Georges-Daniel de Monfreid - Portrait of the Wife of the Artist with a Cup of Tea
Un rito, per molti.
Per gli inglesi un rito sociale; per i giapponesi un rito quasi religioso.
Due categorie di the molto diverso.
Amaro, speziato, denso di sapori diversi, di possibilità di scelte, quello inglese.
Irrimediabilmente polversoso quello giapponese: mi resta sempre il senso della sabbia fra i denti.
Poi ci sono i the che descriverei come "funzionali": il thè per scaldarsi, negli inverni freddi; quello per fare fine, in epoche in cui il caffè sembrava troppo plebeo; quello dei malati (era il thé che conoscevo io, da bambina, irrimediabilmente legato all'idea dell'influenza e degli autunni uggiosi, quando comincia a fare buio presto).
Ci sono anche i thè salutisti, per quelli che credono che quello verde allunghi la vita, che quello rosso ridono vigore, che quello blu illumini d'immenso.
Chissà perché per alcuni tutto quello che vagamente sembra provenire dall'oriente assume un'aura mistica di benessere.
Il thè freddo e il thè caldo; quello al limone e quello al latte; quello con i biscotti e quello filosofico.
Oggi posso fare finta di fare questo e quello, di essere ognuno di questi personaggi, bevendo dietro i vetri tutto il thè del mondo.
Fuori c'è la più bella Indian Summer che avrei potuto desiderare, sono nella città più ordinata e immacolata degli Stati Uniti......e sono ammalata.
Meno male che mi porto sempre dietro qualche bustina di infusi varii.
A questo punto mi resta solo la cerimonia del thè e aspettare che passi.