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Cennino Cennini, “Il libro dell’arte” XIV

Creato il 04 dicembre 2014 da Marvigar4

Cennino Cennini

IL LIBRO DELL’ARTE,

O TRATTATO DELLA PITTURA

DI CENNINO CENNINI

da Colle di Valdelsa; di nuovo publicato, con molte correzioni e coll’aggiunta di più capitoli tratti dai codici fiorentini, per cura di Gaetano e Carlo Milanesi

Firenze.

Felice Le Monnier

1859

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CAPITOLO CLXXIII.

Il modo di lavorare colla forma dipinti in panno.

Perché all’arte del pennello ancora s’appartiene di certi lavorii dipinti in panno lino che son buoni da guarnelli di putti o ver fanciulli, e per certi leggii da chiese, el modo del lavorarli si è questo. Abbi un telaio fatto sì come fusse una finestra impannata, lungo dua braccia, largo un braccio, confitto in su regoli pannolino o vuoi canovaccio. Quando vuoi dipignere il tuo pannolino una quantità di sei o di venti braccia, avvolgilo tutto, e metti la testa del detto panno in sul detto telaio; e abbi una tavola di noce o di pero, pur che sia di legname ben forte, e sia di spazio come sarebbe una prieta cotta o vero mattone: la quale tavoletta sia disegnata e cavata una grossa corda; nella quale vuole essere disegnato d’ogni ragione drappo di seta che vuoi, o di foglie o d’animali; e fa’ che sia in forma distagliata e disegnata, che le facce tra tutte e quattro vengano a riscontrarsi insieme e fare opera compiuta e legata; e vuole avere manico da poterla levare, e porre in su l’altra faccia che non è intagliata. Quando vuoi lavorare, togli un guanto in mano sinistra, e prima macina del negro di sermenti di vite, macinati sottilissimamente con acqua. Poi, asciutto perfettamente o con sole o con fuoco, puoi da capo macinarlo a secco, e mescolarlo con vernice liquida, tanto che sia bastevole; e con una mesto letta togli di questo negro, e spianatene su per la palma della mano, cioè sopra il guanto; e così ne va’ imbrattando l’asse dove è intagliata, bellamente, che l’intaglio non si riempiesse. Comincia, e mettila ordinata e gualiva, e sopra la detta tela distesa in sul telaro, e di sotto dal telaro: togli in mano destra una scudella o scudellino di legno, e col dosso frega fortemente per quello spazio quanto l’asse intagliata tiene; e quando hai tanto fregato, che credi bene che ‘l colore sia bene incarnato colla tela o ver pannolino, leva la tua forma su, rimettivi colore da capo, e per grande ordine rimetti al detto modo tanto che compiutamente fornisca tutta la pezza. Questo lavorìo richiede essere ordinato d’alcuno altro colore campeggiato in certi luoghi, perché paia di più vista: onde ti conviene avere colori senza corpo, ciò è giallo, rosso, e verde. Il giallo: togli del zafferano e scaldane bene al fuoco e stemperalo con lisciva ben forte. Abbi poi un pennello di setole morbide e mozzetto. Distendi il panno dipinto in su uno desco o tavola, e va’ compartendo di questo giallo, o animali o figure, o fogliami, come a te parrà. Appresso togli del verzino, rasato con vetro; mettilo in molle in lisciva; fallo bollire con un poco di allume di roccia; fallo bollire un poco, tanto che venga che abbi il suo colore perfetto vermiglio. Levalo dal fuoco, che non si guasti; poi col detto pennello compartisci, sì come hai fatto il giallo. Poi togli del verderame, macinato con aceto e con un poco di zafferano temperato con una poca di colla non forte. Compartisci col detto pennello sì come hai fatto il giallo, e gli altri colori, e fa’ che sieno compartiti che si veggia d’ogni animale, gialli, rossi, verdi e bianchi. Ancora, a lavorare il detto lavoro è buono abbruciare olio di semenza di lino, sì come addietro t’ho mostrato, e di quel nero, che è sottilissimo, tempera con vernice liquida; ed è perfettissimo e sottile negro: ma è di più costo. E ‘l predetto lavoro è buono a lavorare in su tela verde, rossa, negra, e gialla, e azurra o vuoi biava. Se è verde, puoi lavorarla di minio o vuoi cinabro macinato sottilissimo con acqua. Seccalo bene e spolverezzalo e temperalo con vernice liquida. Metti questo colore in sul guanto, sì come fai del negro, e per quello medesimo modo lavora. Se è tela rossa, togli dell’indaco con biacca macinato sottilmente con acqua: asciugalo e seccalo al sole: poi lo spolverezza: temperalo con vernice liquida a modo usato, e per quello modo lavora che fai di negro. Se la tela è negra, la puoi lavorare d’un biavo ben chiaro, cioè biacca assai e poco indaco, mescolato, macinato e temperato, secondo usanza che detto t’ho degli altri colori. Se la tela è biava, togli della biacca macinata e riseccata e temperata secondo il modo delli altri colori. E generalmente secondo che truovi i campi, secondo tu puoi trovare altri colori svariati da quelli, e più chiari e più scuri, secondo che a te parrà che per tua fantasia possa comprendere; ché l’una cosa t’insegnerà l’altra, sì per pratica e sì per sapere d’intelletto. La ragione è, che ciascuna arte di sua natura è abile e piacevole: chi ne piglia, se n’ha, e simile per lo contrario avviene.

