico macinato insieme sottilissimamente con un micin di zucchero. Poi con la colla usata, e poca poca di chiara d’uovo miscolata con poco di biacca, ne da’ sottilmente due volte dove vuo’ mettere d’oro. Poi da’ il tuo bolio, sì come el dài in tavola; poi metti il tuo oro con acqua chiara, miscolandovi un poco della detta tempera del bolio, e brunisci su prieta ben pulita, o asse ben soda e pulita: e così granisci e stampa in su la detta asse. Ancora puoi colorire ogni cosa a modo usato, temperato i colori con rossume d’uovo, campeggiati i colori sei o otto volte o dieci per amor del vernicare; e poi puoi mettere le diademe o campi d’oro con mordenti ad olio, e gli adornamenti con mordenti d’aglio e vernicati poi; ma meglio è con mordenti ad olio. E questo basti a stendardi e gonfaloni, e tutto.

CAPITOLO CLXVI.

Il modo di colorire e di mettere d’oro in velluti.

Se avessi a lavorare in velluti e disegnare per ricamatori, disegna i tuo’ lavorii con penna, o vuoi inchiostro o vuo’ biacca temperata. Se ti conviene colorire alcuna cosa o mettere d’oro, togli colla a modo usato, e altrettanta chiara d’uovo e un poco di biacca, e con pennello di setole ne da’ sopra il pelo, e abbattilo per forza e maccalo ben giù. Poi colorisci e metti d’oro a modo detto; ma pur l’oro a mordenti. Ma men fatica ti sarà il lavorare ogni cosa in zendado bianco, tagliato fuora le figure o altro che facessi: e falle fermare a’ ricamatori in sul tuo velluto.

CAPITOLO CLXVII.

Del lavorare in panno di lana.

Se caso ti avviene d’avere a lavorare in panno di lana, per cagione di tornieri o di giostre, (ché sono alcuni gentili uomini e gran signori gravidi di volere cose stratte, e vorranno d’oro o d’ariento loro divise su per lo detto panno), togli prima, secondo il colore del drappo, o vero panno, il carbone che si richiede a disegnare, e ferma con penna, sì come hai fatto nel velluto; e poi togli chiara d’uovo bene dirotta, sì come da prima t’insegnai, e altrettanta colla a modo usato, e danne su per lo pelo del detto panno in quello luogo dove hai a mettere d’oro. Poi, quando è asciutto, va’ con un dentello, e brunisci su per lo detto panno; poi ne da’ della detta tempera due o tre volte. Quando è ben secca, da’ il tuo mordente, tanto che non esca fuori del temperato, e metti di quello oro e ariento che a te piace e pare.

CAPITOLO CLXVIII.

Come dèi lavorare coperte da cavalli, divise e giornee per torneamenti e per giostre.

Alcuna volta in questi tornieri e giostre si fa sopra i cavalli coverti e sopra giornee, alcune divise rilevate e cucite sopra i detti lavorii. E però ti dimostrerò come di carta bambagina si fanno; e queste tali carte si mettono prima tutto lo foglio della carta ad oro o ad ariento brunito; e fassi in questo modo, cioè: macina sottilmente quanto più puoi un poco d’ocria o gesso da sartori, un poco poco di bolio armenico: temperali insieme con colla, la quale sia squasi pura acqua, che non sia forte niente, ma poco abbi di sustanzia o vero valore; e con pennello di setole morbido, o vuoi con pennello di vaio, ne darai a distesa una volta su per i fogli della carta bambagina buoni da scrivere e non iscritti; e quando sono asciutti, ritorna, e parte bagna con pennello di vaio, e parte metti d’oro con quello modo e ordine che metti in tavola in sul bolo; e guarda poi, quando hai mettuto tutto lo foglio, quando tempo è di brunirlo. Abbi una prieta ben piana o asse bene pulita e dura, e sopra ciò brunisci i tuo’ fogli: e poni da parte. E di questi cotali fogli tu puoi fare animali, fiori, rose, e di molte maniere di divise, e fatti grande onore; e fai tosto e bene: e puo’le adornare con alcuno coloruzzo ad olio.

CAPITOLO CLXIX.

