Affrontando il problema fondamentale della validità o meno della nostra conoscenza Cartesio arrivò alla famosa certezza di fondo: “penso quindi sono”.
Poiché non potrebbe esistere un “penso” senza una psiche pensante, noi possiamo affermare: “penso, quindi esiste la psiche”. Anzi potremmo considerare la certezza dell’esistenza della psiche anteriore al “quindi sono”. Possiamo dubitare di tutto ma non dell’esistenza della nostra psiche che dubita.
Ma, dove andiamo da qui?!; come passiamo dal soggetto (nostra psiche) pensante alla realtà esterna? Ai filosofi l’ardua sentenza! La mia modesta impressione è che in proposito ancora non abbiano tirato fuori un ragno da un buco. In attesa ci tocca continuare a formulare ipotesi più plausibili possibile.
Nell’articolo Unicità e molteplicità della “Realtà” scrivevo: “Quando facciamo dei ragionamenti “organizziamo” le nostre cellule cerebrali in modo da rappresentare gli aspetti del ragionamento. Il fatto che tali cellule siano psichicamente sensibili ci consente di “percepire il senso e il peso dei concetti””. Noi percepiamo e ci rappresentiamo tutto in questo modo per cui sembra logico affermare il primato e la precedenza assoluta dello “psichismo”.
Un modo per cercare di superare il soggetto ed avventurarci nel “mondo esterno” potrebbe trovarsi:
a) nel fatto che l’insieme delle esperienze e delle conoscenze soggettive è generalmente abbondantemente costituito da problemi, difficoltà, sofferenze, morte, ecc. (basterebbe ricordare l’analisi e punto di partenza del Buddismo: “la realtà dell’esistenza personale e del mondo esteriore è dolore, consistente nell’invarianza delle sue condizioni: nascita, malattia, morte, mancanza di ciò che si desidera, unione con ciò che dispiace, separazione da ciò che si ama”. Tutto ciò è improbabile che sia frutto del soggetto, a meno che questo sia estremamente e fondamentalmente autolesionista senza scopo plausibile.
b) nella percezione netta che queste esperienze ci vengono, che siamo passivi nei loro confronti e che non possiamo influenzarne i contenuti o il loro peso psicologico, non che le produciamo noi…
Per questo sembra logico ritenere fondata l’esistenza effettiva dell’oggettività esterna al soggetto ed indipendente da lui.
Come si diceva sopra, lasciamo ai filosofi il compito di trovare i ponti in grado di far superare il soggettivismo verso una “realtà” oggettiva, intanto continuiamo con le nostre ipotesi.
Molti partono dalla materia e da essa fanno derivare tutto l’esistente, compresa la psiche come una complessificazione dovuta al caso e in evoluzione casuale, convinti di partire da qualcosa di assolutamente “reale”, tangibile e fuori da dubbi o relatività. Alla luce di quanto esposto sopra, la cosiddetta “materia” sarebbe assai meno certa e concreta dello “spirito” che la coglie e la rappresenta a se stesso.
Tornando a Cartesio, se possiamo avere qualche punto di partenza e di certezza, lo troviamo nella psiche, ed è la psiche che coglie, interpreta e ci rappresenta “la realtà”: la rappresentazione della “realtà” esterna avviene nella psiche e per suo tramite.
Nei nostri processi percettivi e conoscitivi ci avvaliamo di substrati e mezzi che però sono essi stessi psichicamente percettivi per cui non abbiamo necessità o esperienza di “materia inanimata/bruta” e, con l’ipotesi dello “spirito nella materia”, salterebbe così tutta una serie di dualismi, inconciliabilità e contrapposizioni all’interno dell’esistenza universale.
Lo psichismo, quindi, non può non essere la base e la fonte della “realtà”; il Panpsichismo ne sarebbe l’unicità e la totalità.