CAPITOLO CLXXIV.

A mettere d’oro brunito una figura di pietra.

Egli accade che s’intenda l’uomo d’un’arte saper lavorare compiutamente d’ogni cosa, e specialmente di cose che abbino a importare onore: e per tanto non che s’usi, ma perché io n’ho gustato, però tel mosterrò. E’ ti verrà per le mani una figura di pietra o grande o piccola: tu la vorrai mettere d’oro brunito: pertanto piglierai questo modo, cioè spazza e forbi bene la tua figura; poi piglia della colla comune, cioè di quella tempera che ingessi l’ancone, e falla bene bogliente; e quando è così bollente, danne sopra questa figura una volta o due, e lasciala ben seccare. Appresso di questo, abbi carboni di quercia o vero di rovere, e pestali, e abbi un tamigio, e tamigiane fuori la polvere del detto carbone. Poi togli uno crivello minuto da uscirne el gran come è ‘l miglio e crivella questo carbone e metti dispersé questa cotal crivellatura, e fanne per questo modo, tanto che a te basti. Fatto questo, abbi olio di semenza di lino cotto e fatto alla perfezione di fare mordente, e mescolavi della vernice liquida per terzo. Fa’ ben bollire insieme ogni cosa. Quando è ben caldo, abbi un vasello, mettivi drento la crivellatura del carbone: appresso di questo, mettivi questo tal mordente: mescola bene insieme, e con pennello o di setole o di vaio grossetto, gualivamente ne da’ in ogni luoco e per tutta la figura o vero altro lavoro. Quando hai così fatto, mettila in luogo che asciughi bene, o vento o sole, come a te piace. Essendo la tua figura ben secca, togli un’ poca della colla predetta; mettivi dentro, se fusse di quantità d’un bicchieri, mettivi un rossume d’uovo: mescola bene insieme, e ben caldo: abbi un poco di spugna; intignila in questa tempera, e non troppo pregna la spugna, va’ stropicciando e fregandola in qualunque luogo hai dato del mordente, col carbone. Dimostrandoti il perché tu dài questo tale mordente, la ragione è questa: perché la pietra tiene sempre umido, e come il gesso temperato con colla el sentisse, subito marcisce e spiccasi e guastasi: onde questo tale olio e vernice è arme e mezzo di concordare il gesso con la pietra, e per questa cagione tel dimostro. El carbone sempre tiene asciutto per l’umidità della pietra. Onde volendo seguitare il tuo lavoro, abbi gesso grosso e colla di stemperata con quel modo che ingessi un piano di tavola o d’ancona, salvo secondo la quantità, voglio vi metta uno, o due, o tre rossumi d’uovo, e poi a stecca da’ sopra il detto lavoro: e se mescoli insieme con queste cose un poco di polvere di mattoni pesti, tanto serà migliore: e di questo tale gesso ne dà a stecca due o tre volte, e lascialo seccare bene. Secco che è perfettamente, radilo e nettalo, sì come fai in tavola o in ancona. Poi abbi gesso sottile o vuoi da oro, e con la medesima colla tempera e macina questo tal gesso, sì come fai o ingessi in tavola; salvo ch’è di bisogno che tu vi metta alcuna cosa di rossume d’uovo, non tanto quanto metti nel gesso grosso: e incomincia a darne la prima volta su per lo detto lavoro, stropicciando bene colla mano perfettissimamente. Da questa volta in su da’ del gesso a pennello quattro o sei volte, sì come ingessi in tavola, con quello proprio modo e con quella diligenzia. Fatto questo, e secco bene, radilo gentilmente: poi il metti di bolo temperato, a quel modo sì come fai in tavola, e pur quella via e modo tieni a mettere d’oro e brunire con pietra o con dentello. Ed è questa così real parte di questa arte, come al mondo possa essere. E se pur ti venisse caso che pur alcuno lavorìo messo del detto oro avesse a stare in pericolo d’acqua, tu il puoi vernicare; ma non è sì bello, ma bene più forte.

