Immediato, diretto, selvaggio, ironico. È lo stile di Bukowski. Uno scrittore fuori dalle righe - per quanto possa esserne fuori uno scrittore. Dietro le pagine del suo primo romanzo, Post Office, si intravede la sua immagine, il suo temperamento, la sua esperienza, i suoi pensieri, intercalati non solo qui e là dalle varie azioni, ma presenti nelle azioni stesse.
A raccontare è un io dal linguaggio duro e la vita scapestrata, trascorsa tra alcool, donne, corse ai cavalli, che descrivono la sua sregolatezza. Perché è proprio questo il punto focale dell'intera opera, la sregolatezza: se, quanto e come sia possibile conciliare libertà e regole, ambizione e necessità, vita selvaggia e vita condizionata.
Il libro è attualissimo, attualità che si intensifica considerando il tema principale: il lavoro, indirettamente descritto come quella gabbia che ti ruba tempo in cambio di monotonia, ma anche come quel porto sicuro che ognuno ha bisogno di tenersi stretto (o, data la situazione in cui viviamo, di trovare). Proprio per questo, è una trappola. (Ma perché non potrebbe rappresentare la possibilità di vivere e guadagnare facendo ciò che ci piace, e quindi dedicandovi con maggiore entusiasmo e dedizione, ed evitando che diventi una trappola?)
L'autore accentua il contrasto attraverso l'accostamento di un lavoro monotono e meccanico (come quello del postino) e l'ambizione letteraria di alcuni personaggi, combattuti tra il rischio e l'esigenza, tra il sogno di diventare scrittori e la sicurezza che dà il lavoro.
I mesi passavano e le case editrici continuavano a mandargli indietro il romanzo. «GESÙ CRISTO!», diceva lui. «NON POSSO ANDARE A NEW YORK A STRINGERE LA MANO AGLI EDITORI!». «Senti, ragazzo, perché non ti licenzi? Chiuditi in una stanzetta e mettiti a scrivere. Fai solo quello». «QUESTO PUÒ FARLO UNO COME TE», disse lui, «PERCHÉ HAI L'ARIA DELL'ALCOOLIZZATO. LA GENTE TI DAREBBE LAVORO PERCHÉ PENSEREBBE CHE NON NE TROVERESTI MAI UN ALTRO E QUINDI SARESTI COSTRETTO A RESTARE. INVECE A ME NON LO DAREBBERO PERCHÉ GLI BASTEREBBE UN'OCCHIATA PER CAPIRE CHE SONO TROPPO INTELLIGENTE E PENSEREBBERO, BE', UNO COME LUI NON RESTERÀ A LUNGO QUINDI È INUTILE ASSUMERLO». «Insisto, chiuditi in una stanzetta e mettiti a scrivere». «MA IO HO BISOGNO DI SICUREZZA!». «È un bene che non tutti la pensino come te, è un bene che Van Gogh non la pensasse come te». «VAN GOGH AVEVA IL FRATELLO CHE GLI REGALAVA I COLORI!», mi disse il ragazzo.
Questo è solo un estratto in cui si intensifica il contrasto, volto a mettere in evidenza l'inconciliabilità tra ambizione e necessità; è solo uno spiraglio in cui l'opposizione prende forma. Nel resto della narrazione, il contrasto si focalizza sul protagonista, sul suo dissidio interiore: assecondare la voglia di libertà e sregolatezza o piegarsi alla sicurezza economica?
Vi lascio alla lettura di quest'opera: lettura scorrevole, immediata, incisiva; lettura che consiglio, soprattutto a chi non si scandalizza per qualche parolaccia - che riflette la quotidianità del protagonista, senza nascondere l'io da false maschere perbenistiche - e a chi si sente un po' "intrappolato dalla mancanza di trappole" (perché anche l'assenza di un lavoro fisso, e non solo la sua monotonia, ti fa sentire intrappolato, tra la sensazione di inutilità e la speranza di una soddisfazione futura, tra la necessità di accontentarti di qualsiasi lavoro e l'ambizione di sentirti appagato da un lavoro per cui hai studiato e per cui ti senti maggiormente portato o preparato - di essere, in poche parole, inevitabilmente - e forse anche un po' orgogliosamente? - choosy).Coraggio o pazzia?