Io vedo un pene, voi?
Cinema The Space, Surbo (LE), 12 Gennaio 2014.
(Prima Salentina di American Sniper, di Clint Eastwood)
Uomo e Donna imprecisati, camminano dal parcheggio verso il cinema (U. ; D.).
Aspetto fisico irrilevante, ma facilmente immaginabile: lei bionda, ovviamente non naturale, e vestita interamente di nero; lui col gel nei capelli, scarpe Hogan o Nero Giardini.
U. espleta le sue funzioni nei confronti del parcheggiatore abusivo poco distante, donando ben 30 centesimi di euro ad un individuo simpatico e affabile. Tornato dal'impresa, commenta così:
«Tanto trenta centesimi non mi cambiano la vita, gliel'ho dati volentieri. »
Mentre D. replica in maniera sagace:
«Infatti; ma se fosse stato arabo, gliel'avrei tirati in faccia. » *
Silenzio d'assenso.
Una conversazione di questo spessore poteva tranquillamente avvenire in centinaia di altri contesti; magari con un accento del Nord Italia, ma con un minimo comun denominatore d'ignoranza paragonabile.
Non so voi, ma a me ha colpito la sicurezza e la certezza di giudizio della Signora coinvolta; l'incapacità sua di cogliere le sfumature del caso, e suppongo di molti altri, e la quantità di generalizzazioni che un'uscita di quel tipo implica. Iniziando dalla sicumera con cui un ipotetico parcheggiatore abusivo non possa che essere "arabu", per finire alla concezione del mondo noi/voi, bianco/nero che condivide con i jihadisti.
(Mi preme informarvi che state per assistere ad uno sproloquio personale che riguarda vari temi: Charlie Hebdo, American Sniper e i mazzari. Allacciate le cinture, non quelle del nostro Ferzan, e tenetevi forte, perché si parte! )
La sera in cui sono stato testimone di quella conversazione, che, se non è chiaro, è realmente avvenuta, mi trovavo al cinema per assistere ad un evento inspiegabile ed emozionante: la visione, da parte di un numero incalcolabile di persone, di American Sniper di Clint Eastwood. Non so se, sull'onda dell'entusiasmo macabro dei recenti fatti avvenuti in Francia, oppure, semplicemente perché il biglietto costava tre euro, la sala era gremita. O ancora poteva trattarsi del richiamo del film da combattimento, che in parte devo dire era soddisfatto. La giusta dose di esplosioni, proiettili, fucili e così via.
Tornando al punto, è come se alcuni avessero trovato una legittimazione al proprio odio, ovvero in una ipotetica discussione, un' argomentazione che giustifichi la tesi della propria intolleranza. Già me l'immagino, sul tono del discorso precedente: «Ca nu bbidi ce fannu? Ca se nu li fermi, poi te ccittenu iddhri.» **
Questo forse spiega il grande pubblico accorso a vedere American Sniper: un tipo di pubblico desideroso di assistere ad un "esorcismo". Il film, infatti, racconta la storia di Chris Kyle, cecchino dei Navy SEALS, diventato celebre per aver collezionato un numero impressionante di "nemici" uccisi, circa 160, durante la guerra in Iraq; e ripercorre la sua vita dai rodeo in Texas al campo di battaglia. Le vicende rappresentate si ispirano all'autobiografia di Chris Kyle, e alleggeriscono, comprensibilmente, il nostro eroe di alcuni lati un po' più controversi del proprio carattere. That's Hollywood, dopotutto. Un articolo apparso sul Guardian precisa quello che sto cercando di dire:
"In his memoir, Kyle reportedly described killing as “fun”, something he “loved”; he was unwavering in his belief that everyone he shot was a “bad guy”. “I hate the damn savages,” he wrote. “I couldn’t give a flying fuck about the Iraqis.” " ***
E quest' idea, questo riduzionismo estremo del problema è qualcosa di molto vicino a quello che la nostra amica lì sopra ha inconsapevolmente compiuto. L'idea che essi siano il male e noi il bene; qualcosa che anche Kyle faceva:
"In Kyle’s version of the Iraq War, the parties consisted of Americans, who are good by virtue of being American, and fanatic Muslims whose “savage, despicable evil” led them to want to kill Americans simply because they are Christians." ****
(Laura Miller, Salon)
E questi lati della personalità del nostro eroe, non emergono certamente nella visione di Clint Eastwood della storia.