CAPITOLO CLXXV.

In che modo si può rimediare all’umidità del muro, dove si dee dipingere.

Accade al proposito della detta arte, dover alcuna volta ad alcuni lavorii che si fanno in muri umidi, porvi rimedio: ond’è di bisogno provedersi con sentimento e con buona pratica. Sappi che quella operazione fa l’umido in el muro, che fa l’olio in tavola; e come l’umido corrompe la calcina, così l’olio corrompe il gesso e sue tempere: onde è da sapere di che maniera questo umido può venire a fare grande nocimento. Come indietro t’ho detto, che la più nobile e forte tempera che far si possa in muro si è lavorare in fresco, cioè nella calcina fresca; e sappi che se dinanzi entro la faccia del muro giammai piovesse quanta acqua si potesse, non può nuocere giammai niente; ma quella che piove dirieto al muro dell’altra faccia, quello è quello il quale forte dannifica, o veramente alcuna gocciola che piovesse sopra il muro a scoperto: onde a questo è da ponere rimedio: cioè: prima si dee guardare in che luogo lavori, e come il muro è saldo e come coperto, e farlo coprire con ogni perfezione. E se è in luogo dove altr’acqua per condotto vada che onestamente non si possa divietare, tiene questo modo, cioè: sia di che pietra condizione il muro, abbi olio di linseme cotto a modo di mordente, e stempera con matton pesto insieme e intridi: ma prima di questo olio o ver mordente ben bogliente ne da’ o con pennello o con pezza sopra il detto muro. Appresso di questo, togli di questo intriso di matton pesto e danne sopra il detto muro, in modo che venga bene rasposo: lassalo seccare per alcun mese, tanto che sia ben secco: poi con cazzuola abbi calcina ben fresca di galla; tanto calcina, quanto sabbione; e mescolavi dentro polvere stacciata di matton pesto, e smalta perfettamente una o due volte, lassando lo smalto bene a riposo e arricciato. Poi quando vuoi dipignere e lavorarci su, smalta il tuo intonaco sottile, sì come addietro il modo di lavorare in muro t’ho mostrato.

CAPITOLO CLXXVI.

Di due altri modi buoni a questo medesimo effetto.

