8 ottobre, Venezuela. Alle 23.30 ora locale, il Presidente Hugo Chàvez è uscito dal balcone del palazzo presidenziale di Caracas e ha esultato per la vittoria elettorale insieme ai numerosi sostenitori che aspettavano fuori. Fuochi d’artificio e festeggiamenti, per una rielezione non così sicura. L’uomo che da 14 anni regge il Venezuela ha vinto ottenendo il 54% dei voti, contro il 45% dell’avversario, Henrique Capriles Radonski, con un’afflenza superiore all’80%.
Il leader dell’opposizione ha affermato:
“Il voto di oggi è l’espressione di un paese con due visioni, ed essere il presidente significa lavorare per risolvere i problemi di tutti i venezuelani.”
Forse i venezuelani non sono tutti socialisti rivoluzionari come vorrebbe far credere Chàvez.
Il quale ha dovuto constatare che quelli definiti da lui “piccoli squallidi fascisti buoni a nulla filo-americani” si sono rivelati metà della popolazione.
Davanti alle telecamere, con grande diplomazia e una notevole faccia di bronzo, il Presidente ha detto:
“Le mie parole di riconoscimento vanno a tutti quelli che hanno votato contro di me, come ringraziamento per il loro temperamento democratico”.
Se sconfigge il cancro, situazione sulla quale non ha voluto fare dichiarazioni pubbliche chiare, Chàvez rimarrà al potere fino al 2019, ovvero per 20 anni di fila.
Nei 14 anni precedenti il governo non ha saputo far fronte alla criminalità crescente, alla rovina di strade e ponti, ai frequenti ammanchi di forniture elettriche; la svalutazione del bolivar sembra inevitabile, insieme alla conseguente inflazione galoppante, frutto della sua politica di acquisto dei voti tramite un aumento sconsiderato e senza basi economiche della spesa pubblica.
Cosa ci dice che i prossimi anni saranno diversi? Nulla.
Però Chàvez regala case senza motivo a chi vince alle sue lotterie e a chi lo lecchina meglio degli altri; finché rimane, la botta di fortuna può capitare. Viva la revoluciòn…
Vittorio Nigrelli
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