“Per tutti quelli che girano come trottole intorno al mondo solo perché non sanno stare fermi, quelli che sono appena tornati dall’Egitto e già dicono “l’anno prossimo mi faccio il Nepal”, che non hanno visto niente e conosciuto nessuno ma che eruttano come lapilli e lava foto, filmini e souvenir. Per quelli che si comprano tutto e accumulano oggetti nella speranza che gli riempiano la vita e ignorano i soggetti che gli girano intorno, che la vita gliela potrebbero riempire e pure complicare. Per quelli che “dottore mi dia qualcosa, qualunque cosa, basta che mi faccia smettere di soffrire” e giù pillole, pozioni, impacchi e cerotti, pellegrinaggi tra ambulatori, erboristi e farmacie. Per quelli dell’oroscopo e delle cartomanti. Per quelli, e giuro che sono tanti e diversi tra loro, che pur di non guardare in faccia la realtà si raccontano le balle più inverosimili, accomunati soltanto da una malinconica anestesia trasversale”.(P. Tossici, Cento giorni sul comò)
Cento giorni sul comò. Un libro dal titolo accattivante, una deliziosa copertina (la foto dell’autore a cento giorni), la postfazione di Duccio Demetrio, direttore scientifico delle Libera Università della Autobiografia di Anghiari e il marchio BookSalad (del quale vi ho parlato qui). Tutto nella presentazione di questo libro grida al lettore “leggimi, leggimi, leggimi”. Quando, infatti, mi sono ritrovata fra le mani questo piccolo, ma preziosissimo volume, non ho resistito e ho accantonato tutte le letture in corso per dedicarmi a questa.Dire che questo libro mi ha travolto è dire poco. La mia copia è “segnata” da una serie di riflessioni a margine, che la narrazione man mano che progrediva mi suggeriva. Attraverso la narrazione-confessione di Pino Tossici, infatti, il lettore si imbarcherà, seppur con conseguenze emotive più lievi di quelle dell’autore, in un viaggio alla ricerca di passato che credeva aver superato, ma che in realtà è stato semplicemente sepolto.
Leggere un’autobiografia, apparentemente, può sembrare più un lavoro da studioso o da "fan" dell’autore e soprattutto se si tratta di un’opera prima l’idea non è decisamente esaltante.
Ma Cento giorni sul comò, forse grazie al passato di autore e attore di Tossici, è un'autobiografia diversa. Tossici, infatti, non solo si è immerso e ha recuperato il suo passato, ma ha saputo esserne interprete e filtrarlo. Gli anni di Peppino, il figlio di Giulio e Titina, sono infatti ripercorsi con quella sottile e sana ironia, che ha la capacità di restituircene un ricordo fresco, allegro, doloroso e intenso. Tossici, infatti, non si risparmia, ma di certo non appesantisce il racconto, rendendolo tedioso al lettore. Il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza dell’autore sono ripercorsi grazie ad una lucida analisi della vita dei genitori. Dal racconto della vita della madre, donna estremamente fragile sempre alla ricerca del suo pubblico, a quella del padre e della sorella, figure apparentemente sullo sfondo della narrazione, a quello delle sue prime cotte, tutto in questo libro è indagato con sincerità e un pizzico di umorismo che, anche se si mostra nei momenti più tragici, non è mai fuori luogo o di cattivo gusto. I ricordi di Peppino, infine, sono intervallati da una serie di riflessioni miste a citazioni, che vanno dalla Merini a Sergio Endrigo, e su alcune di queste risulterà difficile per il lettore non tornare, e quella che ho usato come esergo per il post ne è solo un piccolo esempio. Devo dire che in uno scenario editoriale dove l’elemento sovrannaturale sta prendendo sempre più il sopravvento è rassicurante vedere che ci sono ancora autori in grado di raccontare una storia semplice, vera e proprio per questo così straordinaria. Tossici, infatti, ci mostra come il racconto di una vita, una come tante, può essere decisamente più avvincente, che quello di mondi lontani e universi possibili. Fatemi sapere se avete letto o avete intenzione di leggere questo libro.Alla prossimaDiana