A questo medesimo: prima togli di questa pece da navi e bene bogliente ne da’ e imbratta bene il muro. Quando hai fatto questo, togli della medesima pegola o vero pece e togli mattone ben secco e nuovo, pesto: d’ogni maniera pesta e incorporane alquanto colla predetta pegola: danne per tutto il muro, cioè quanto tiene l’umidezza, e più. Ed è molto perfetto smalto. E arriccia colla calcina, sì come di sopra t’ho mostrato e detto. Ancora a questo medesimo: avere quantità di vernice liquida bene bogliente, e darne di prima su per la faccia del muro umido, e per lo simile dare del matton pesto mescolato con la predetta vernice, è perfettissimo e buono rimedio.

CAPITOLO CLXXVII.

Del lavorare camere o logge a verdeterra in secco.

Alcuna volta si lavora in camera o sotto logge o poggiuoli: ché tutte le volte non si lavora in fresco: però ch’el trovi per altro tempo smaltato e vuoi lavorare in verde: pertanto togli verdeterra e ben macinata e temperata con colla da ingessare, non troppo forte, e danne con pennello di setole grosso per tutto il campo due o tre volte: quando hai fatto questo e che sia asciutto, disegna con carbone, a modo che fai in tavola, e ferma le tue storie con inchiostro, o vuoi con colore nero, cioè con carbone di viti trito bene e temperato con uovo e vuoi pure rossume d’uovo e l’albume insieme; e spazzato di carbone, togli una scudella o catinella grande d’acqua o vuoi metadella a modo di Toscana. Appresso di questo, vi metti quanto sarebbe un cuslieri di mele e dibatte bene ogni cosa insieme. Fatto questo, togli una spugna e attuffala in questa acqua; premila un poco, e va con essa su per lo campo messo di verde: poi con acquerella di nero da’ le tue ombre ben dilicate e morbide e sfumanti. Poi abbi biacca macinata e temperata colla detta tempera d’uovo detto di sopra, e biancheggia le tue figure, come si richiede di ragion d’arte. Sopra le dette figure tu puoi dare alcuno coloruzzo svariato dal verde, come d’ocria, cinabrese e d’orpimento; e adornare alcuno fregetto ed eziandio mettere i campi d’azzurro. E nota che questo tale lavoro tu puoi anche in verde lavorare in tavola, e ancora in muro in fresco, smaltando e campeggiando col detto verdeterra, o vero che si vuole biancheggiare con bianco sangiovanni.

CAPITOLO CLXXVIII.

Come si può invernicare una tavola lavorata di verdeterra.

Troverai alcuni che il lavorìo che ti faranno fare in tavole in verde, vorranno che lo vernichi. Dicoti che non è usanza, e non il richiede il verdeterra; ma tuttavia contentar si vogliono. Or tieni questo modo, cioè: abbi raditura di carta pecorina: bollila bene con acqua chiara, tanto che vegna a una comunal tempera, cioè colla: e di questa colla con pennello di vaio grosso gentilmente e leggiermente da’ due o tre volte sopra le tue figure o storie, generalmente per tutto dove hai a invernicare. Quando hai data la detta colla ben chiara e netta, e ben colata due volte, lascialo il tuo lavoro seccare bene per ispazio di tre o di quattro dì. Poi va’ sicuramente con la tua vernice invernicando per tutto, che troverrai che il verdeterra vorrà così la vernice, come vuole gli altri colori.

CAPITOLO CLXXIX.

Come, avendo dipinto il viso umano, si lavi e netti dal colore.