Quello che il pubblico inconsciamente desiderava era il riconoscimento del nemico, la sublimazione di questi, e la sua sconfitta virtuale, per anestetizzare una paura, perlopiù mediatica e irrazionale. Narrare dell'applauso, scoppiato genuinamente in sala al colpo finale con cui Kyle si sbarazza di un cecchino nemico, fa quasi onore agli sceneggiatori del film.
Questa paura è una condizione quasi inconscia, alimentata per lo più da una sana dose di ignoranza e di assenza di immedesimazione, di chiusura verso il nuovo e il diverso, verso qualunque pensiero o idea che smuova l'ordine stabile e perfetto di cui la nostra mente si pasce. Come vivere in un guscio da cui respingere tutto ciò che potrebbe risvegliare la coscienza. Mi chiedo: " E se conoscessi un arabo e decidessi che è una brava persona, tirargli i soldi in faccia ti farebbe sentire gratificata? Gratificata come quando con rabbia sostenevi che devono morire tutti?".
E' un bisogno umano quello di avere un caposaldo, qualcosa d'intoccabile; e quasi tutti si sentono aggrediti nel profondo, come violati, non appena qualcuno mette in discussione, con la sua assenza di venerazione per quel principio, ciò che per te è sacro. Parlo di varie cose: di una squadra del cuore, di un idolo, di Dio, della Chiesa, di un ideale sociale o culturale. L'attacco a questi valori implica una reazione istintiva e furiosa, un po' come Sgarbi nei momenti migliori. E questo è proprio ciò che fa la satira: il suo obiettivo è in parte quello di attaccare valori e credenze ritenute dominanti, e le persone che la trovano offensiva spesso si attengono al principio secondo cui ci sarebbero discorsi inaffrontabili, tesi inconfutabili. La VERA satira attacca chiunque e, da essa, chiunque può sentirsi offeso.
Come ha detto recentemente anche il nostro Papa Francesco:
«È aberrante uccidere in nome di Dio», ma è sbagliato anche «insultare le religioni». «Se un mio amico dice una parolaccia contro mia mamma, gli arriva un pugno».
Qui sta uno dei punti principali: vogliamo un mondo o una società almeno, dove alcuni argomenti siano off-limits o, piuttosto, parafrasando Teju Cole (The New Yorker*****), è possibile difendere il diritto alla satira, anche volgare e offensiva, senza fare in modo che essa venga identificata con il pensiero dominante dell'opinione pubblica? E' possibile fare battute razziste senza essere razzisti? E, ancora, è possibile concedere spazio di dibattito agli Islamofobi senza rendere illegale la loro causa?
Possiamo tollerare l'opinione, per quanto violenta, degli altri? Io credo di sì; e credo anche che se davvero esista un principio che contraddistingue la "società occidentale", questo sia proprio la tolleranza.
Detto ciò, la vicenda di Charlie Hebdo si presta a mio parere facilmente alla strumentalizzazione a fini emozional-religiosi: per chi si trovi ad odiare in maniera irrazionale e pregiudiziale i musulmani, l'accaduto fornisce senz'altro sostegno e giustificazione alla propria predisposizione.
Qui non si sta certo prendendo le parti degli attentatori; nessuno a cuor leggero potrebbe. Questo dibattito, come qualcuno ha giustamente sottolineato, appartiene al caro ambito delle "dead moral questions": le discussioni in cui tutti convergono su di un unico punto. Siamo d'accordo nel ritenere non giustificabile e inumano uccidere per motivi religiosi. Ma siamo sicuri di avere la coscienza pulita? Considerando il termine "religione" nella sua accezione più ampia, etimologicamente, a me verrebbe qualche dubbio. "In generale" significa "scrupolosa attenzione, cura diligente, scrupolosa esattezza". Religiosamente. Ricordate qualcosa per cui siete religiosi? Per cui avete una cura religiosa? Può essere un'idea? Anche l'idea per cui i musulmani hanno torto. Anche l'idea per cui Saddam Hussein nascondesse armi di distruzione di massa. E così via.