Del fare cimieri o elmi da torneamenti e da rettori.

Quando ti viene il caso di fare alcuno cimieri o elmo da torniero, o da rettori che abbino andare in signoria; prima ti conviene avere cuoio bianco, el quale non sia concio se non con mòrtina o vuoi cefalonia: distendilo e disegna il tuo cimiere come lo vuoi fatto; e disegnane due, e cuce insieme l’uno con l’altro, ma lassa tanto da un de’ lati, che vi possa mettere del sabbione, e con una bacchetta el priemi tanto che gualivamente sia ben pieno. Quando così hai fatto, mettilo al sole per più dì; quando è bene asciutto, tirane fuori il sabbione; poi della colla usata da ingessare togli, e incollalo due volte o tre. Poi abbi del gesso grosso macinato con colla, e miscolavi dentro della stoppa battuta, e fa’ che sia sodo a modo di pasta; e di questo gesso va’ ponendo e bozzando, daendoli quella forma o d’uomo o d’animale che abbi a fare o d’uccello, assimigliandolo el più che puoi. Fatto questo, togli del gesso grosso macinato con colla liquido e corsivo a pennello, e sopra questo cimieri ne darai tre o quattro volte a pennello. Poi quando è ben secco, radilo e puliscilo, sì come fai quando lavori in tavola. Poi a quel modo medesimo, come t’ho mostrato a ingessare di gesso sottile in tavola, per quel modo ingessa questo cimieri. Quando è secco, radilo e puliscilo; e poi se bisogna fare occhi di vetro, con gesso da rilevare li commetti e rilieva, se di bisogno è. Poi se ha essere d’oro o d’ariento, metti di bolo, sì come in tavola, e tieni in ogni cosa quel medesimo modo, e così del colorire; vernicandolo a modo usato.

CAPITOLO CLXX.

Come dèi lavorar cofani o vero forzieri, e il modo di adornarli e colorirli.

Volendo lavorare cofani o vero forzieri, se li vuoi far realmente, ingessali e tieni tutti que’ modi che tieni a lavorare in tavola, di mettere d’oro, di colorire, e di granare, d’adornare, e di vernicare, senza distendermi a dirti di punto in punto. Se vuoi lavorare altri cofani di men pregio, incollali in prima, e impanna le sfenditure, e così fa’ ancora quelli di sopra: ma questi tu puoi ingessare prima a stecca e a pennello, pur con la cendere bene tamigiata, con colla usata. Quando è ingessato e secco, puliscilo; e, se vuoi, ingessalo di gesso sottile. Se vuoi poi adornare di certe figure di stagno o altre divise, tieni questo modo, cioè: abbi una pietra tenera, piana e macigna, e in su questa pietra intaglia di ciascun lavorìo che vuoi, o tu te la fa’ intagliare; e ogni poco cavo basta. Qui fa’ intagliare figure, animali, divise, fiori, stelle, rose, e d’ogni maniera che nello intelletto tuo desideri. Poi abbi dello stagno battuto, o vuoi giallo o vuoi bianco, in più doppi, e mettilo sopra la ’mpronta che vuo’ fare. Poi abbi a modo d’uno stoppacciolo di stoppa bagnata bene, e poi premuta, e mettila sopra questo stagno; e abbi da l’altra mano uno magliuolo non troppo grieve di saligaro, e batti sopra questa stoppa, rimenandola e rivolgendola coll’altra mano; e quando l’hai bene battuta che vedi dimostrare perfettamente ogni intaglio, togli gesso grosso macinato con colla sodetta, e con istecca ne da’ sopra questo stagno battuto. Quando hai così fatto, togli un coltellino, e con la punta ritrova l’un pezzo dello stagno, e spiccalo e lievalo su; poi ritorna col tuo gesso e colla tua stecca a l’usato modo ritrova e separa il pezzo dello stagno a modo usato. Tanto ne fa’ per questo modo, che n’abbi doviziosamente; e mettili asciugare. Come son secchi, abbi una punta di coltellino ben tagliente, e a pezzo a pezzo di questo stagno metti in su un’asse di noce ben piana, e va’ tagliando fuori tutto stagno che avanza fuor del contorno della tua figura. E per questo modo ne fa’ quella quantità che vuoi. Quando hai i tuoi cofani in ordine ingessati e campeggiati di quel color che vuoi, abbi della colla usata e ancor più forte, e bagna bene sopra il gesso delle tue figure o divise, e di subito l’appicca e compartisci per lo campo del tuo coffano, e con pennello di vaio va’ profilando e daendo alcuno coloruzzo: poi vernica il detto campo. Quando è asciutto, abbi una chiara d’uovo battuta, e con spugna bagnata in questa chiara la va’ fregando su per lo invernicato, e poi con altri colori va’ palliando e adornando il detto campo con ciò che colore tu vuoi, che isvarii partitamente del campo. E più non mi distendo di ciò parlare, perché se sarai bene sperto e pratico nelle cose grandi, saprai bene fare in nelle piccole; dimostrandoti qui appresso come si lavora in vetro.