Usando l’arte, per alcune volte t’addiverrà avere a tignere o dipignere in carne, massimamente colorire un viso d’uomo o di femmina. I tuoi colori puoi fare temperati con uovo; o vuoi, per caleffare, ad oglio o con vernice liquida, la quale è più forte tempera che sia. Ma vorrai tu lavarla poi la faccia di questo colore, o ver tempere? togli rossumi d’uovo, a poco a poco gli frega alla faccia, e con la mano va’ istropicciando. Poi togli acqua calda bollita con romola, o ver crusca, e lavagli la faccia: e poi ripiglia un rossume d’uovo e di nuovo gli stropiccia la faccia. Avendo poi per lo detto modo dell’acqua calda, rilavagli la faccia. Tante fiate fa’ così, che la faccia rimarrà di suo colore di prima; non contando di più di questa materia.

CAPITOLO CLXXX.

Perché le donne debbansi astenere dall’usare acque medicate per la pelle.

Egli accaderebbe in servigio delle giovani donne, spezialmente di quelle di Toscana, di dimostrare alcuno colore del quale hanno vaghezza, e usano di farsi belle e di alcune acque. Ma perché le Padovane non l’usano, e per non dar loro cagione di riprendermi, e similmente è in dispiacere di Dio e di Nostra Donna; pertanto mi tacerò. Ma ben ti dico, che per volere conservare la faccia tua gran tempo di suo colore, usa lavarti con acqua di fontana, di pozzo, o di fiume: avvisandoti che se usi altra manual fattura, il volto viene in corto tempo vizzo, e i denti negri, e finalmente le donne invecchiano innanzi il corso del tempo, e pervegnon le più sozze vecchie che possa essere. E questo basti a dire di questa ragione.

CAPITOLO CLXXXI.

Come sia cosa utile l’improntare di naturale.

Oggimai a me pare avere assai detto sopra tutti i modi del colorire. Ora ti voglio toccare d’un’altra, la quale è molto utile (e al disegno fatti grande onore) in ritrarre e simigliare cose di naturale; la quale si chiama improntare.

CAPITOLO CLXXXII.

In che modo s’impronta di naturale la faccia d’uomo o di femmina.

Vuo’ tu avere una faccia d’un uomo, o di femmina, e di qual condizione si sia? Tienne questo modo. Abbi il giovane, o donna, o vecchio: benché la barba o capellatura male si può fare, ma fa’ che sia rasa la barba. Togli olio rosato e odorifero; con pennello di vaio grossetto ungeli la faccia: mettili in capo o berretta o cappuccio; e abbi una benda larga una spanna, e lunga come sarebbe dall’un omero all’altro, circondando la sommità del capo sopra la berretta: e cuci l’orlo intorno alla berretta dall’uno orecchio all’altro. Metti in ciascuno orecchio, cioè nel buso, un’ poca di bambagia: e, tirato l’orlo della detta benda o ver pezza, cucila al principio del collarino; e da’ una mezza volta a mezza la spalla, e torna a’ bottoni dinanzi. E per questo modo fa’ e cuci ancora dall’altra spalla; e per quel modo vieni a ritrovare la testa della benda. Fatto questo, rovescia l’uomo o la donna in su un tappeto, in su desco, o ver tavola. Abbi un cerchio di ferro largo un dito o due, con alcun dente di sopra in forma d’una sega. E questo cerchio circondi la faccia dell’uomo, e sia più lungo che la faccia due o tre dita. Fallo tenere ad un tuo compagno sospeso dalla faccia, che non tocchi l’aspettante. Abbi questa benda, e tirala intorno intorno; posando l’orlo, che non è cucito, a’ denti di questo cerchio; e allora fermandolo in mezzo tra la carne e ’l cerchio, acciò che il cerchio rimanga di fuori dalla benda, tanto che dalla benda al viso intorno intorno abbia di spazio due dita, o poco meno, sì come vuoi che la impronta della pasta vegna grossa. Dirotti, che quivi l’hai a buttare.

CAPITOLO CLXXXIII.

Per qual modo si procura il respirare alla persona, della quale s’impronta la faccia.

