2014, fanno cento anni dalla grande Guerra e da un libro di poesia capace di farsi ricordare a lungo. I CANTI ORFICI di Dino Campana.
Un autore e un libro dalla vita non semplice!
La prima stesura, Il più lungo giorno, andò perduta…
Secondo la ricostruzione dello stesso Campana: “venuto l’inverno andavo a Firenze al Lacerba a trovare Papini che conoscevo di nome. Lui si fece dare il mio manoscritto (non avevo che quello) e me lo restituì il giorno dopo e in un caffè mi disse che non era tutto quello che si aspettava ma che era ‘molto molto’ bene e mi invitò alle Giubbe rosse per la sera… per tre o quattro giorni andò avanti poi Papini mi disse che gli rendessi il manoscritto ed altre cose che avevo, che l’avrebbe stampato. Ma non lo stampò. Io partii non avendo più soldi (dormivo all’asilo notturno ed era il giorno che facevano le puttane sul palcoscenico alla serata futurista incassando cinque o seimila lire) e poi seppi che il manoscritto era passato in mano di Soffici. Scrissi 5 o 6 volte inutilmente per averlo e mi decisi di riscriverlo a memoria…”.
Il manoscritto andò perso e vide la stampa solo nel 1973 dopo essere stato ritrovato, nel 1971, tra le carte di Soffici.
Senza dubbio il colpo fu forte per il giovane che però reagì con vitalità e, in poco tempo, rimise insieme la raccolta perduta apportandovi numerose modifiche.
Il giovane Campana non si perse d’animo, e preparò una nuova versione, che venne stampata a Marradi nel luglio del 1914 dal tipografo Bruno Bavagli a spese dell’autore (in teoria, visto che il denaro arrivò da una sottoscrizione di amici).
Molti sottoscrissero, pochi pagarono realmente: si sarebbero do¬vute stampare cinquecento copie, ma il tipografo che temeva di non essere pagato ne stampò di meno.
Questa prima stampa ebbe notevoli difficoltà, nessun successo e il poeta stesso andava a vendere copie del libro nei caffè di Firenze e di Bologna oppure agli amici.
Nel 1928 l’editore Vallecchi pensò ad una ristampa dei Canti Orfici, senza nemmeno chiedere il permesso a Campana che in quel periodo era ricoverato in manicomio, e affidò la cura del progetto ad un giornalista e letterato, Bino Binazzi.
Il libro venne pubblicato con il titolo Canti Orfici ed altre liriche e comprendeva, oltre i testi presenti nell’edizione del ’14, alcune liriche del Campana apparse tra l’agosto del 1915 e il marzo 1917 su vari giornali e riviste.
Da quel momento, la fortuna del libro crebbe fino a diventare uno dei libri di poesia più amati, alternando prosa e versi, sulla scia di Rimbaud e Baudelaire.
Tra i poeti del Novecento italiano, Campana è colui che ha cercato di incorporare nella sua poesia tutti gli effetti dei nuovi mezzi di tecnica e di produzione.
Oltre alla passione che il poeta dimostrò verso l’elettricità, vista come simbolo del nuovo mondo ma facilmente ricollegabile a quello antico, un posto importante va assegnato ai rapporti tra la poesia di Campana e il nuovo linguaggio cinematografico.
opere. Poesia e varie:
Canti Orfici, Marradi, 1914
Inediti, raccolti a cura di E.Falqui, Firenze, 1942
Taccuino, a cura di F.Matacotta, Fermo 1949
Taccuinetto faentino, a cura di D.De Robertis, prefazione di E.Falqui, Firenze, 1952
Fascicolo marradese, a cura di F.Ravigli, Firenze, 1952
Il più lungo giorno, Roma-Firenze, 1973, 2 voll. vol. I: riproduzione anastatica del manoscritto ritrovato dei “Canti orfici”; vol. II: prefazione di E.Falqui, testo critico a cura di D.Robertis
Epistolari:
Dino Campana – Sibilla Aleramo, Lettere, a cura di N.Gallo, prefazione di M.Luzi, Firenze, 1958
Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, a cura di G.Cacho Miller, Milano, 1978
Souvenir d’un pendu. Carteggio 1910-1931, a cura di G.Cacho Miller, Napoli, 1985
Un viaggio chiamato amore – Lettere 1916-1918, Sibilla Aleramo, Dino Campana, a cura di Bruna Conti, Feltrinelli, 2000
Raccolgono la parte essenziale dell’0pera campaniana a prescindere da “Il più lungo giorno”) i due volumi di “Opere e contributi”, a cura di E.Falqui, prefazione di Mario Luzi, note di D.De Robertis e S.Ramat, carteggio a cura di N.Gallo, Firenze, 1973
Nel 1999, con il titolo Il più lungo giorno, è stato realizzato un film sulla vita del poeta diretto e sceneggiato da Roberto Riviello; interpreti Gianni Cavina, Roberto Nobile, Giuseppe Battiston.
LA CHIMERA
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.