In Cina, nel 1911, si verifica una rivoluzione, che ha visto il rovesciamento della dinastia manciù e la proclamazione della repubblica. A ricoprire per primo la carica di presidente è Sun Yat-Sen. Questi, pur lontano dal marxismo, saluta con favore l’ascesa dei bolscevichi al potere. La spiegazione che egli qualche anno dopo fornisce del suo atteggiamento è un terribile atto d’accusa contro il colonialismo e l’imperialismo: «I Pellirosse d’America sono stati già sterminati» e lo «sterminio» incombe anche sugli altri popoli coloniali. Tragica è la loro situazione; sennonché, «improvvisamente centocinquanta milioni di uomini di razza slava sono insorti per opporsi all’imperialismo, al capitalismo, alle ingiustizie nell’interesse del genere umano». E così, «nacque, senza che nessuno se lo aspettasse, una grande speranza per l’umanità: la Rivoluzione russa»; sì «grazie alla Rivoluzione russa, tutta l’umanità era ormai animata da una grande speranza». Naturalmente, la risposta della reazione non si fa attendere: «Le potenze hanno attaccato Lenin perché vogliono distruggere un profeta dell’umanità».Sì, Sun Yat-Sen non è un marxista e non è un comunista; ma è a partire dalla «grande speranza», da lui descritta con linguaggio talvolta ingenuo ma tanto più efficace, che si può comprendere la fondazione del Partito comunista cinese il 1 luglio 1921. Più tardi, mentre è impegnato nella guerra di resistenza nazionale contro l’imperialismo giapponese, che pretende «di soggiogare l’intera Cina e di fare dei cinesi i lo schiavi coloniali», così Mao ricorda il suo primo avvicinarsi (negli ultimi anni della dinastia Manciù) alla causa della rivoluzione:«In quel periodo cominciai ad avere qualche barlume di coscienza politica, specialmente dopo aver letto un opuscolo sullo smembramento della Cina […] Questa lettura destò in me grandi preoccupazioni per il futuro del mio paese e cominciai a comprendere che noi tutti avevamo il dovere di salvarlo». Oltre 10 anni dopo, Intervenendo all’immediata vigilia della proclamazione della Repubblica Popolare, Mao rifà la storia del suo paese. Rievoca in particolare la resistenza contro le potenze protagoniste delle guerre dell’oppio, la rivolta dei Taiping «contro i Ching servi dell’imperialismo», la guerra contro il Giappone del 1894-5, «la guerra contro l’aggressione delle forze coalizzate delle otto potenze» (in seguito alla rivolta dei Boxers), e, infine, «la Rivoluzione del 1911 contro i Ching, lacché dell’imperialismo». Tante lotte, altrettante sconfitte. Come spiegare il rovesciamento che, a un certo punto, si verifica? «Per molto tempo, durante questo movimento di resistenza, ossia per oltre settant’anni, dalla Guerra dell’oppio nel 1840 fino alla vigilia del Movimento del 4 maggio nel 1919, i cinesi non ebbero armi ideologiche per difendersi contro l’imperialismo. Le vecchie e immutabili armi ideologiche del feudalesimo furono sconfitte, dovettero cedere e vennero dichiarate fuori uso. In mancanza di meglio, i cinesi furono costretti ad armarsi con armi ideologiche e formule politiche quali la teoria dell’evoluzione, la teoria del diritto naturale e della repubblica borghese, tutte prese in prestito dall’arsenale del periodo rivoluzionario della borghesia in Occidente, patria dell’imperialismo […] ma tutte queste armi ideologiche, come quelle del feudalesimo, si dimostrarono molto deboli, e a loro volta dovettero cedere, furono ritirate e dichiarate fuori uso.La rivoluzione russa del 1917 segna il risveglio dei cinesi, che apprendono qualcosa di nuovo: il marxismo-leninismo. In Cina nasce il Partito comunista, ed è un avvenimento che fa epoca […] Da quando hanno appreso il marxismo-leninismo, i cinesi hanno cessato di essere passivi intellettualmente e hanno preso l'iniziativa. Da quel momento doveva concludersi il periodo della storia mondiale moderna in cui i cinesi e la cultura cinese erano guardati con disprezzo». Siamo in presenza di un testo straordinario. Il marxismo-leninismo è la verità finalmente trovata, dopo lunga ricerca, l’arma ideologica capace di porre fine alla situazione di oppressione e di «disprezzo» imposta dal colonialismo e dall’imperialismo e di assicurare la vittoria della rivoluzione nazionale in Cina. Ed è una ricerca iniziata già con le guerre dell’oppio, prima ancora della formazione, nonché del marxismo-leninismo, già del marxismo in quanto tale: nel 1840 Marx era solo un giovane studente universitario. Non è il marxismo a provocare la rivoluzione in Cina, ma è la resistenza secolare del popolo cinese che, dopo lunga e faticosa ricerca, riesce a prendere piena coscienza di sé nell’ideologia che porta la rivoluzione alla vittoria. E’ il 16 settembre 1949. Cinque giorni dopo Mao dichiara: «La nostra non sarà più una nazione soggetta all’insulto e all’umiliazione. Ci siamo alzati in piedi […] L’era nella quale il popolo cinese era considerato incivile è ora terminata». Nel celebrare il riscatto di una nazione a lungo sottoposta al «disprezzo», «all’insulto e all’umiliazione», Mao ha probabilmente in mente il cartello a fine Ottocento esibito dalla concessione francese a Shanghai: «Vietato l'ingresso ai cani e ai cinesi». Un ciclo storico si era chiuso.
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