La questione è anche che il dibattito, moralmente parlando, per qualcuno che sia superpartes, assume un aspetto RELATIVO. Perché gli argomenti delle due parti funzionano a meno di considerare quelli della parte avversa. Escluso l'omicidio, si riesce a giudicare in favore dell'una e dell'altra solo se si è completamente immersi in uno dei due punti di vista. Senza nessun tentativo di immaginare ed immedesimarsi. Questo perché si tratta di un dibattito religioso e, la religione -intesa nell'accezione di cui sopra, come attaccamento ossessivo- esclude l'empatia.
Criticare e indignarsi per gli attacchi alla libertà è l'esatto contraltare dei jihadisti che inneggiano alla guerra santa. E' una palude da cui non si esce, in cui ognuno grida contro l'altro senza differenze, senza distinzioni; dove le voci si confondono e non si distingue più nessun senso, niente che renda la questione dibattibile.
La democrazia è un sistema che dovrebbe consentire a Charlie Hebdo di fare la satira che vuole e a un ipotetico musulmano la facoltà di arrabbiarsi, se questa non gli piace. Il fiume di retorica ipocrita che è straripato in questi giorni è proprio la conseguenza di un sistema che vive di intolleranza. E tutto il dibattito sulle libertà occidentali "in pericolo", o da salvaguardare non è che fumo negli occhi. Ciò che non dobbiamo perdere di vista è ciò che ci rende "occidentali" e, come tali, esponenti di una società che mira alla libertà d'espressione -almeno sulla carta. La libertà di cui essere fieri, stanti il dolore e il sentimento di minaccia, non è una parola vuota di cui servirsi per giustificare le proprie idiosincrasie. In quest'ottica valutiamo ciò che ci ha appena aggredito in maniera sproporzionata rispetto ad esempio all'aggressione che l'irreprensibile società occidentale ha compiuto nei confronti dell'Iraq. I diciannove morti francesi valgono di più degli oltre 461.000 morti tra il 2003 ed il 2011 in Iraq? E le stragi perpetrate da Boko Haram in Nigeria, non meritano forse la medesima attenzione? I crimini che abbiamo subito sono senza dubbio scioccanti, ma non sono da meno quelli di cui ci siamo resi colpevoli. E se la signora D. si sente aggredita, cosa dovrebbe dire la signora Fatima di Baghdad?
Diciannove francesi morti spaventano perché uccisi ad un passo da noi, in modo violento e sconvolgente. Ma questo non deve spingerci al panico irrazionale, all'odio stupido e ignorante. "L'odio genera odio" diceva qualcuno. E forse io ne ho abbastanza. Il primo passo per costruire una società migliore è quello di essere in grado di accettare, capire ed interiorizzare la critica, il dissenso ed il disaccordo. Un mondo libero è un mondo a più voci, un mondo che parla anche arabo; un mondo con Charlie Hebdo, con i nazisti, con i jihadisti, con i comunisti, con neri, bianchi e musulmani.
NOTEEE:
* Notare che la conversazione è avvenuta in dialetto salentino, lingua che si presta meglio a frasi lapidarie ed uscite d'effetto, la cui incisività non è ugualmente riproducibile in italiano: ad esempio il famigerato "mena", con cui si dice abbia avuto problemi anche il nostro Dante Alighieri.
Lo ripropongo integralmente per i madrelingua:
«Ca tantu trenta centesimi nu me cangiane nienti.»
«Si, ma ci era arabu, an facce nde li terava. »
Tutti citti;
** "translation needed", clicca per inserire la traduzione;
*** Nella sua autobiografia, Kyle descrive l'omicidio come "divertente", qualcosa che "amava"; era incrollabile nella convinzione che tutti quelli a cui sparasse fossero i "cattivi". " Odio i dannati selvaggi", scrisse."Non me ne frega un cazzo degli Iracheni."
**** Nella versione della guerra in Iraq di Chris Kyle, gli schieramenti si dividevano in Americani, che sono i buoni per il solo fatto di essere Americani, e i musulmani fanatici, la cui "selvaggia e spregevole malvagità" li ha portati a voler sterminare gli Americani solo perché sono Cristiani.
***** But it is possible to defend the right to obscene and racist speech without promoting or sponsoring the content of that speech. It is possible to approve of sacrilege without endorsing racism. And it is possible to consider Islamophobia immoral without wishing it illegal. (Teju Cole, The New Yorker).
(Per restare in argomento consiglio di leggere l'intervista di Oriana Fallaci all'ayatollah Khomeini, che fornisce alcuni spunti per comprendere il punto di vista degli integralisti islamici.)