El t’è di bisogno far lavorare a un orafo due cannelle d’ottone o ver d’ariento, le quali sieno tonde di sopra, e più aperte che di sotto, sì come sta la tromba; e sieno di lunghezza squasi una spanna per ciascuna, e grosse un dito, lavorate le più leggieri che puoi. Dall’altro capo di sotto vogliono essere frabicate in quella forma, sì come stanno i busi del naso; e tanto minori, ch’entrino a pelo a pelo ne’ detti busi, senza che il detto naso si abbi a aprire di niente. E fa’ che sieno spesso forate dal mezzo in su con busetti piccoli, e legate insieme; ma da piè, dov’entrano nel naso, artificialmente siano tanto dispartite l’una dall’altra, quant’è quello spazio della carne, ch’è dall’uno buso del naso all’altro.

CAPITOLO CLXXXIV.

Come si getta di gesso sul vivo la impronta, e come si leva e si conserva e si butta di metallo.

Fatto questo, l’uomo o la donna fa’ che stia rivescio: e mettasi queste cannelle in ne’ busi del naso, e lui medesimo se le tegna con mano. Abbi apparecchiato gesso bolognese, e vuoi volterrano, fatto e cotto, fresco e ben tamigiato. Abbi appresso di te acqua tiepida in un catino, e prestamente vi metti in su quest’acqua di questo gesso. Fa’ presto, ché rappiglia tosto; e fallo corsivo né troppo né poco. Abbi un bicchiere. Piglia di questa confezione e mettine e empine intorno al viso. Quando hai pieno gualivamente, riserba gli occhi a coprire dirieto a tutto il viso. Fagli tenere la bocca e gli occhi serrati; non isforzatamente, ché non bisogna; ma sì come dormissi; e quando è pieno il tuo vacuo di sopra al naso un dito, lascialo riposare un poco, tanto sia appreso. E tieni a mente che se questo cotale che impronti fosse di gran fatto sì come signori, re, papa, imperadori, intridi questo gesso pur con acqua rosa e tiepida: e ad altre persone, d’ogni acqua di fontana o di pozzo o di fiume, tiepida, basta. Asciutto e risecco la tua confezione, togli gentilmente, con temperatoio o coltellino o forbici, e sdruci intorno intorno la benda che hai cucita: tiragli fuori le cannelle dal naso, bellamente: fallo levare a sedere, o in piè, e tenendosi tralle mani la confezione, che ha al viso, adattandosi col viso gentilmente a trarlo fuori di questa maschera o ver forma. Ripolla, e conservala diligentemente. Fatta tale opera, abbi una fascia da putti, e circonda intorno intorno questa tale forma, in modo che la fascia duo dita avanzi l’orlo della forma. Abbi un pennello di vaio grosso; e, con quell’olio tu vuoi, ugni il vacuo della forma con gran diligenza, acciò che non ti venisse per disavventura guasto niente. E per lo sopraddetto modo intridi del sopraddetto gesso. E se volessi mescolare dentro polvere di mattone pesto, ne sarà di meglio assai. E col bicchiere o con iscodella piglia di questo gesso, e metti sopra della detta forma; e tiel la sopra una panca, acciò che quando metti su la confezione, che con l’altra mano tu isbatti sopra la panca gentilmente, acciò che ‘l gesso ugualmente abbi cagione di rientrare in ogni luogo, sì come fae la cera nel suggello, e che non faccia né vesciche né gallozze. Fatta e ripiena la detta forma, lasciala riposare mezzo dì, o il più, un dì. Abbi un martellino, e con bel modo va’ tastando e rompendo la scorza di fuori, cioè quella della prima forma, con sì fatto modo che non si rompa né naso né cosa alcuna. E sì, per trovare la detta forma più fiebole a rompere, innanzi che l’empia, abbi un pezzo di sega, e segala in più luoghi dal lato di fuori; non che passasse dentro, ché sarebbe troppo male. Interverratti che quando sarà piena, in piccola botta di martellino la spezzerai destramente. Per questo modo arai la effigia, o ver la filosomia, o vero impronta di ciascun gran signore. E sappi che poi di questa tal forma, poiché hai la prima, tu puoi fare buttare la detta impronta di rame, di metallo, di bronzo, d’oro, d’ariento, di piombo, e generalmente di qual metallo tu vuoi. Abbi pure maestri sofficienti, che del fondere e del buttare s’intendano.

