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Nel mondo antico, sia in Grecia che in Italia, la base dell’alimentazione era costituita da prodotti di derivazione cereale (orzo, frumento; farro a Roma), consumati in forma di focacce non lievitate, di pane, di pappe. Un calcolo attendibile sostiene che l’80% dell’apporto calorico nell’alimentazione dei Greci antichi proveniva dal consumo di cereali.
Fra i cereali, quello che si prestava più convenientemente alla coltivazione era l’orzo (Hordeum gen.), che non richiede, a differenza del frumento, abbondanti piogge all’epoca della germinazione. Le caratteristiche più vantaggiose dell’orzo, rispetto al frumento, sono i tempi più rapidi di maturazione, la minore esposizione alle malattie, la capacità di allignare fino a 1500 m s.l.m., la maggior tolleranza sia al freddo che al caldo e alla siccità. L’orzo, le cui pianticelle affondano più in profondità le radicicole nel terreno, cresce senza difficoltà anche su suoli calcarei e poco profondi, e richiede minor impegno lavorativo. Si aggiunga che il rischio presunto di perdita del raccolto per
siccità interessava il frumento 1 anno su 4, l’orzo solo 1 anno su 20.
Particolarmente atto alla coltura dell’orzo era il suolo “leggero” e asciutto dell’Attica. Un’iscrizione da Eleusi del 329/8 a. C. permette di calcolare che il raccolto di quell’anno era stato di circa 11 tonnellate d’orzo contro 1 tonnellata di frumento, anche se si deve supporre che in annate normali (meno siccitose) la proporzione orzo : frumento poteva essere, non di 11 : 1, ma di 3-4 : 1.
Ben maggiori erano le esigenze del frumento (Triticum aestivum, o grano tenero, T. durum, o grano duro), che richiede terreni più ricchi, sufficienti precipitazioni o irrigazioni, ed è più esposto alle malattie (alla robigo, o ruggine, ad es.). Delle due varietà coltivate nell’antichità, il Triticum durum, benché meno pregiato del T. aestivum, sopportava più facilmente un clima semiarido, ed era più a lungo conservabile.
Mentre l’orzo si adattava facilmente ad appezzamenti situati nei contesti ecologici più vari, la coltivazione del frumento poteva avvenire solo in aree particolari: in area greca, la pianura beotica, la grande pianura alluvionale della Tessaglia, la Troade e la valle del Meandro in Anatolia, la Sicilia. Di qui, per la Grecia, e soprattutto per le aree e i centri più popolosi, come Atene, la necessità, a partire dal V secolo a. C., di massicce importazioni di frumento dall’Egitto e dalla Scizia (Crimea, Ucraina).
Per Roma, le aree adatte ad una coltivazione granaria su larga scala erano soprattutto la Campania e (più tardi) la pianura padana. Al progressivo crescere della popolazione della capitale, che in età imperiale raggiunse il milione di abitanti, si affermò una crescente necessità di importare il frumento, oltre che da Sicilia e Sardegna, dall’Egitto, dal Nordafrica e dalla Penisola iberica.
Le specie cereali coltivate nel mondo antico comprendevano, oltre a orzo e frumento, il farro (Triticum dicoccum), che ebbe a Roma, specie in età regia e repubblicana, importanza dominante nell’alimentazione. Una risorsa estrema in caso di cattivo raccolto era rappresentata dal miglio, che poteva essere seminato in primavera-estate data la sua resistenza alla siccità, e non richiedeva più di 3-4 mesi per la maturazione. Il miglio si prestava inoltre alla conservazione su periodi assai più lunghi degli altri cereali, e rappresentava – come in età moderna (si pensi alla veneziana fondamenta del Megio) – il cereale più indicato per la costituzione di riserve e scorte. Un impiego “di ripiego” aveva anche la spelta (Triticum spelta), mentre avena e segale non venivano coltivate, l’avena perché considerata pianta infestante, mentre la coltura della segale richiedeva un clima non mediterraneo. Quest’ultimo cereale era addirittura sconosciuto in Grecia.
di Oddone Longo, 9 ottobre 2003
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