CAPITOLO CLXXI.

Come si lavorano in vetro, finestre.

Per due maniere si lavora in vetro; cioè in nelle finestre, e in pezzi di vetro, i quali si mettono in anconette, o vero in adornamento d’orliquie. Mo diremo prima del modo delle finestre: vero è che questa tale arte poco si pratica per l’arte nostra, e praticasi più per quelli che lavorano di ciò; e comunemente quelli maestri che lavorano, hanno più pratica che disegno, e per mezza forza e per la guida del disegno pervengono a chi ha l’arte compiuta, cioè che sia universale, e buona pratica. E per tanto, quando i detti verranno a te, tu piglierai questo modo. E’ ti verrà colla misura della sua finestra, larghezza e lunghezza: tu torrai tanti fogli di carta incollati insieme quanti ti farà per bisogno alla tua finestra; e disegnerai la tua figura prima con carbone, poi fermerai con inchiostro; aombrata la tua figura compiutamente sì come disegni in tavola. Poi il tuo maestro di vetri toglie questo disegno, e spianalo in sul desco, o tavola, grande e piano; e secondo che colorire vuole i vestimenti della figura, così di parte in parte va tagliando i vetri, e datti un colore el quale si fa di limatura di rame ben macinato; e con questo colore tu con pennelletto di vaio, di punta vai ritrovando a pezzo a pezzo le tue ombre, concordando l’andare delle pieghe e dell’altre cose della figura, di pezzo in pezzo di vetro, sì come el maestro ha tagliato e commesso; e di questo cotal colore tu puoi universalmente aombrare ogni vetro. Poi il maestro, innanzi che leghi insieme l’un pezzo coll’altro, secondo loro usanza, il cuoce temperatamente in casse di ferro con suo cendere, e poi li lega insieme. Tu puoi lavorare sopra i detti vetri drappi di seta, vitigare e palliare e far lettere, ciò è campeggiando del detto colore, e poi grattare, sì come fai in tavola. Hai un vantaggio: che non ti bisogna dare altro campo, ché trovi vetro d’ogni colore. E se t’avvenissi avere a fare figurette piccole, o arme o divise sì piccole, che i vetri non si potesser tagliare; aombrato che hai col predetto colore, tu puoi colorire alcuni vestimenti, e tratteggiare di colore ad olio: e questo non fa luogo ricuocere, né non si vuol fare, perché non faresti niente. Lascialo pur seccare al sole, come a lui piace.

CAPITOLO CLXXII.

Come si lavora in opera musaica per adornamento di reliquie; e del musaico di bucciuoli di penna, e di gusci d’uovo.