CAPITOLO CLXXXV.

Ti dimostra come si può improntare un ignudo intero d’uomo o di donna, o un animale, e gettarlo di metallo.

Sappi che nel sopraddetto modo, volendo seguitare in più sottile magistero, t’avviso, che puoi l’uomo interamente buttarlo e improntarlo, sì come anticamente si trova di molte buone figure ignude. Onde di mestiero t’è, a volere un uomo tutto ignudo o donna, prima farlo stare in piè in su ‘l fondo di una cassetta, la quale farai lavorare di altezza dell’uomo per infino al mento; e fa’ che la detta cassa si commetta o vero si scommetta in tutto per lo mezzo dall’un de’ lati, e dall’altro per lunghezza. Ordina che una piastra di rame ben sottile sia dal mezzo della spalla, cominciando all’orecchie, per insino in su ‘l fondo della cassa: e vada circondando leggiermente senza lesione su per la carne dello ignudo, non accostandosi alla carne una corda. E sia chiavata la detta piastra in su l’orlo, dove si commette la detta cassa. E per questo modo chiava quattro pezzi di piastra, che vegnino a conchiudersi insieme, siccome faranno gli orli della cassa. Poi ugni lo ’gnudo: mettilo ritto nella detta cassa: intridi del gesso abbondantemente, con acqua ben tiepida; e sia con compagnia, che se empi il dinanzi dell’uomo, che il compagno empia dirieto, acciò che a un medesimo tempo la cassa vegna piena per infino coperta la gola. Però che ‘l viso, siccome t’ho mostro, puoi fare di per sé. Lascia posare il detto gesso tanto, che sia bene rassodato. Poi apri e scommetti la cassa, e metti alcuni ingegni e scarpelli tra gli orli della cassa e le piastre di rame o di ferro che abbi fatto: e aprila, sì come faresti una noce, tenendo dall’un lato e dall’altro i detti pezzi della cassa e della impronta che hai fatta. E moderatamente ne trai fuori lo ’gnudo: lavalo diligentemente con acqua chiara; ché sarà diventata la carne sua colorita come rosa. E a quel modo ancora, quando impronti la faccia, la predetta forma o vero impronta tu la puoi buttare di ciò che metallo tu vuoi; ma io ti consiglio di cera. La ragione: fa’ pure ragione che rompa la pasta senza lesione della figura, perché tu puoi levare, aggiugnere, e rimendare dove la figura mancasse. Appresso di questo puoi aggiugnervi la testa; e buttare ogni cosa insieme, e tutta la persona: e per lo simile di membro in membro spezzatamente puoi improntare; cioè un braccio, una mano, un piè, una gamba, un uccello, una bestia, e d’ogni condizione animale, pesci, e altri animali simili. Ma vogliono essere morti, perché non avriano il senno naturale, né la fermezza di star fermi e saldi.

CAPITOLO CLXXXVI.

Come si può improntare la propria persona, e poi gettarla di metallo.

A questo medesimo ancora ti puoi improntare la persona in questo modo. Fa’ fare una quantità o vuoi di pasta, o vuoi di cera: ben rimenata e netta, intrisa sì come fusse unguento, ben morbida; e sia distesa in su una tavola ben larga, si come è una tavola da mangiare. Falla mettere in terra. Favvi distendere su questa pasta o ver cera, di altezza di mezzo braccio. Gittavi su, in quello atto che vuoi, o il dinanzi o il dirietro, o per lato. E se la detta pasta o ver cera ti riceve bene, fattene trarre fuora nettamente, tirandoti fuori per lo diritto, che non sia menato né qua né là. Lascia poi seccare la detta impronta. Quando è secca, falla gittare di piombo. E per lo simile modo fa’ l’altra parte della persona, cioè il contradio di quella che hai fatto. Poi raggiugni insieme; gittala di piombo tutta intera, o vuoi di altri metalli.

CAPITOLO CLXXXVII.

Dell’improntare figurette di piombo, e come si moltiplicano le impronte col gesso.

Se volessi improntare figurette di piombo o d’altri metalli, ugni le tue figure, e improntale in cera, e gittale di quel che vuoi: o vero che in tavola ti bisogna alcun rilievo, come teste di uomini e di lioni o di altri animali, o figurette piccole. Lascia seccare la ‘mpronta che hai fatto di cera: poi l’ungi bene con olio da mangiare, o vuoi da bruciare. Abbi il gesso sottile o grosso, macinato con colla un poco forte: butta di questo gesso caldo sopra la detta impronta: lascialo freddare. Freddo che è, con la punta del coltellino dispartisci un poco di questo gesso dalla impronta. Poi in su questo spartito soffia bene forte. Ricevi in su la mano la tua figuretta di gesso: e sarà fatta. E per questo modo ne puoi fare assai: e serbatele. E sappi, ch’è migliore farne di verno, che di state.

CAPITOLO CLXXXVIII.

Come s’impronta una moneta in cera o in pasta.

Se vuoi improntare santelene, ne puoi improntare in cera o in pasta. Falle seccare, e poi distruggi del zolfo: fallo buttare nelle dette impronte, e sarà fatto. E se le volessi fare pure di pasta, mescolavi minio macinato, cioè la polvere asciutta mescola con la detta pasta. E falla sodetta a tuo modo, sì come ti pare.

CAPITOLO CLXXXIX.

Come s’impronta un suggello o moneta con pasta di cenere.

Se volessi improntare suggello o un ducato o altra moneta ben perfettamente, tieni questo modo; e tiello caro, ch’è cosa molto perfetta. Abbi una catinella mezza di acqua chiara, o piena, come tu vuoi. Abbi della cenere, mezza scodella. Buttala in questa catinella, e rimenala con la mano. Istà poco; innanzi che l’acqua rischiari in tutto, vuota di quest’acqua torbidetta in altra catinella; e fa’ così più volte, tanto t’avvisi abbi tanta cenere, quanto ti fa bisogno. Poi lascia riposare, tanto che l’acqua sia chiara, e che la cenere sia ritornata bene a fondo. Tranne la detta acqua, e asciuga la detta cenere al sole, o come tu vuoi. Poi la intridi con sale distrutto in acqua, e fanne siccome se fusse una pasta. Poi sopra la detta pasta impronta suggelli, santelene, figurette, monete, e universalmente ciò che desideri d’improntare. Fatto questo, lascia asciugare la detta pasta moderatamente, sanza fuoco o sole. Poi sopra la detta pasta buttavi piombo, argento, o di ciò metallo che vuoi; ché la detta pasta è sofficiente a ritenere ogni gran pondo.

Pregando l’altissimo Iddio, Nostra Donna, Santo Giovanni, Santo Luca Evangelista e dipintore, Santo Eustachio, Santo Francesco, e Santo Antonio da Padova, ci donino grazia e fortezza di sostenere e comportare in pace i pondi e fatiche di questo mondo; e appresso di chi vedrà il detto libro, gli donino grazia di bene studiare, e ben ritenerlo, acciò che col lor sudore possano in pace vivere e loro famiglia mantenere in questo mondo per grazia, e finalmente nell’altro per gloria, per infinita secula seculorum.

Amen.

Finito libro referamus gratias Christo 1437.

A dì 31 di luglio ex stincarum ec.


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