Una altra maniera è da lavorare in vetro vaga, gentile e pellegrina quanto più dir si può, la quale è un membro di gran devozione per adornamento d’orliquie sante, e vuole avere in sé fermo e pronto disegno; la quale maniera si lavora per questo modo, cioè. Togli un pezzo di vetro bianco che non verdeggi, ben netto senza vesciche, e lavalo con lisciva e con carboni, fregandovi su poi, e rilava con acqua ben chiara, e per se medesima el lascia asciugare; ma prima che il lavi, taglialo di quella quadra che ‘l vuoi. Poi abbi la chiara dell’uovo fresco; con una scopa ben netta, dirompila sì come fai quella ch’è da mettere d’oro: che sia ben dirotta; e lasciala stillare per una notte. Poi abbi un pennello di vaio, e di questa chiara col detto pennello bagna il detto vetro, dal suo rivescio, e quando è bene bagnato ugualmente, togli un pezzo dell’oro, che sia bene fermo oro, cioè appannato: mettilo in sulla paletta di carta, e gentilmente il metti sopra il detto vetro dove hai bagnato; e con un poca di bambagia ben netta va’ calcando gentilmente, che la chiara non passi di sopra l’oro; e per questo modo metti tutto il vetro: lascialo seccare sanza sole per spazio d’alcuni dì. Quando è ben secco, abbi una tavoletta ben piana, foderata o di tela nera o di zendado, e abbi un tuo studietto, dove alcuna persona non ti dia impaccio nessuno, e che abbi sola una finestra impannata; alla quale finestra metterai il tuo desco sì come da scrivere, in forma che la finestra ti batta sopra il capo, staendo tu volto col viso alla detta finestra; il tuo vetro disteso in sulla detta tela nera. Poi abbi una agugella legata in una asticciuola, sì come fusse un pennelletto di vaio, e che sia ben sottile di punta; e col nome di Dio il comincia leggermente a disegnare con questa agugiella quella figura che vuoi fare; e fa’ che il primo disegno si dimostri poco, perché non mai non si può torre giù; e per tanto fa’ leggermente tanto che fermi il tuo disegno; poi va’ lavorando, sì come penneggiassi; perché il detto lavoro non si può fare se non di punta; e vuoi vedere se ti conviene avere leggiera mano, e che non sia affaticata? che la più forte ombra che possi fare, si è andare con la punta della detta agugella per infino al vetro, e più oltre, la mezzana ombra, si è a non in tutto passare l’oro che è così sottile; e non si vuole lavorare per fretta, anco con gran diletto e piacere. E dòtti questo consiglio: che il dì che vuoi lavorare nella detta opera, tiene il dì dinanzi la mano a collo o vuoi in seno, per averla bene scarica e temperata da sangue e da fatica. Avendo il tuo disegno fornito, e vuoi grattare via certi campi che comunemente si vogliono mettere d’azzurro oltramarino ad olio, togli uno stile di piombo e va’ fregando sopra il detto oro, che tel leva pulitamente via; e va’ nettamente dirieto ai contorni della figura. Quando così hai fatto, togli di più colori macinati ad olio, sì come azzurro oltramarino, negro, verderame e lacca: e se vuoi alcuno vestire o riverscio che risprenda in verde, metti verde; se vuoi in lacca, metti in lacca; se vuoi in negro, metti in negro. Ma sopra tutto il negro avanza; ché ti scolpisce le figure meglio che nessuno altro colore: le tue figurette con cosa piana sbattile e priemile nel gesso, ché il lavoro venga ben piano. E per questo modo lavora il tuo lavorìo. A questa opra medesima, e molto fine, buccioli di penne tagliati molto minuti sì come panico e tinti sì come detto ho. Ancora puoi lavorare del detto musaico in questo modo. Togli le tue guscia d’uovo ben peste pur bianche, e in sulla figura disegnata campeggia, riempi e lavora sì come fussi coloriti: e poi quando hai campeggiata la tua figura coi colori propii da cassetta, e temperati con un’ poca di chiara d’uovo, va’ colorendo la figura di parte in parte, sì come facessi in su lo ‘ngessato propio, pur d’acquerelle di colori; e poi quando è secco, vernica sì come vernici l’altre cose in tavola. Per campeggiare le dette figure sì come fai in muro, a te conviene pigliare questo partito, di toglier fogliette dorate, o arientate, o oro grosso battuto o ariento grosso battuto: taglialo minutissimo, e colle dette mollette va’ campeggiando a modo che campeggi i tuoi gusci pesti, dove il campo richiede oro. Ancora, campeggiare di gusci bianchi il campo, bagnare di chiara d’uovo battuta, di quella che metti il tuo oro in sul vetro; bagna della medesima; metti il tuo oro come trae il campo; lascia asciugare, e brunisci con bambagia. E questo basti alla detta opera musaica, o vuoi greca.


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